“Demalling”, il sistema commerciale tra crisi e trasformazioni

“Demalling”, il sistema commerciale tra crisi e trasformazioni

 

Negli Stati Uniti come in Italia, la vita breve o mai iniziata di molte strutture di vendita, esito di politiche territoriali disattente che ci hanno lasciato in eredità deadmall e ghostbox

 

 

I centri commerciali e le grandi strutture di vendita nel corso degli ultimi 50 anni hanno trovato ampi spazi nelle periferie e nei territori extraurbani delle città italiane. Prodotto d’ingenti investimenti immobiliari, hanno attratto progetti di espansione urbana, hanno richiesto importanti trasformazioni nelle infrastrutture e hanno influenzano gli spostamenti e le abitudini dei consumatori. Vivaci e scintillanti nei momenti di successo, queste strutture impressionano ancora di più quando falliscono e si spengono.

In tutto il Nord America centinaia di grandi contenitori del tempo libero e della distribuzione commerciale moderna giacciono abbandonati a testimoniare il breve ciclo di vita dell’impresa e delle strutture fisiche in cui essa è ospitata. Molteplici sono le cause della comparsa dei cosiddetti deadmall e ghostbox: la proliferazione di strutture fotocopia sul mercato ha generato fenomeni di saturazione commerciale; il breve ciclo di vita delle strutture fisiche ha portato a situazioni di precoce obsolescenza dei fabbricati; infine il cambio dei gusti dei consumatori ha reso necessaria un’evoluzione del settore verso nuove tipologie più competitive (lifestyle center, quartieri mixed use e power center).

Gli effetti urbani, economici e sociali della dismissione hanno spinto gli attori in campo a intraprendere da un lato azioni preventive, volte a ridurre l’impatto delle nuove strutture sul contesto e a favorire futuri interventi di trasformazione o demolizione delle stesse, dall’altro interventi di recupero a posteriori, con lo sviluppo di progetti cosiddetti di demalling. “Demalling” indica letteralmente il processo con cui il centro commerciale smette di essere ciò che è (un mall appunto) e si trasforma in qualcos’altro. Interventi di questo tipo si sono già diffusi negli Stati Uniti a partire dagli anni ’90 e hanno interessato anche altre tipologie edilizie del retail: alcune strutture dismesse sono state così riusate come uffici, biblioteche, scuole, chiese e centri sportivi, con interventi più o meno invasivi; altre hanno mantenuto la funzione commerciale, integrata però con attività complementari come residenze, uffici e servizi pubblici; altre ancora sono state riconvertite a formati commerciali più apprezzati dai consumatori o demolite, lasciando spazio a nuovi quartieri urbani.

 

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Il sistema commerciale italiano non è certo immune dal problema emerso oltreoceano. Nelle periferie delle nostre città sono già numerosi gli effetti di politiche urbane disattente e valutazioni immobiliari ottimistiche.
Tra i deadmall italiani troviamo sia strutture datate, come il grande Euromercato di Casoria (Napoli)inaugurato negli anni ‘70, sia complessi più recenti, come il lifestyle village Perle di Faenza, mai completato e il cui “scheletro” incombe ormai da qualche anno sull’autostrada A14. Alcuni deadmall compaiono nel territorio extraurbano lungo infrastrutture viarie sovrastimate, come il centro Le Acciaierie di Cortenuova (Bergamo; oltre 40.000 mq), inaugurato nel 2005 in previsione dell’autostrada BreBeMi e ora abbandonato. Altri sorgono nel tessuto urbano come risultato di progetti di trasformazione di aree industriali dismesse, per diventare a loro volta strutture commerciali dismesse, come il centro Il Fare di Gallarate (Varese), sorto sull’ex Manifattura Borgomaneri. Tale destino ha colpito non solo i centri commerciali ma anche le grandi strutture di vendita. In questo caso, a volte, sono proprio le scelte localizzative della proprietà, che abbandona quello vecchio per trasferirsi in un nuovo edificio poco distante, a generare temporanee dismissioni, come successo per diverse strutture di proprietà Esselunga. Ma anche le opere legate all’entertainment sono interessate dal fenomeno, come il Multiplex Magic Movie Park di Muggiò (Monza Brianza), un cinema multisala abbandonato da quasi 10 anni.

Si tratta solo di alcuni esempi di dismissione in Italia, a cui bisogna aggiungere decine di casi di strutture in crisi, dove restano attivi solo pochi punti vendita. Per tali realtà, come le Officine Minganti a Bologna o I Bricchi a Isola d’Asti, il futuro resta più che mai incerto. In questo contesto si scorgono i primi interventi di demalling che ricordano le tendenze già osservate negli Stati Uniti: così il punto vendita Esselunga di Pioltello (Milano) è stato trasformato nel 2012 in un polo sanitario territoriale, mentre a Prato il centro commerciale Pratilia è stato demolito per realizzare un nuovo punto vendita Esselunga, a cui si prevede di affiancare una torre a funzione ricettiva.

Gli interventi di demalling già sperimentati oltreoceano rappresentano una solida base da cui partire per definire proposte progettuali di trasformazione degli edifici commerciali anche in altri contesti territoriali. Il ritardo accumulato nel processo di evoluzione del sistema commerciale europeo e italiano rispetto agli Stati Uniti potrebbe permettere ai diversi attori in campo, pubblici e privati, quantomeno di limitare la portata del fenomeno in Italia, per prevenire dinamiche di dismissione e rispondere adeguatamente alla comparsa di deadmall e ghostbox sul nostro territorio.

Immagine principale: lifestyle village Perle di Faenza (Ravenna)

 

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