Quando la politica azzoppa la rigenerazione
Modifiche e cambi normativi hanno imposto un taglio, drastico, negli investimenti. E i progetti rinascono dal basso
Published 12 marzo 2025 – © riproduzione riservata
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non ha, purtroppo, rappresentato lo strumento con cui definire quell’agenda per le città e l’abitare di cui, probabilmente, il nostro Paese avrebbe avuto – ed ha – necessità.
Nella sua attuazione, tuttavia, si sta rivelando essere un laboratorio di pratiche in cui sperimentare inedite alleanze territoriali e modalità di attuazione degli investimenti.
Una pioggia di soldi dall’Europa
Il massiccio intervento dell’Unione Europea si sviluppa come forma di contrasto agli effetti negativi della crisi da Covid 19. Si è trattato di un intervento senza precedenti a supporto della coesione sociale degli Stati membri, attraverso l’istituzione di un fondo di debito pubblico comune per il finanziamento di prestiti e sovvenzioni, per un ammontare di 750 miliardi di euro, secondo Piani nazionali di ripresa e resilienza a cui si aggiungono 392 miliardi di euro per la politica di coesione nel periodo 2021-2027.
Avviene in un quadro in cui forti sono gli impatti della globalizzazione digitale, che trasformano la struttura, gli usi e i tempi delle città.
Il tutto in un contesto di incertezza geopolitico in cui le forme democratiche ereditate dal Novecento si rivelano sempre più in difficoltà nel gestire l’insieme dei complessi fenomeni che stanno investendo il continente europeo: la pandemia da Covid 19 è stata solo una fra le criticità, a cui sono seguite crisi energetica, inflazione, guerre, accompagnate dagli effetti di lungo periodo del cambiamento climatico, dell’inverno demografico, dei flussi migratori.
In questo scenario, dunque, ha preso avvio il Piano – di riforme e di investimento – a livello italiano, organizzato in sei missioni: dopo una prima versione approvata il 12 gennaio del 2021 dal governo Conte II, la versione definitiva è stata presentata alla Commissione Europea alla fine di aprile 2021 dal governo Draghi ed è stata definitivamente approvata il 13 luglio 2021. Questo piano definiva, in relazione a ciascun investimento e a ciascuna riforma, precisi obiettivi e traguardi, cadenzati temporalmente, al cui conseguimento si è vincolata l’assegnazione delle risorse, in dieci rate, entro il 30 giugno 2026.
La versione finale? Solo nell’estate 2023
In questa prima versione del piano, gli interventi collegati a temi di rigenerazione urbana, pur non avendo una missione dedicata, sono molteplici e riguardano aree urbane, città metropolitane, aree marginali: Programmi Urbani Integrati, PINQUA, progetti per l’attrattività dei borghi, Green Communities, solo per citare quelli che potremmo definire dei veri e propri programmi. A questi si aggiungono singoli interventi (che riguardano scuole, asili, studentati, case di comunità) ugualmente importanti per la rigenerazione urbana di città e comuni di diverse dimensioni.
Avviati quasi tutti grazie ad avvisi pubblicati fra il 2021 e il 2022, spesso ipotizzando anche il ricorso all’istituto contrattuale del Partenariato Pubblico Privato, questi investimenti si sono dovuti confrontare da subito con una serie di difficoltà che ne hanno rallentato l’attuazione. Innanzitutto, la riforma del Codice degli Appalti del marzo 2023 che ha messo in difficoltà le stazioni appaltanti e scoraggiato il ricorso al PPP per la realizzazione delle opere.
Ma, soprattutto, la revisione del PNRR avviata dal governo Meloni nell’estate del 2023 e che si è conclusa con l’approvazione a livello europeo nel dicembre dello stesso anno.
Rigenerazione urbana, l’ultima ruota del carro
Questa revisione ha previsto – anche per consentire il finanziamento di una settima missione dedicata ai temi energetici – un forte depotenziamento finanziario per alcuni dei programmi di rigenerazione urbana.
Ha riguardato soprattutto tre misure (efficienza energetica, rigenerazione urbana, piani urbani integrati), di competenza del Ministero dell’Interno e destinate ai comuni italiani per interventi di medio-piccola dimensione e alle città metropolitane. Si tratta di progetti in qualche modo già esistenti all’avvio del PNRR e, se vogliamo, parcellizzati in molti interventi di piccola dimensione, ma non per questo meno onerosi dal punto di vista amministrativo.
A questi si sono aggiunti gli interventi per le infrastrutture sociali di comunità per le aree interne e per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie, il finanziamento per il potenziamento del verde nelle aree urbane e per le ciclovie turistiche. Tutti interventi legati strettamente alle politiche di rigenerazione urbana e valorizzazione territoriale.
È solo con il decreto legge 19 del 2 marzo 2024, successivamente convertito nella legge 56 del 29 aprile 2024 (recante ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza) che si sono individuate – infine – le modalità di rifinanziamento di parte delle opere definanziate con la proposta dell’agosto 2023.
Nel raccontare le tappe della vicenda, emerge chiaramente la complessità attuativa legata agli interventi di rigenerazione urbana previsti dal PNRR, che non solo non sono stati, sin dall’inizio, pensati in maniera strategica in una missione a loro dedicata, ma che sono stati anche, strada facendo, vittime del combinato disposto di una riforma come quella del Codice degli Appalti e di una revisione come quella che è andata definendosi nel corso del 2023.
Il definanziamento, va detto, è anche in parte stato causato dai rallentamenti nell’attuazione di queste opere da parte degli enti. Che avevano come soggetti attuatori in gran parte comuni, molti dei quali di piccola dimensione e in oggettiva difficoltà amministrativa a fronte anche di una riforma della Pubblica Amministrazione, sempre prevista dal Piano e non ancora completamente compiuta, contrariamente a quella degli appalti.
Nelle difficoltà, una nuova geografia istituzionale
Se le ombre che possiamo leggere nelle scelte di impostazione del PNRR (così come in quelle di attuazione) sono molte, tuttavia, mentre il piano si avvia verso la sua conclusione, possiamo anche individuare alcuni elementi positivi.
Quello che, forse, potrebbe essere più interessante rilevare è la nascita, seppure a posteriori, di cabine di regia che vedono i comuni – e le loro unioni, città metropolitane e province, regioni e altri enti pubblici e privati interessati dagli interventi – lavorare insieme per ricomporre, a livello territoriale, quegli interventi che il piano non aveva saputo inquadrare strategicamente al momento della sua approvazione.
Strutture informali che fanno ben sperare anche a fronte delle preoccupazioni per il post PNRR, quando le infrastrutture che saranno state realizzate necessiteranno di una gestione. Anche dal punto di vista urbanistico, gli investimenti del PNRR stanno rappresentando un’anticipazione per molti Piani di governo del territorio che, in un quadro di mancate riforme, faticano a gestire la contemporaneità e a tracciare la rotta delle nuove politiche di sviluppo locale.
Che le pratiche finanziate dal PNRR possano diventare politiche è l’auspicio. Guardando a quel grande atlante della domanda che gli avvisi ministeriali ha fatto emergere e che ancora non ha trovato per intero soddisfazione.
Immagine di copertina: Torino, Piano di riqualificazione di Torino Esposizioni, del parco del Valentino, del borgo e della navigabilità (dal sito web torinocambia.it, @ Michele D’Ottavio)
Nata a Torino (1973), è architetta e si occupa di valorizzazione urbana e del territorio. Della sua formazione in restauro al Politecnico di Torino conserva la capacità di leggere gli edifici e comprenderne le trasformazioni, anche grazie alla ricerca storica. È autrice di articoli e saggi sul tema della rivitalizzazione urbana e partecipa a convegni e workshop in Italia e all’estero, in particolare in materia di town centre management e place management. La fotografia – di documentazione e ricerca – occupa gran parte della sua attività e viene spesso utilizzata nei suoi progetti, anche a supporto del lavoro di costruzione dell’identità locale e di percorsi di messa in rete di potenzialità territoriali. Fra le sue pubblicazioni: “La rinascita dell’ex ospedale di Sant’Andrea a Vercelli” (2016), “Hospitalia. O sul significato della cura” (2017), Ars Curandi (2021).