Pagine 70-71: Coppa del Mondo Femminile di Sci Alpino, Area di arrivo, località Rumerlo, Tofane, 2019

Osservatorio Cortina: quando lo sport cambia la montagna (e la sua immagine)

Osservatorio Cortina: quando lo sport cambia la montagna (e la sua immagine)

I fotografi Gianpaolo Arena e Marina Caneve ci aiutano a leggere il rapporto tra infrastruttura e paesaggio dopo i Mondiali di sci alpino 2021

 

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Published 21 febbraio 2023 – © riproduzione riservata

Il rapporto tra infrastruttura e paesaggio è inevitabilmente al centro dell’attenzione quando grandi eventi trasformano territori spesso fragili come quelli montani, soprattutto in questa epoca storica. Si tratta di trasformazioni fisiche, ma anche dell’immaginario e dell’identità.

In questo senso Cortina – di cui osserviamo i progetti in vista delle Olimpiadi 2026 – è realtà emblematica. Perché proprio lo sport al massimo livello (a partire dalle Olimpiadi 1956) ha catapultato l’abitato, le sue cime e le sue valli in una dimensione “altra” con la quale deve convivere, in senso positivo e negativo.

Per leggere questa condizione così estrema ci affidiamo al lavoro (e all’occhio) di due fotografi, Gianpaolo Arena e Marina Caneve, autori di un intenso lavoro di documentazione in occasione dei Campionati mondiali di sci alpino 2021. Pubblicata per Quodlibet (La valle tra le cime e le stelle, di Gianpaolo Arena e Marina Caneve, 2021, 168 pagine, 28 euro) e consultabile al sito web dedicato osservatoriocortina2021.com, la galleria di immagini e i testi che le accompagnano sono un’affascinante e profonda occasione per guardare questo luogo.

Ringraziando gli autori per la gentile concessione, pubblichiamo una selezione d’immagini e stralci dei testi.

 

Oggi chi vive in montagna deve fare i conti con il tema dello spopolamento e nello stesso tempo far fronte alle numerose necessità legate alla cura e alla tutela di un territorio instabile e fragile. Un organismo complesso che ha bisogno di molte risorse e di sviluppare un civismo più consapevole e maturo.

Il tempo, con la sua ciclica e inesorabile meccanica, segna un solco tra l’immutabilità del passato e le incognite del futuro. In che modo ci integriamo con l’ambiente circostante fino a esserne parte? In che modo la presenza del passato può convivere con la necessità e i desideri quotidiani?

Come il sistema del turismo e quello dell’abitare possono trovare un giusto equilibrio? In quale misura il medium della fotografia può non solo raccontare e descrivere il paesaggio, ma più di ogni altra cosa alimentare la nostra consapevolezza e amplificare la nostra presa di coscienza di una più o meno riconosciuta appartenenza a un mondo globalizzato?

 

A Pomedes c’è il mitico Schuss della Stratofana Olimpica, meglio conosciuta come “Olimpia delle Tofane”, dove dal 1993 si disputano ogni anno le gare di Coppa del Mondo di sci femminile e le atlete raggiungono i 120 km orari. Questa sarà una delle piste teatro […] dei Giochi olimpici invernali di Milano Cortina 2026. Questo luogo è un punto di estremo interesse paesaggistico, oltre a essere fondamentale per il racconto di come un evento sportivo si vada a inserire in un paesaggio e in una cultura.

Negli anni, per questo, ci siamo imposti di ri-guardarlo e ri-fotografarlo cercando di interpretare come un luogo tanto iconico si trasformi e venga trasformato, da un lato dal ricorrere del tempo nella sua ciclicità e da un altro dall’accadere degli eventi nella loro puntualità.

 

La montagna ha a che fare con un sistema ambiente più esteso e la fragilità del suo territorio è connessa in maniera diretta con i territori – le economie e le politiche – confinanti, di pianura. Diffido dal concetto di natura come luogo del desiderio di una wilderness, evidentemente fasulla, desiderio dell’uomo di città per sentirsi selvaggio. È semplicistico pensare che noi, esseri contemporanei, ci mangiamo la natura e trovo che l’idea secondo la quale dovremmo riportare la montagna a un presunto stato naturale non sia altro che la proiezione dei nostri desideri (per noi stessi). Con Osservatorio per esempio ci siamo posti l’obiettivo di guardare in un tempo prefissato, tre anni, a tutta una serie di elementi, cercando di coglierne variazioni nell’immagine stereotipata comunemente trasmessa di Cortina d’Ampezzo. Gli elementi che abbiamo scelto, i capitoli, non servono a costruire un’immagine onnicomprensiva dell’ecosistema montagna-Cortina, quanto piuttosto a interrogarci su come questo territorio risponda alle pulsioni generate dalla progettazione di un grande evento sportivo, fortemente radicate nell’identità del luogo. A Cortina ogni luogo e ogni famiglia (o quasi) può raccontare la storia di un evento legato alle Olimpiadi o alle coppe del mondo, tanto quanto per esempio a Cervina in ogni casa si può sentire il racconto di un alpinista.

 

Nel nostro progetto è stato interessante muoverci sia con mezzi meccanici sia a piedi per costruire delle esperienze diverse del paesaggio; per esempio, il movimento in auto per me è una sorta di movimento orizzontale, mentre quello a piedi verticale.

La mobilità in montagna è un tema e la velocità un altro. Insieme hanno molto a che vedere con il futuro e la forma dei luoghi. Lavorando a Osservatorio ci siamo più volte posti la domanda: come cambia il paesaggio visto a velocità diverse? Come muta il paesaggio in bicicletta, per esempio? Nell’epoca delle biciclette elettriche la mobilità della montagna si apre a nuove prospettive e la fruizione si rinnova.

Ci sono diverse immagini di montagne, nel libro, che compaiono stampate su veicoli, quasi paradossalmente e in maniera beffarda; mi fanno pensare a come la mobilità possa influire sull’immagine contemporanea della montagna stessa.

 

Per evidenziare il legame tra città e montagna e in particolar modo quello tra Milano e Cortina, ripetuto e sempre più attuale in vista delle Olimpiadi 2026, mi torna in mente nuovamente un’opera molto nota di Dino Buzzati: “Piazza del Duomo di Milano” (1957, olio su tela). In questo dipinto figurativo e surreale gli aspetti identitari e gli usuali connotati del monumento trasfigurano fino a diventare un improbabile paesaggio alpino. La facciata marmorea, le guglie, gli imponenti finestroni della cattedrale si trasformano in pareti rocciose. I pinnacoli e gli edifici adiacenti assumono contorni rupestri. Nell’immaginazione visionaria dell’autore la piazza diventa poi una verde vallata, dove i contadini tagliano il fieno, circondata d’aridi massicci montuosi. Buzzati era talmente appassionato di alpinismo che più volte ha raccontato e scritto che quasi tutte le notti a Milano sognava di arrampicare sulle sue Dolomiti. Alla forza immaginifica dello scrittore bellunese fa eco un celebre brano di John Ruskin: “Le montagne sono le grandi cattedrali della terra, con i loro portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve, le volte di porpora scintillanti di stelle”.

O ancora, l’opera dell’artista inglese Hamish Fulton Broken “Wood Mountain Skyline Dolomites” (1993-2007, legno dipinto, chiodi, e matita), in cui le montagne sono realizzate attraverso sculture monocrome formate da bastoncini di legno dipinti.

Attraverso questi esempi emerge la natura camaleontica e multiforme della rappresentazione della montagna. Un caleidoscopio formato appunto da infinite rappresentazioni che trovano spazio in ambiti e contesti molto diversi. A interrogarci incessantemente sulla cultura vernacolare e sulla civiltà contemporanea, sulla natura di un passato antico e sulle contraddizioni del turismo di massa, sulla presenza di antiche tradizioni comunitarie e sulle contaminazioni di una società globalizzata.

 

La rappresentazione iconografica diventa per tutti noi uno strumento per riconoscere, formalizzare e capire dove ci troviamo. Riceviamo anche informazioni complementari sul quando e sul perché. Il segnale amplificato e onnipresente dell’icona delle Cinque Torri o dello Schuss delle Tofane riprodotto infinite volte in un cartellone, in una t-shirt o in una tovaglietta al ristorante azzera il tempo geologico delle montagne per imporre la visione statica del monumento.

Un totem monolitico e sacrale da cui è difficile allontanarsi, l’icona cristallizzata di un’idea. La completa copertura televisiva internazionale delle Olimpiadi del ‘56 ha reso manifesta a tutti la bellezza di Cortina e delle Dolomiti. Nell’epoca in cui l’immagine del mondo viene complicata nell’etere attraverso l’immaterialità della comunicazione massmediatica e digitale, gli strumenti per poter raccontare l’esperienza dello sport e della ricchezza di un territorio sono numerosi. Le continue e rinnovabili estensioni che la tecnologia ci consegna incessantemente come necessarie costituiscono le periferiche per la libera fruizione di uno spettacolo diffuso.

La montagna, come un riferimento a monito della nostra finitudine, è sempre lì, ma abbiamo ancora bisogno di vederla rappresentata.

 

 

Osservatorio Cortina 2021 è un progetto di ricerca artistica in cui, attraverso l’uso della fotografia, sono stati investigati il territorio e l’arco temporale ove sono andati costituendosi i Campionati del mondo di sci alpino di Cortina 2021. Nella ricerca artistica, durata tre anni, due autori, Gianpaolo Arena e Marina Caneve, da un lato hanno documentato i momenti chiave della costruzione dell’evento sportivo, dall’altro hanno guardato al territorio e alla sua storia con un atteggiamento aperto, curioso ed esplorativo, ricercando le tracce del legame tra sport e territorio. Di Cortina, l’immaginario comune riproduce spesso aspettative iconiche che assecondano i desideri dei visitatori, piuttosto che fornire nuove chiavi di lettura del territorio e della società. È possibile contrastare questo atteggiamento prestando una rinnovata attenzione a un paesaggio che è quasi diventato un’icona cristallizzata all’interno di un’immagine? Questa indagine ha visto il coinvolgimento dell’agenzia creativa Vulcano che ha sostenuto fin da subito il progetto con l’intenzione di innescare un nuovo processo di contaminazione, finalizzato a sviluppare uno sguardo più completo su Cortina e sul suo territorio, attraverso la fotografia contemporanea.

La ricerca è confluita nel libro La valle tra le cime e le stelle (di Gianpaolo Arena e Marina Caneve), pubblicato da Quodlibet nel 2021, 168 pagine, 28 euro.

Link: https://www.quodlibet.it/libro/9788822906373

 

Gianpaolo Arena sviluppa progetti di ricerca su tematiche ambientali, documentarie e sociali. Il suo lavoro utilizza il paesaggio e il ritratto come modalità per investigare la rappresentazione degli spazi antropizzati e la sostenibilità delle città contemporanee. Dal 2010 è curatore del magazine di fotografia internazionale «Landscape Stories» e organizza workshop, progetti editoriali ed espositivi. È co-fondatore di CALAMITA/Á (2013-ongoing). Ha scritto testi per monografie, cataloghi e mostre, tra cui: Carlos Casas: Vespers & Madrigals; Raimond Wouda, Céline Clanet e Jan Stradtmann: 1 km; Joël Tettamanti: Past, Present and Future; Karen Knorr & Olivier Richon e Andreas Weinand: Youth Codes. Nel 2016 è stato nominato tra i curatori del Padiglione Venezia per la Biennale di Architettura. Nel 2020 è curatore del progetto MH ART PROJECT, residenza per artisti internazionali in diversi siti delle regioni Champagne/Cognac (Francia) in collaborazione con Barbarito Bancel Architectes/LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton. Il lavoro di Arena è stato esposto in numerose istituzioni e festival fotografici nazionali (Triennale di Milano; MACRO — Museo d’Arte Contemporanea di Roma; SI Fest) e internazionali (X Biennale di Architettura di San Paolo del Brasile con lo studio Latitude Platform; Alt+1000, Rossinière, Svizzera). Nel 2021 ha pubblicato anche A Folktale From Vietnam: Speeding Motorcycles and Roasted Lemongrass (The Velvet Cell). Quest’ultimo progetto è stato esposto a inizio 2022 allo Spazio Choisi a Lugano. Alcune opere sono state acquisite dalla Fondazione Artphilein. Il libro è stato selezionato per una mostra presso l’Athens Fotofestival al Benaki Museum nel 2022.

 

Marina Caneve (1988) sviluppa progetti attraverso la fotografia con una pratica dove sono centrali la stratificazione e il dialogo tra discipline e linguaggi; il suo lavoro s’inscrive nella dimensione della ricerca artistica. Le sue opere nascono prevalentemente da dubbi e dalla messa in discussione delle narrazioni frontali e stereotipate. Il suo lavoro s’ispira a una visione vegetale ramificata e i temi su cui si concentra sono la vulnerabilità ambientale e sociale, le sovrastrutture culturali, la riattivazione della memoria e la funzione delle immagini fotografiche che nascono per necessità utilitaristiche. Ha esposto in istituzioni nazionali e internazionali tra cui il MAXXI a Roma, Fotohof a Salisburgo, l’Institut Néerlandais a Parigi e La Triennale di Milano, e ha realizzato campagne fotografiche per istituzioni quali La Biennale di Venezia, MUFOCO, MiBACT, ICCD e Direzione Musei Lombardia. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private tra cui il MAXXI, la Collezione Farnesina, il MUFOCO, l’ICCD e il Museo nazionale della montagna. Dal 2013 è co-curatrice del progetto CALAMITA/À, una piattaforma d’indagine interdisciplinare che esplora il tema della catastrofe a partire dal caso studio del Vajont. Caneve combina la sua ricerca artistica con l’insegnamento; dal 2019 è docente presso il Master IUAV in Photography e Spazio Labò, oltre a curare workshop per diverse istituzioni. Il suo progetto e libro Are they Rocks or Clouds? (Fw:Books e OTM, 2019) è stato premiato con numerosi riconoscimenti tra cui Giovane Fotografia Italiana a Fotografia Europea, il Cortona On The Move Dummy Award, il Premio Bastianelli ed è stato nominato per il Prix du livre des Rencontres d’Arles.

 

 

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