Scorcio di Milano dalla copertura del Duomo (© Arianna Panarella)

Se i Giochi invernali possono fare a meno della montagna

Se i Giochi invernali possono fare a meno della montagna

Alla luce dei cambiamenti climatici e delle fragilità dell’ambiente alpino, meglio organizzare i grandi eventi in aree urbane o peri urbane (purchè al freddo)

 

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Published 6 febbraio 2023 – © riproduzione riservata

Il modo più corretto per giudicare il futuro dei Giochi olimpici invernali (e non solo) nell’epoca della crisi energetica e del riscaldamento climatico è valutare come sono andate le edizioni recenti. Mi riferirò in particolare a Torino 2006, che ho seguito da vicino, e a Pechino 2022. In entrambi i casi, e ancora di più per i prossimi Giochi di Milano Cortina, si è parlato fino alla nausea di rispetto dell’ambiente e sostenibilità, Olimpiadi etiche e integrate nel territorio, e chi più ne ha più ne metta, senza considerare che – per assecondare il business, il vero motore delle operazioni – l’attuale gigantesca dimensione olimpica prevede di costruire piccole “città” in luoghi fragili, oppure di utilizzare gli impianti già esistenti nelle vere città, ampliandoli a dovere, ma allontanandosi dalle montagne.

 

Torino 2006

A Torino è andata nei due sensi, con innegabili vantaggi per la metropoli (anche economici) e un accettabile riutilizzo degli impianti a Olimpiadi concluse, e, per contro, irreversibili impatti ambientali nelle zone alpine, dove megastrutture come la pista di bob e il trampolino di salto sono oggi abbandonati alle ortiche, con scandaloso spreco di denaro pubblico. Ci avevano illusi che in Piemonte saremmo diventati tutti praticanti del bob e dello slittino, e anche saltatori con gli sci, ma evidentemente una tradizione sportiva non si può inventare da un giorno all’altro. Inoltre ci si aspettava che le Olimpiadi di Torino avrebbero finalmente potuto riunire la città alla montagna, all’insegna di un progetto comune capace di trasformare entrambe, ma anche queste speranze sono rimaste in gran parte deluse. Nonostante le buone intenzioni, alla fine si sono utilizzate le montagne della Valle di Susa e della Val Chisone esclusivamente come “stadi”, impianti d’alta quota, scenari per lo sport. Se Torino è riuscita a trasmettere al mondo il suo fascino, traendone vantaggio turistico, l’immagine delle montagne è rimasta a livello di sfondo, un bianco territorio globalizzato senza identità storica, destino assurdo e paradossale se si considera che lo sci italiano è nato proprio su quei pendii.

 

Pechino 2022

Tutto il contrario per i Giochi di Pechino, dove ogni tassello era finto fin dal principio, ma perfettamente funzionale alla resa televisiva: dalla cerimonia di apertura a quella di chiusura, dalle scenografie gelate (grazie alle bassissime temperature) alle piste di discesa e agli altri impianti. Sullo schermo appariva tutto perfetto perché in realtà era tutto artificiale: la neve, la luce, le ombre, gli stadi, perfino le alture, lavorate per ottenere i giusti spazi e le pendenze ottimali. Un territorio sostanzialmente periurbano è stato plasmato in funzione dello spettacolo, rivoltato da cima a fondo, ripensato e ridisegnato come un unico grande apparato scenico, fino a ottenere quel risultato sorprendente. Praticamente in assenza di montagne.

 

Alcune considerazioni

Pechino ci ha fatto capire quanto i grandi eventi siano cambiati, non solo per effetto della pandemia. Sono dunque lecite e urgenti alcune considerazioni. Ammesso abbia ancora senso fare giochi di queste dimensioni, che si tratti di progetti davvero sostenibili per le casse degli Stati, e non solo per le tasche di chi guadagna con i soldi degli altri, d’ora in poi bisognerebbe evitare gli ambienti fragili e di alto valore paesaggistico come le Dolomiti di Cortina, tanto per essere chiari, dove non si è nemmeno stati capaci di rinunciare alla pista da bob utilizzandone una già esistente altrove. Non è più la località famosa a ospitare i Giochi, ma sono i Giochi – elefantiaci – a modellare la sede in cui si svolgono. E, non di rado, a stravolgerla.

 

La soluzione più paradossale (ma forse più sostenibile)

Ha ragione Cipra Italia, quando ammonisce che «La regione alpina non dovrebbe più essere presa in considerazione come sede di tali eventi. Per essere realmente sostenibili, i Giochi invernali dovrebbero comprendere meno discipline e prevedere l’affluenza di un numero di persone di gran lunga inferiore; dovrebbero inoltre essere ospitati esclusivamente in aree climaticamente idonee e prevedere l’utilizzo di strutture esistenti». Ma poiché, realisticamente, sembra utopico «comprendere meno discipline e prevedere l’affluenza di un numero di persone di gran lunga inferiore», e anche usare le strutture già esistenti perché il business olimpico si basa proprio sulla realizzazione di nuove infrastrutture o sul rifacimento di quelle obsolete, viene da pensare alla soluzione più paradossale, ma forse più sostenibile: allontanarsi dai centri famosi e trattare le Olimpiadi per quello che sono, una gigantesca operazione d’immagine, collocandole in ambienti urbani, o semi urbani, o peri urbani, e non nel cuore di un Patrimonio Unesco. Naturalmente, per i Giochi invernali, esiste ed esisterà sempre di più il problema climatico, perché il ghiaccio e la neve vanno prodotti e conservati a basse temperature, per cui Pechino ha funzionato e altri luoghi non potranno più considerarsi idonei.

Autore

  • Enrico Camanni

    Torino (1957), è approdato al giornalismo attraverso l’alpinismo. È stato caporedattore della «Rivista della Montagna» e fondatore-direttore del mensile «Alp» e del semestrale internazionale «L’Alpe». Ha scritto molti libri sulla storia e la letteratura delle Alpi e dell’alpinismo (tra cui La nuova vita delle Alpi (Bollati Boringhieri 2002), Alpi ribelli (Laterza 2016), Storia delle Alpi (Biblioteca dell’Immagine 2017) e otto romanzi ambientati in diversi periodi storici. Gli ultimi sono Una coperta di neve e La discesa infinita (Mondadori 2020, 2021) Si è dedicato ai progetti espositivi con la direzione scientifica del “Museo delle Alpi” al Forte di Bard, del museo interattivo del Forte di Vinadio e del rinnovato Museo della Montagna di Torino. È presidente di Sweet Mountains. (www.enricocamanni.it)

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