Shougang Big Air, Pechino 2022 (@teamminus)

Storie d’olimpici lasciti

Storie d’olimpici lasciti

Sostenibilità, riduzione dell’impatto, riuso a lungo termine sono i temi guida delle edizioni dell’ultimo decennio

 

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Published 6 febbraio 2023 – © riproduzione riservata

Una visione di riuso a lungo termine è ormai sempre più al centro della pianificazione dei Giochi olimpici. Il dibattito è spesso più intenso in occasione delle edizioni estive che non piuttosto di quelle invernali. Succede perché è nei Giochi versione “large” che le città sono maggiormente al centro dello sviluppo infrastrutturale e perché la natura delle discipline sportive fa sì che impianti e stadi siano molto caratterizzati nell’uso e debbano essere adeguatamente progettati per un loro successivo riuso.

Per quanto questo sia vero, però, le problematiche maggiori nel dare un’eredità alle architetture olimpiche si sono spesso riscontrate nel caso dei Giochi invernali: sembra un paradosso, dato che si tratterebbe almeno all’apparenza di “piste” e di “strutture” meno invasive e facilmente riutilizzabili per le pratiche amatoriali. Invece, è proprio da varie edizioni invernali che è emersa la difficoltà nel tener vivo l’uso continuativo di queste strutture: alle volte per l’assenza di una “vocazione sciistica” delle località ospitanti, altre volte per un sovradimensionamento degli impianti e delle strutture ricettive, pensate inizialmente per centinaia di atleti e delegati e poi ridotte a monumenti semi-vuoti, sottoutilizzati dal semplice “turismo bianco”.

 

PyeongChang 2018 e Pechino 2022

Un cambio di rotta importante, guidato dal CIO (Comitato Olimpico Internazionale) anche per le edizioni estive dei Giochi, si è avuto proprio nell’ultimo decennio, con un percorso che deve puntare molto di più alla sostenibilità e alla riduzione dell’impatto “costruito” sulle città ospitanti. A PyeongChang, in Corea del Sud (edizione 2018), lo stadio olimpico era stato dedicato soltanto alle cerimonie d’apertura e chiusura, e non alle gare. Il progetto era stato condotto per realizzare espressamente un impianto temporaneo, da smantellare del tutto al termine dei Giochi (una necessità di budget e di ottimizzazione delle risorse, accettando l’impossibilità di gestire uno stadio per 35.000 persone sul medio-lungo periodo).

A Pechino 2022 si è tentata la strada dell’integrazione con il tessuto esistente da riqualificare. In particolare, il trampolino per le gare acrobatiche con sci e snowboard è stato inserito all’interno degli spazi di un’ex acciaieria (progetto Atelier TeamMinus) e come parte di un progetto di riqualificazione già in corso per l’intero complesso, che punta a rinnovare la vecchia edilizia industriale trovando nuove funzioni a uso della collettività e dello svago.

 

Sarajevo 1984

Una menzione va fatta per la città di Sarajevo, le cui strutture olimpiche dell’edizione 1984 erano state immaginate come un ambizioso slancio tardo-sovietico verso il futuro che dovette tuttavia fare i conti con la successiva tragedia della Guerra dei Balcani (per quasi l’intero decennio successivo), passando attraverso distruzioni e difficili ricostruzioni. Al di là del destino tumultuoso, alcuni impianti sono stati riportati alla loro funzione originaria. In particolare, il palazzetto indoor Zetra Olympic Hall, ricostruito quasi del tutto dopo le devastazioni della guerra e tornato a ospitare eventi sportivi sul ghiaccio. Tuttavia, altri rimangono inutilizzati e senza una reale destinazione d’uso, come la pista da bob e slittino sul monte Trebević, passata dalle discese olimpiche all’uso come trincea militare fino a rimanere oggi un tratto di cemento che segna parzialmente la foresta di conifere locale.

Per approfondire: https://www.spomenikdatabase.org/post/the-architectural-legacy-of-sarajevo-s-84-winter-olympics

 

Nagano 1998

Una delle edizioni migliori per organizzazione e gestione degli impianti fu senz’altro quella giapponese, che va segnalata come un evento capace di creare un lascito vivo ancora oggi, e assolutamente al centro della vita locale. I 5 impianti olimpici continuano a essere pienamente utilizzati per gare e allenamenti, ma è sul piano delle infrastrutture che quei Giochi furono un esempio di eccellenza, migliorando i collegamenti con Tokyo e potenziando la linea ferroviaria e i tratti autostradali che negli anni successivi hanno favorito il turismo e la crescita commerciale.

 

Sankt Moritz 1928 e 1948

Infine, se ci può essere una speranza nella visione creativa di queste opere, è doveroso richiamarla dal caso della storica località svizzera dell’Engadina (a pochi chilometri dal confine italiano) che ha ospitato ben due edizioni dei Giochi.

Già per la prima edizione era stato costruito lo stadio del ghiaccio (1927), spartano ma affascinante luogo costituito dall’ampio ring per le gare, da un declivio naturale utilizzato come gradinata e dall’edificio principale, vero cuore dell’impianto: tre blocchi ben riconoscibili, delineati sui dettami del Bauhaus e del Neoplasticismo, con una torre laterale, un corpo longitudinale alla base e la piccola tribuna d’onore, sul livello superiore. Con la struttura in legno per accomodare gli spettatori ormai un lontano ricordo, l’edificio vero e proprio composto da torre e corpo longitudinale è rimasto intatto, con la sua curiosa forma a L in muratura e cemento che necessitava di una destinazione nuova. Ed è quello che si è impegnato a realizzare Rolf Sachs, noto designer, collezionista e filantropo svizzero, che ha tratto spunto dalle forme rigide e allungate dell’edificio e le ha ottimizzate a tal punto da rendere l’intero fabbricato la sua abitazione privata. Le 15 ampie finestrature che segnano la facciata ora non lasciano più intravedere l’interno con gli spogliatoi per gli atleti, le sale per l’attrezzatura e il viavai di staff e direttori di gara, ma sono illuminate da spazi interni caldi, colorati e arredati con gusto, in quella che è diventata una splendida baita di montagna dove il ripensamento delle suddivisioni interne diventa una piacevole sorpresa nascosta dal guscio originale, restaurato e assolutamente fedele alla sua estetica olimpica originaria.

 

Autore

  • Antonio Cunazza

    Torinese, laureato in Architettura e Restauro con una tesi sull’evoluzione dello stadio calcistico nel Novecento, è un autore e critico di architettura sportiva e si occupa di divulgazione sul tema da oltre dieci anni. Ha fondato, e dirige, la rivista online specializzata Archistadia.it, è fotografo figlio d’arte e profondamente legato all’estetica pop degli anni ’80 e ’90. Collabora regolarmente con riviste di sport e cultura («l’Ultimo uomo», «Undici») e varie realtà editoriali e giornalistiche nazionali

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