Milano Cortina 2026, dalla A alla Z
Piccolo glossario per avvicinarsi alla terza edizione dei Giochi ospitata dall’Italia
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Published 6 febbraio 2023 – © riproduzione riservata
A come Alpi. Non una città, nemmeno una regione. Le Olimpiadi Milano Cortina 2026 si estendono su un’area enorme, oltre 20.000 kmq. Per la prima volta le città ospitanti (quelle che danno il nome all’evento) sono due. Sono, potenzialmente, le Olimpiadi delle Alpi, da est a ovest, dalla pianura alle vette. Il rischio è che 15 giorni di gare, in uno spazio tanto esteso, abbiano ricadute molto limitate. Olimpiadi di tutti, Olimpiadi di nessuno?
B come Bob. Non il nome di un atleta olimpico, ma lo sport. La pista dove si pratica è emblema delle contraddizioni di questo genere di eventi. Perfino Maurizio Crozza nei panni di Luca Zaia ci ha fatto un monologo ironico. In sintesi: costruirla costa molto, in Italia non ha appeal né uso post-olimpico, l’esperienza della pista di Cesana Torinese per i Giochi 2006 è stata fallimentare. Si sono cercate strade alternative, da Innsbruck allo stesso Piemonte. Per il momento (mentre a Cortina affiorano dal bosco i resti della storica Eugenio Monti, in disuso dal 2008, come raccontato nel bel lavoro fotografico di Sofia Podestà) resta un punto di domanda.
C come Cortina Olympic Stadium. Il punto di contatto fisico con la storia. Costruito, senza copertura, tra 1952 e 1955, ha ospitato entrambe le cerimonie e numerose gare dei Giochi 1956. Nei decenni ha subìto numerosi interventi, fino a quello radicale del 2009. Sarà ulteriormente modificato in vista del 2026 e ospiterà le gare di curling.
D come De Albertis, Regina. La presidente di Assimpredil Ance (l’Associazione milanese delle imprese di costruzione) è tra le più attive sostenitrici dell’evento olimpico. In un recente convegno organizzato a Milano ha ribadito che “sono in gioco investimenti pubblici importanti a cui si aggiungono quelli privati già attivati, risorse che potranno incidere significativamente sul territorio”, chiedendo procedure più snelle e il riconoscimento di appalti più ricchi causa rialzo dei prezzi.
E come Expo. Ritorna spesso nei commenti l’Expo milanese 2015, sbandierato da più parti come la testimonianza della capacità del sistema Paese di compattarsi intorno a un progetto superando criticità, ritardi e condizioni complesse. Per Milano significa coltivare la speranza che le Olimpiadi abbiano lo stesso ritorno capace di andare oltre sprechi e qualche nota stonata: un Expo 2.0, in termini di identità e di slancio. Ma Expo, per l’Italia, significa anche la candidatura di Roma per il 2030. Segno che il Paese non rinuncia a scommettere sui grandi eventi.
F come Febbraio. Il mese olimpico, anno 2026. I Giochi (sono i 25° della storia) iniziano, con alcune competizioni, già mercoledì 4 febbraio. Ma la fiaccola olimpica si accenderà, a San Siro, 2 giorni più tardi, giovedì 6. L’atto conclusivo, dopo 109 gare, domenica 22 febbraio 2026 all’Arena di Verona.
G come Gellner. Come abbiamo già raccontato, è l’architetto che ha segnato Cortina e la sua storia. Il recupero di alcune sue opere è, già da ora, una bella eredità dell’attenzione (e dei fondi) generati dalle Olimpiadi. Rinnovata sensibilità che si ritrova anche nel recente Edoardo Gellner a Cortina d’Ampezzo. Da Palazzo Telve a Luce delle Dolomiti, a cura di Eleonora De Filippis, pubblicato nel 2022 da Silvana Editoriale (144 pagine, 34 euro).
H come Hockey. La casa olimpica dell’hockey su ghiaccio, a Milano, è probabilmente l’architettura più rappresentativa dei Giochi 2026. Che sembrano peccare (ma non è notizia negativa) di effetto wow, privilegiando riuso, recupero e un po’ di sano understatement. A Santa Giulia (quartiere in trasformazione ormai da molti anni) i rendering di David Chipperfield prefigurano una struttura con grandi anelli (o forse cerchi, ma non sono 5) con una superficie dinamica fatta di schermi luminosi.
I come Ice Rink. La prima rinuncia. A 3 anni dall’accensione della fiaccola ancora non si sa dove si svolgeranno le gare di pattinaggio di velocità. Sicuramente non a Baselga di Pinè, dove era previsto nel dossier di candidatura un rinnovato impianto da 5.000 posti. Troppo costoso l’intervento. Si sta cercando un’alternativa.
L come Livigno. Il paese più settentrionale della Valtellina (zona extradoganale perché una volta isolato nei mesi invernali… ma questa è un’altra storia di contraddizioni) ospiterà le gare di freestyle e di snowboard. Già sono state aperte alcune infrastrutture, al Mottolino. Poco più sotto, a Bormio, la Stelvio è la pista scelta per le gare di sci alpino maschile. La strategia è chiara: rafforzare anche, e ulteriormente, un altro polo dello sport invernale in Italia. Non è un caso che proprio l’Alta Valtellina nel 2005 abbia ospitato i Campionati mondiali di sci alpino, come successo lo scorso anno a Cortina. La crisi dei grandi eventi porta con sé anche la necessità di replicare le manifestazioni negli stessi luoghi.
M come Miliardi. Sono, decimale più decimale meno, 3 quelli impegnati per la realizzazione degli interventi olimpici: una lista di 73 cantieri, grandi e piccoli. Al netto di ritardi, dubbi e rincari (che ci saranno, e, con il rialzo delle materie prime, in maniera ancora più consistente di quanto avviene usualmente), colpisce la percentuale: l’11% dei finanziamenti per le infrastrutture sportive, il resto (nove volte tanto) per infrastrutture di altro tipo. La previsione ad oggi dice anche che l’80% degli interventi sarà completato entro dicembre 2025. Gli altri quando la fiaccola sarà già stata spenta.
N come Neve. Un’Olimpiade organizzata (anche) in città è già di per sé un azzardo. Mettiamoci il riscaldamento globale e le stagioni sempre più siccitose e il rischio di un’Olimpiade invernale con poco e pochissimo “bianco” è molto alto. Una garanzia in questo senso sono le quote di Cortina (1.200 metri di altitudine) e soprattutto Livigno (1.800). Forse lì la neve ci sarà (oltre a quella artificiale). Ma la carenza (futura) significa anche altro, ovvero che tanti degli interventi in atto su impianti e piste rischiano di essere investimenti poco lungimiranti.
O come Ombre. In un dibattito pubblico a dire il vero fiacco, qualche voce fortemente critica c’è. Tra le altre un libro-inchiesta molto denso, puntuale e informato che s’intitola appunto Ombre sulla neve. Milano-Cortina 2026. Il “libro bianco” delle Olimpiadi invernali. Per il rispetto della montagna, contro cemento, speculazione e sprechi. L’ha scritto Luigi Casanova, per Altreconomia, un riferimento obbligato per chi le Olimpiadi in questo formato le contesta.
P come Procedure. Come in tutti i grandi eventi italiani, a un certo punto arriva il momento delle procedure speciali per consentire la realizzazione (tempestiva…) delle opere. Chiamiamolo modello Expo o modello Morandi, se preferite. Ma siamo al punto anche per le Olimpiadi 26: corsie accelerate e possibili commissariamenti. La novità è che procede, parallelamente, il processo di riscrittura del Codice appalti. Che dovrebbe recepire e rendere norma anche le eccezioni, ormai ampiamente sperimentate.
Q come Quattro, i cluster. In un’Olimpiade così dispersa, ci si orienta grazie ai cosiddetti cluster, ovvero macro-aree sulla mappa geografica del Nord Italia. Sono 4: Milano (specialità ospitate: hockey, pattinaggio e short track), Cortina (sci alpino, bob, slittino, curling), la Valtellina (sci alpino, sci alpinismo, freestyle e snow board), la Val di Fiemme (sci di fondo, salto, combinata nordica). C’è poi una sede fuori-cluster, quella più settentrionale, dove la Südtirol Arena di Anterselva ospiterà gli atleti del biathlon.
R come Ritardi. “Opere per le Olimpiadi in ritardo ma per il 2026 gran parte sarà fatta”. Lo ha detto recentemente Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e mobilità sostenibili. Risparmiandoci almeno il balletto sulle interpretazioni, l’ammissione arriva direttamente dal Ministero stesso. Insieme a una promessa, che sa però di mezza sconfitta: “Alcune infrastrutture erano state contrattualizzate già in ritardo, con consegna prevista per il 2027, paradossale per un’Olimpiade che si svolgerà nel 2026. Qualcosa è chiaro che non ha funzionato”.
S come Strade. Piste, stadi, impianti. Ma soprattutto strade, tante, un po’ ovunque. L’eredità delle Olimpiadi sarà soprattutto fatta di asfalto. Non pare proprio l’inno alla sostenibilità ma la risposta alle cosiddette richieste di una mobilità più efficiente in territori critici. O forse perché in Olimpiadi così disperse anche gli addetti ai lavori si dovranno muovere. E molto…
T come Torino. Da una parte è l’ultima sede olimpica italiana, un ricordo vivo e non lontano nel tempo. C’è chi lo vede come un modello da ripetere, chi come uno spreco di risorse da evitare. Sicuramente il paragone di Milano Cortina 2026 si farà, a giochi conclusi, proprio con l’edizione 2006. Ma c’è anche altro: perché l’Oval (uno degli impianti di quei Giochi) potrebbe tornare a ospitare le competizioni orfane dell’Ice Rink di Baselga di Piné. A volte ritornano. Forse.
U come Undici. Come le sedi delle gare. Dalla pianura alla montagna. A Milano si gareggerà al nuovo Palaitalia Santa Giulia, alla Milano Hockey Arena e al Forum di Assago. A Cortina sull’Olympia delle Tofane, al Cortina Sliding Center e al Cortina Olympic Stadium. A Livigno nella ski-area del Mottolino, a Bormio sulla pista Stelvio. In Val di Fiemme al Predazzo Ski Jumping Stadium e al Tesero Skiing Stadium. Infine, c’è la Südtirol Arena di Anterselva.
V come Villaggi. Avrebbero dovuto essere 3 per circa 3.500 posti letto complessivi. Il principale a Milano (Porta Romana) è l’occasione per la rigenerazione di uno dei famosi scali ferroviari. Ad Olimpiadi finite sarà un quartiere di housing per studenti, con proprietà mista pubblico-privata. Il secondo a Cortina, in località Fiames, dovrebbe essere completamente smantellato, anche se ci sono alcune ipotesi di riuso da parte della Protezione civile. Quello di Livigno invece è stato accantonato strada facendo. Avrebbe dovuto essere temporaneo. Non si farà proprio: atleti e addetti ai lavori dormiranno negli alberghi.
Z come Zero. L’opzione-zero (zero impatti, zero consumo di suolo, zero nuove costruzioni) è sventolata come bandiera della sostenibilità. ll 93% degli impianti sono già esistenti o temporanei, dichiarano i documenti di candidatura. Gli interventi più onerosi sono stati cassati. Ma, al di là degli slogan, ci sono opere di supporto che sembrano raccontare storie e filosofie diverse.
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Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale