L’alternativa Homes4All
Il fondatore della società benefit startup racconta la recente esperienza, scaturita dal mutato quadro abitativo sociale ed economico
Published 05 settembre 2024 – © riproduzione riservata
Homes4All è un’esperienza d’integrazione e innovazione: è una società di capitali interamente privati, certificata come B-corp (ovvero benefit corporation) per gli impatti sociali che produce. Nasce per rispondere all’emergenza abitativa mobilitando risorse private e per offrire nuove forme di abitare senza costruire ex novo.
La nostra ambizione è di riuscire a tenere insieme la complessità del tema casa, all’interno di un quadro sociale e demografico che è profondamente rinnovato e che sbaglieremmo a voler ricondurre ai paradigmi d’interpretazione e intervento del secolo scorso. Ci rivolgiamo prima di tutto a quelle famiglie che si trovano al di sotto della cosiddetta “fascia grigia”, dove dovrebbe in teoria intervenire il pubblico. Persone in emergenza abitativa, che hanno diritto ad una casa popolare ma che non riescono ad accedervi.
Tutti proprietari, luci e ombre
In Italia, dagli anni ’90, abbiamo pensato che la casa popolare non servisse più. Qualcuno sostiene che è successo per una sorta di egemonia culturale neoliberista. Mi pare una visione troppo semplicistica. Partirei dal fatto evidente che questo disinvestimento pubblico non ha creato allora grande dissenso. Forse eravamo collettivamente concordi nell’immaginare che in un paese di piccoli proprietari a demografia stabile, la questione delle abitazioni fosse tema risolto. Infatti alienammo parte del patrimonio pubblico, offrendolo in acquisto agli abitanti a condizioni favorevoli, per renderli finalmente proprietari. Si tratta di un’idea che ha radici lunghe, non solo in Italia ma in gran parte dell’Europa meridionale ed orientale, culturalmente figlia delle posizioni di Pierre-Joseph Proudhon, per il quale la proprietà era forse un furto, ma di certo una garanzia di libertà. Friedrich Engels non sarebbe stato d’accordo.
A un secolo e mezzo di distanza, la patrimonializzazione immobiliare delle famiglie, che vale più o meno quattro quinti del totale, rimane una certezza (e una preferenza, anche nelle generazioni più giovani). Ma può costituire un vincolo, limitando ad esempio la mobilità territoriale, diventare un peso quando la concentrazione delle linee ereditarie produce patrimoni senza redditi sufficienti a mantenerli, e comportare un rischio quando l’evoluzione normativa e l’innalzamento degli standard possono mettere fuori mercato parti importanti di patrimonio. A fronte della carenza di case accessibili abbiamo quindi uno stock significativo di abitazioni private in vendita: una sovrabbondanza di offerta che in alcuni contesti spinge i prezzi verso il basso, in altri si manifesta soprattutto come stagnazione delle transazioni.
Ecco, noi cerchiamo di lavorare facendo incontrare queste due condizioni: partiamo dagli immobili disponibili comprando case con valore di carico basso per offrire soluzioni praticabili a chi non può trovarle nel mercato e non riesce a ottenerle dal pubblico.
Milano non è l’Italia
Il dibattito sulla casa in Italia è spesso condizionato dal concentrare l’attenzione su alcune situazioni limite, estreme ma anche eccezionali. Milano – e qualche altro centro, soprattutto al nord – è un hot market. Questa focalizzazione produce effetti distorsivi sulle nostre interpretazioni. Fa sembrare che il problema sia solo economico. Che la risposta debba essere quindi quantitativa, costruire più case, regolativa, ad esempio vietare Airbnb, e pubblica, ritornare a finanziare la casa come avveniva coi fondi Gescal.
Tutto vero, ma non dappertutto. La stragrande maggioranza del paese vive uno scenario opposto, di offerta senza domanda, in cui gli alloggi esistenti si scambiano a valori inferiori al costo di costruzione o ristrutturazione. Succede nelle piccole città, nelle aree interne. Ma anche a ridosso delle metropoli, all’interno dei loro bacini di pendolarità.
Il nostro impegno, a partire da Torino
La nostra attività nasce a Torino, constatando che nella zona nord – dove si concentrano sfratti e povertà – i valori degli immobili erano tali da consentire di acquistare, ristrutturare e affittare restando dentro canoni sociali pur remunerando il capitale investito: poco, ma questa è la differenza tra benefit e no, tra impact e no. In due anni abbiamo assegnato – a famiglie segnalate dai servizi sociali della Città – 80 alloggi che ospitano 120 persone, con 50 percorsi di accompagnamento abitativo. Certo poco rispetto al fabbisogno, ma se consideriamo che a Torino negli ultimi anni si sono assegnati tra i 300 e i 500 alloggi popolari in un anno, non è trascurabile.
Da qui stiamo provando ad esportare la formula, nel Cuneese, a Genova, in Emilia-Romagna. E anche a Milano, nella periferia nord, proponendo un inedito mix di case di mercato e ad affitto calmierato, e nei comuni di corona dove i prezzi sono accessibili e l’accessibilità è buona. Ricky Burdett sosteneva che il trasporto pubblico è il nuovo welfare, proviamo allora a guardare in quelle aree dove la dotazione infrastrutturale è elemento capace di scardinare l’attuale condizione di abbandono e scarsa attrattività.
Povertà, una e trina
Della povertà economica abbiamo detto. Con un’avvertenza: le risposte semplicistiche e gli slogan sono dannosi. L’affordability della casa è naturalmente una questione rilevante. E deriva dal fatto che il rapporto tra reddito e costo per l’acquisto oggi è generalmente molto sbilanciato. Ma siamo sicuri che la colpevole sia solo la casa e non invece il fatto che i redditi non aumentano da anni? Dico questo perché guardare solo al costo del bene è miope.
Ci sono almeno altri due fattori di povertà che il Novecento non conosceva e invece il nuovo secolo affronta. Il primo è legato ai consumi energetici. Sempre più spesso ci sono famiglie che possono sostenere il costo dell’abitazione ma non quello dell’abitare, se con questo intendiamo stare bene. Ed è un’emergenza da affrontare insieme a quella relazionale, che è una questione tutta nuova e che in parte spiega il paradosso di demografia declinante ed emergenza abitativa crescente. Lo stock delle abitazioni non è più adeguato alla domanda che emerge dalla società: energeticamente – e questo lo sappiamo dalla crisi petrolifera del 1973 – ma anche tipologicamente. In media i matrimoni in Europa durano circa 6 anni, vuol dire che il concetto di nucleo famigliare è sempre più labile e multiforme: famiglie monocomponente, famiglie monoparentali, famiglie ricomposte, famiglie a geometria variabile. La vita si allunga, aumentano i periodi di solitudine, s’indeboliscono i confini tra vita lavorativa e pensione, tra spazio del lavorare e dell’abitare.
La casa torna ad essere – o poter essere – una “piattaforma abilitante” che attraverso dotazioni nuove di spazi e servizi non abitativi consente nuovi stili di vita e nuove forme di relazione e reciprocità. Non basta più il bi-trilocale con doppi servizi. Soltanto comprendendo questa complessità possiamo elaborare una visione adeguata ad affrontare le criticità dell’abitare contemporaneo, e coglierne anche le opportunità.
Investire, memori della critica “da sinistra” alla casa popolare
In questo contesto stiamo cercando di sperimentare negli interventi più complessi una forte integrazione funzionale che muove anche da una certa critica (“di sinistra”, possiamo dire, per esempio pensando a Giancarlo De Carlo o a Colin Ward) all’idea di casa popolare fornita dallo Stato. De Carlo parlava di esproprio della capacità di abitare operato attraverso politiche e modelli spaziali che rendevano passivo l’abitante, e non è un caso che Ward fosse tra i pochi ad articolare una critica al right to buy di Margaret Thatcher che era al contempo critica delle politiche di welfare e housing pubblico.
Credo che il futuro stia nell’ibridazione all’interno dello stesso contesto di case per famiglie con medio/alto reddito insieme ad alloggi sociali, di case per studenti e case per homeless, di case per senior e case per giovani famiglie. Nella direzione dell’housing first, cioè riconoscendo che la casa è l’ancoraggio spaziale del supporto sociale, ma anche che questo non è più monodimensionale né può essere solo emergenziale.
I temi dell’integrazione e della reciprocità possono essere attivati solo se pensiamo alla casa come ad un’infrastruttura multifunzionale. Con servizi e opportunità che devono essere adeguatamente recepiti dalle amministrazioni pubbliche come parti attive del welfare urbano. Molto concretamente cito, tra le altre cose, l’esigenza che le attività capaci di generare energie e dinamismo per la comunità non devono rientrare nei calcoli volumetrici o di oneri di urbanizzazione. Ma per fare questo è anche necessario avere una programmazione a medio termine.
Immagine di copertina: Torino, Borgata Tesso, uno degli interventi in corso di Homes4All
Come funziona Homes4All
Homes4All srl è la Società Benefit Startup innovativa certificata B Corp dal 2022. Recupera e riqualifica immobili sfitti e/o sottoutilizzati per realizzare soluzioni abitative innovative, collaborative ed ecologiche che sono motore di rigenerazione urbana, grazie alla sua rete di investitori a impatto sociale. Soci fondatori sono Brainscapital (società benefit di consulenza per l’accompagnamento di startup e attività imprenditoriali e per lo sviluppo di soluzioni per progetti innovativi) e Homers (spin-off del Politecnico di Torino, società benefit di architetti e ingegneri impegnata nella sperimentazione di nuovi modelli di abitare). “I soci di Homes4All – spiegano – sono più di 170, da fondi istituzionali che hanno investito centinaia di migliaia di euro a privati che hanno investito nella scala delle migliaia quando non centinaia di euro. La motivazione principale è che – essendo noi un’impresa benefit e non una cooperativa o un’impresa sociale, formule che faticano ad attirare capitali per ragioni strutturali – i soldi investiti siano capaci di produrre un impatto sociale positivo. I ritorni, eventuali, sono lontani e modesti, gli impatti attuali e misurabili. Quest’anno abbiamo misurato per la prima volta il social return of investment: ogni euro investito in Homes4all ha generato impatto pari a 3,24 euro. Gli economisti lo chiamano «capitale paziente» perché si dà il tempo giusto per attendere che le azioni architettoniche e urbane influiscano positivamente sulle dinamiche sociali, ma è anche capitale attivo, perché mentre costruisce il futuro inizia a cambiare il presente”.
Architetto e professore ordinario in Progettazione architettonica e urbana al Politecnico di Torino. Le sue ricerche e progetti sono focalizzati sul tema del riuso di edifici e rigenerazione di parti di città, anche attraverso la sperimentazione di modelli innovativi di accesso alla proprietà e organizzazione degli spazi, con l’obiettivo di promuovere iniziative ad alto impatto sociale. È fondatore e responsabile sviluppo della società benefit Homes4All (https://homes4all.it/) – che guarda sia alle istanze sociali che alla redditività, offrendo punti di vista innovativi sul tema della casa -, nonché presidente della Fondazione Impact Housing (http://www.fondazioneimpacthousing.org/) – nata per promuovere la cultura dell’impact investing nel settore della casa