L’abitare è sempre più una questione di “verde”

L’abitare è sempre più una questione di “verde”

 

A cavallo dello shock pandemico, i temi ambientali si integrano con quelli sociali verso il progetto della “casa giusta”

 

LEGGI GLI ALTRI ARTICOLI DEL RITRATTO DI CITTA’ «MILANO CHE CAMBIA»

 

Verde&Società. Già prima del fatidico marzo 2020 la retorica dell’housing milanese s’incardinava su questi due concetti: progetti che più green non si può, intensamente integrati nel tessuto sociale cittadino, meglio se di un quartiere con forte identità oppure – ancora meglio – se vicini agli hot spot della trasformazione urbana. E infatti gli interventi (nella città che ha sdoganato il Bosco Verticale, facendone emblema di successo globale) solleticavano l’immaginario delle famiglie in cerca di casa con nomi fortemente orientati al tema della sostenibilità e della vivibilità: dall’edificio mangia-smog agli horti urbani.

Ora, nel pieno dell’emergenza sanitaria – che tanto profondamente rimette in discussione gli equilibri e le prospettive del nostro vivere domestico – questi concetti sembrano ancora più pressanti, tagliando trasversalmente tutte le tipologie di abitazioni di nuova realizzazione: dal settore del lusso all’housing sociale, dalla cooperazione edilizia alle sperimentazioni più intense.

Se il mercato residenziale milanese mette oggi in campo – pur con una stima difficile da verificare – circa 13 miliardi, buona parte è frutto d’iniziative che sono il riflesso di quell’attrattività capace di richiamare a Milano – insieme a imprese e forme di lavoro e produzione – una popolazione internazionale con buona disponibilità finanziaria (fenomeno che spiega i prezzi in continuo rialzo) e una propensione all’acquisto, anche in termini di status symbol. La ricetta degli operatori è: firme all’avanguardia dal punto di vista architettonico (un’inclinazione che spesso si auto-limita al progetto degli interni), imperdibili location nei luoghi dove tutti vorrebbero essere, e un’identità del progetto basata su un raffinato storytelling.

Ecco allora due cantieri che stanno, finalmente, risolvendo storie annose di costruzioni interrotte e fallimenti. Da pochi mesi sono concluse le residenze Carlo Erba, griffate Peter Eisenman in zona Città studi (edificio sinuoso che ambisce a recuperare regole e tendenze dell’architettura del palazzo milanese, con una facciata, pur eterogenea, in travertino e marmo di Carrara), o i Giardini d’inverno (il condominio dei vip, con alloggi prenotati da sportivi e attori) in via Pirelli, iniziativa di China Investment: tre edifici progettati da Paolo Caputo che posiziona ai piani alti piccole serre che diventano fattore identitario della facciata stessa. E sempre la suggestione di una natura controllata a dare nome e vocazione agli Horti di Porta Romana (Michele De Lucchi con DFA Partners), che invece è un progetto di recupero e ristrutturazione di un edificio storico.

Tra le costruzioni che occhieggiano con decisione al mantra della sostenibilità tecnologica ed energetica si distingue il NòvAmpère, progettato dallo studio Beretta Associati e concluso lo scorso anno, edificio di cortina non lontano dalla Scuola di Architettura del Politecnico: anche qui si racconta soprattutto della speciale facciata mangia smog, la cui orditura è realizzata con un cemento autopulente. Lo stesso studio Beretta Associati, tra i più attivi nel campo residenziale, ha in corso altri interventi: tra questi in costruzione sono i 24 piani della Torre Milano di piazza Carbonari che esprime, anche nella tipologia dell’edificio alto, il predominio di una rigida orditura di facciata. Saranno edifici alti (22 e 15 piani) – e che ugualmente, già nel nome, non rinunciano al tocco green – le Park Towers del quartiere Feltre: anche in questo caso un centinaio di alloggi, progettati da Paolo Asti, e un’immagine che volutamente si confonde negli spazi aperti del vicino Parco Lambro. Tutte suggestioni portate alle estreme conseguenze nel piano SeiMilano (conclusione prevista entro 3 anni) che si auto-definisce la nuova città-giardino milanese (Bisceglie), progettata da Mario Cucinella Architects con il disegno paesaggistico di Michel Desvigne: 500 abitazioni in blocchi di 7/8 piani che definiscono una nuova geografia del territorio, in una cava dismessa [nel disegno di copertina].

Racconta invece una storia diversa, di riuso ed innovazione tipologica, la ristrutturazione in corso delle Officine Fratelli Borletti di DFA Parners: 100 nuove case ricavate attraverso un’operazione di mantenimento delle facciate esistenti decorate e una radicale ridistribuzione volumetrica. Ed è un recupero attento a tradizione e sito quello dell’Ostello Combo, forma di residenzialità particolare, per turisti che trovano – in questo frammento di Navigli – un rinnovato luogo dell’ospitalità (per oltre 200 posti letto), dove i valori della condivisione e dello stare insieme (plasticamente rappresentati dal cortile centrale con grande albero) diventano uno dei fattori del progetto.

Si rivolge ad una fetta di mercato diversa il maxi quartiere (615 alloggi) di social housing Redo Milano, a Rogoredo Santa-Giulia, esito di un concorso promosso da Cassa depositi e prestiti, InvestiRE Sgr e Fondazione housing sociale, con 70 milioni d’investimento complessivo e un collage di soluzioni architettoniche con edifici in linea intorno ad una successione di corti. Il ruolo significativo del social housing (che ha ad esempio un’applicazione altrettanto importante, e in gran parte conclusa, a Cascina Merlata) permette di guardare l’altra faccia dell’edilizia residenziale milanese, che fa riferimento all’esperienza della cooperazione edilizia. Punto di partenza ineludibile è l’ormai pluriennale AAA architetticercasi, concorso per giovani progettisti di Confcooperative habitat, che ha portato alla costruzione, negli anni scorsi, di alcuni progetti esito della competizione. Il lavoro per un’area di Rogoredo, vincitore nel 2020, è Abitare il bordo (Gregorio Pecorelli, Tobia Davanzo, Chiara Dorbolò), che Giancarlo Consonni – urbanista di lungo corso, professore emerito al Politecnico e presidente della giuria – descrive con parole che indicano la prospettiva dell’architettura residenziale milanese del prossimo futuro: «Dare forma agli spazi dell’abitare, sia nella sua parte più privata sia nella sua parte collettiva e pubblica, richiede nei progettisti un senso di equilibrio, ossia quello che auspichiamo e per cui ci battiamo da tempo: un’urbanistica e un’architettura che sappiano farsi interpreti di una tensione civile e comunitaria. Il concorso e il giusto equilibrio fra realismo e utopia del progetto vincitore sottolineano la traiettoria in cui si inserisce il movimento cooperativo e rilanciano anche a tutti gli altri interlocutori che hanno in mano le sorti della città la sfida a superare modelli consolidati, esplorando il nuovo e la reinvenzione della città sulle sue radici più antiche». Come sottolineato da Consonni, la cooperazione edilizia sembra essere sempre più un settore traino dell’housing milanese. Non più edilizia banale, ma luogo di una possibile innovazione del progetto di architettura, capace di dare risposte efficaci alle aspettative di una fascia larga della popolazione, come dimostra una tra le iniziative simbolo, quella di Lambrate, inaugurata nel 2019 con progetto di Atelier Alfonso Femia: edifici i cui diaframmi di facciata disegnano profondità e dinamismo.

In quest’ottica pare utile chiudere questa rassegna di progetti con il punto di vista di Alessandro Maggioni, presidente del Consorzio cooperative lavoratori e di Confcooperative habitat: «Anche i non addetti ai lavori si sono ormai resi conto che il mercato abitativo sta subendo dei radicali mutamenti che gradualmente iniziano a intaccare anche quella narrazione roboante di una città energica, dalla dimensione metropolitana e vocazione internazionale e dalle mille opportunità alla portata di tutti. Un’utopia ingigantita da proclami di crescita infinita che – oggi più che mai – mostra i propri limiti. In questo quadro l’immobiliare sarà al centro di radicali mutamenti: dallo smart working alla prevalenza della dimensione domiciliare, tutto il settore dovrà interrogarsi. Da tempo, soprattutto in una città come Milano, va affermandosi anche un diverso approccio al bene casa che fa il paio con l’imporsi, a più livelli, della sharing economy, ossia un approccio rispetto a beni durevoli molto più strumentale che simbolico, con la conseguenza che alle giovani generazioni interessa molto di più l’uso di tali beni piuttosto che il loro possesso. Oltre alle case sociali e all’edilizia convenzionata, il movimento cooperativo vuole provare a costruire case giuste, guardando soprattutto a chi oggi può avere qualche disponibilità economica, decidendo di continuare a vivere nel suo quartiere, in un alloggio a un costo sensibilmente più basso di quello di mercato. La cooperazione è un efficace strumento anche di resistenza alla gentrification delle città. In questa direzione serve una solida e costante azione politica a sostegno di processi di riequilibrio delle naturali distorsioni del mercato stesso: un forte ruolo di indirizzo del pubblico. Giocando d’attacco e provando a immaginare un ruolo trainante di Milano che – sulla questione abitativa e della programmazione urbanistica – proponga qualche innovazione dirompente».

Progetti segnalati nell’articolo

Residenze Carlo Erba (Eisenman Architects con Degli Esposti Architetti e Guido Zuliani), 2019
Giardini d’inverno (Caputo Partnership International), cantiere in corso
Horti di Porta Romana (Michele De Lucchi), cantiere in corso
Novampere (Beretta Associati), 2019
Torre Milano (Beretta Associati), cantiere in corso
Park Towers (Paolo Asti), cantiere in corso
SeiMilano (Mario Cucinella Architects), cantiere appena avviato, conclusione 2023
Officine Fratelli Borletti (DFA Partners), cantiere in corso
Ostello Combo, 2019
Redo Milano, cantiere in corso

Progetti di housing cooperativo

Habitat Bisceglie (SeiMilano) (Studio Iter), fine prevista 2023
Lambrate (Atelier Alfonso Femia), 2019
Via Zoia (Luca Mangoni e Vincenzo Gaglio), 2014
Cascina Gatti a Sesto San Giovanni (Marco Magni), 2016

 

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

    Visualizza tutti gli articoli