Case sostenibili? Le premia il mercato
Il direttore del comitato scientifico di REbuild illustra le implicazioni sul mercato immobiliare della Direttiva sul rendimento energetico in edilizia
Published 14 maggio 2024 – © riproduzione riservata
L’articolo apparve su una rivista digitale di design, qualche anno fa. L’amministratore di una multinazionale dell’abbigliamento sportivo – Eric Sprunk di Nike – dichiarava senza esitazione: there is no innovation without sustainability, non c’è innovazione senza sostenibilità. Che l’innovazione e la capacità di generare profitto dovessero avere come sfondo i valori della sostenibilità francamente mi sorprese. La sostenibilità, allora come oggi, è da molti considerata un semplice costo, un tributo necessario per un mondo socialmente e ambientalmente – forse – migliore, ma certamente non il viatico per un più brillante percorso di sviluppo.
Unire l’utile… con l’etica
Ribaltare la prospettiva e considerare l’adesione ad alcune parole chiave della contemporaneità – decarbonizzazione, economia circolare, la stessa sostenibilità – un’opportunità, e non semplicemente un vincolo imposto dalla Direttiva sul rendimento energetico in edilizia, diviene una prospettiva utile anche per chi opera nelle città, alle prese con i settori delle costruzioni e dell’immobiliare.
Ogni ipotesi necessita tuttavia di verifiche. Che la sostenibilità rappresenti una fonte di valore non è per nulla scontato. Un test è possibile a partire dalle preferenze che i mercati evidenziano tra patrimoni più o meno sostenibili, tra immobili più o meno energivori. I più recenti studi evidenziano che i valori del patrimonio residenziale italiano – la cassaforte del risparmio delle famiglie dal controvalore di oltre 5.000 miliardi di euro – sono chiaramente organizzati rispetto alla loro posizione sulla scala dei consumi energetici.
Più in alto l’immobile si posiziona nella classe APE, la scala dell’efficienza energetica che condividiamo con tutta l’Europa, maggiore è il valore della nostra abitazione. Scarti di valore statisticamente significativi dividono dunque immobili più aderenti ai criteri della sostenibilità rispetto a beni realizzati quando ancora il consumo di energia non poneva alcun problema né ambientale né economico. La transizione energetica può così essere letta come occasione di sviluppo in grado di tenere insieme obiettivi schiettamente utilitaristici di famiglie e imprese e le finalità collettive legate alle diverse transizioni – sociali, ambientali, economiche – che le nostre società devono intraprendere.
Una casa efficiente? Serve innovazione, non incentivi
Perché la casa green rappresenti un’opportunità per l’intera filiera, tutti i soggetti devono fare la propria parte. Alle imprese di costruzioni è richiesto un aumento di produttività (e dunque una riduzione dei costi) per progetti di riqualificazione che siano alla portata di un ceto medio che in questi anni non ha conosciuto alcuna significativa crescita del proprio reddito. Per farlo bisogna essere più digitali e bisogna sviluppare la manifattura delle costruzioni, la produzione cosiddetta off site, che sposta in fabbrica larga parte della produzione con tempi e affidabilità ampiamente migliorati.
Ad architetti e ingegneri è richiesto di sfruttare le opportunità di processi progettuali originali che sfidano le consolidate modalità, in particolare nell’ambito della riqualificazione del patrimonio esistente. Agli enti locali è richiesto di favorire l’adeguamento dello stock esistente con nuove norme urbanistiche, permettendo interventi che elevano simultaneamente l’efficienza energetica degli immobili e la loro qualità complessiva. Infine, allo Stato è richiesto un sistema d’incentivi che favorisca simultaneamente lo sviluppo d’imprese tecnologicamente ed economicamente più efficienti e la riqualificazione dello stock abitativo esistente.
Si tratta di un cambio radicale rispetto al Superbonus 110%. Gli incentivi devono favorire l’evoluzione dell’offerta e definire con chiarezza una traiettoria che, a termine, riduca il contributo pubblico a valori modesti quando non nulli. La percentuale del costo a carico della collettività deve avere valore decrescente in funzione di una produttività sempre più elevata, al contrario di quanto è avvenuto con il Superbonus 110% che ha, di fatto, reso sostanzialmente irrilevante l’innovazione delle imprese, pur a fronte d’ingentissimi investimenti pubblici.
Immagine di copertina: Bjarke Ingels Group, complesso residenziale The Mountain a Copenaghen
REbuild anno decimo
La manifestazione REbuild lavora dichiaratamente nella direzione accennata nell’articolo. A Riva del Garda, il 14-15 maggio, imprese e professionisti, amministratori e ricercatori discutono sui temi della sostenibilità e della decarbonizzazione perché la sintesi tra agende private e collettive trovi sostanza, si trasformi in soluzioni capaci di cambiare il modo in cui si produce valore nei settori delle costruzioni e dell’immobiliare. La transizione energetica e ambientale ha carattere sistemico e nessuna riduzione del problema permette soluzioni di immediata efficacia. L’edizione 2024 di REbuild affronta le molteplici dimensioni del tema. Considera il modo in cui la finanza e le imprese devono confrontarsi con i criteri ESG – environment, social, governance – decisivi per l’accesso alle risorse; ragiona sui nuovi materiali bio-based e sul riuso per mettere in luce nuovi modelli d’impresa che sostanziano una nuova economia della circolarità; presenta modelli d’industrializzazione delle costruzioni che consentono una valorizzazione del patrimonio abitativo in forme economicamente più accessibili; indaga le politiche e gli incentivi che possono sostenere le diverse dimensioni della transizione. L’incontro promuove tuttavia anche una riflessione sull’audacia e sull’ambizione che i settori economici alle prese con l’ambiente costruito sembrano dover ritrovare. L’invito a un’industria italiana, Thales Alenia Space Italia, a raccontare lo sviluppo di moduli abitativi permanenti e sostenibili sulla Luna e su Marte rimette provocatoriamente al centro della discussione quale ambizione il comparto possa mostrare al resto dell’economia e della società italiane, quale possa essere il rango delle aspettative d’imprese e professionisti, auspicabilmente non riconducibile alla sola collazione di sussidi, bonus e incentivi. Il ragionamento vale anche per la cultura della progettazione, alle prese con un cambiamento potenzialmente radicale delle forme di produzione dello spazio, tra nuovi materiali, digitalizzazione dei processi e loro crescente industrializzazione, con implicazioni solo in parte intese e apprezzate. Unire innovazione e sostenibilità non rappresenta solo un’esortazione piena di buona volontà. È un percorso che può essere intrapreso con passi decisi e ritorni adeguati. Ed è anche una sfida assai ambiziosa che la comunità di REbuild intende raccogliere, raccontando esperienze e progetti che ridanno unità e coerenza a parole d’ordine, oggi come non mai, alla ricerca di una loro concreta ed efficace traduzione nel mondo che abitiamo.
Nato a Udine (1966), è professore ordinario presso lo IUAV di Venezia dove insegna le materie legate all’economia del progetto. È direttore del Master U-Rise in rigenerazione urbana e innovazione sociale. Coordina il cluster di ricerca IMPACT sui temi dell’impatto economico e sociale degli interventi su città e territori. È responsabile di ricerche nazionali e internazionali, tra cui EUREKA Urban Innovators Training Programme, nonché di convenzioni operative e di ricerca con istituzioni e associazioni d’imprese, tra cui Assolombarda, Comune di Bergamo, Confindustria Vicenza, Consiglio Nazionale degli Architetti, Ministero della Cultura. È presidente del Comitato scientifico di REbuild