Decreto sicurezza e carceri: una risposta sbagliata
Le recenti norme governative pongono questioni sui modelli detentivi. Tra architettura e necessità di prendere posizione
LEGGI LE ALTRE PUNTATE DELL’INCHIESTA “EMERGENZA CARCERI”
Published 14 Maggio 2025 – © riproduzione riservata
Le criticità del nostro carcere sono da tempo illustrate all’opinione pubblica e portate all’attenzione di ogni compagine governativa. Consistono nel cronico sovraffollamento e degrado delle strutture, nell’assenza di una adeguata offerta formativa e lavorativa, nei limiti nell’assistenza sanitaria, nella carenza di personale, nella presenza di soggetti malati cronici, con malattia e disturbo mentale e con dipendenze da sostanze e terapie farmacologiche, e nell’elevato tasso di suicidi tra i detenuti ed il personale di custodia.
Norme che porteranno al collasso del sistema
Allarmano la conflittualità crescente tra detenuti e detenenti che si manifesta con atti di violenza, ribellioni ed abusi da entrambe le parti.
I sindacati della Penitenziaria denunciano aggressioni verbali e fisiche nei loro confronti da parte di soggetti ritenuti “di difficile adattamento” e chiedono misure per contrastarle. Presso le Procure vengono avviate inchieste per presunte violenze, abusi di potere, pestaggi e maltrattamenti, perpetrati ai danni dei detenuti da parte del personale di custodia. I detenuti rivendicano condizioni detentive dignitose ed attività trattamentali come progetti di inclusione socio-lavorativa, attività culturali, ricreative, relazionali, inscenando proteste, a volte violente.
Nel recente Decreto Sicurezza 2025, sono incluse misure per rafforzare la tutela del personale di custodia e prevenire e neutralizzare qualsiasi forma di violenza e resistenza in carcere, esclusivamente con nuove ipotesi di reato ed aggravio di pena.
In questo modo, violenza e conflittualità in carcere sono considerate problemi di ordine giudiziario e non sociale e si configurano futuri scenari relazionali ulteriormente basati su rapporti di forza.
L’obiettivo dichiarato è quello di garantire maggior sicurezza e supporto al personale di custodia, riconoscendogli un ruolo primario nella gestione degli Istituti. Diverso sarebbe stato affrontare la questione considerando la molteplicità dei soggetti coinvolti nella critica gestione dell’esecuzione penale.
Per quanti hanno consapevolezza del carcere, tali provvedimenti aumenteranno la popolazione carceraria e il sovraffollamento, con il definitivo collasso di strutture già allo stremo. Impegnarsi esclusivamente sulla punizione non è da sistemi giudiziari lungimiranti che adottano un approccio progressivo e a lungo termine che si concentra non solo sulle conseguenze e sulla responsabilità, ma anche sulla riabilitazione.
Carceri e violenza: la risposta è anche progettuale
Con quest’unica prospettiva, frutto della logica del facile consenso, vengono ignorati i vantaggi di una progettistica carceraria frutto di una comprensione meno limitata del comportamento umano e della sicurezza,
Ignorare l’influenza del costruito sulla gestione delle sue strutture e sul comportamento del personale e dei detenuti significa privare il nostro carcere delle consolidate conquiste scientifiche della neuroarchitettura.
Da tempo i contributi della psicologia ambientale, unitamente a quelli delle neuroscienze, hanno messo in chiaro come la progettazione di qualsiasi edificio influenzi profondamente il modo in cui ci sentiamo e agiamo al suo interno. Gli studiosi del settore hanno consentito di definire un approccio contestuale del modo in cui l’ambiente materiale del carcere influenza la probabilità di violenza, consentendo di approdare a soluzioni di contrasto anche di natura architettonica.
La violenza è ben lungi dall’essere l’unica preoccupazione da affrontare ma può essere un problema determinante: una volta che la violenza è sotto controllo, altre cose diventano possibili. I limiti della recente vicenda legislativa rimandano al diverso approccio che, nel corso degli ultimi decenni, alcune realtà nazionali occidentali – esclusa l’Italia – hanno adottato per ridurre gli effetti negativi della detenzione, a partire dalla aggressività e violenza.
Tra la metà e la fine del XX secolo, gli USA, cui spetta il primato, e alcune nazioni dell’Europa occidentale, accomunate nelle loro carceri da problemi di sovraffollamento, invecchiamento delle strutture e rivolte devastanti, hanno in parte abbandonato i modelli architettonici e gestionali tradizionali, avviandosi verso soluzioni inedite.
Tali modelli, pur se eterogenei tra loro nella forma architettonica, perseguono lo stesso obiettivo: ridurre nelle carceri tensione e violenza con la modalità della “supervisione diretta”. Si tratta di una combinazione di filosofia gestionale e operativa, progettazione della struttura e formazione del personale, fortemente incentrata sul potenziamento del rapporto relazionale tra detenuti ed il personale di custodia.
Modelli post-tradizionali: spazio, gestione, relazioni
L’avvio del cambiamento è avvenuto con il superamento del modello spaziale del carcere tradizionale basato sulla sorveglianza lineare/intermittente (con corridoi che conducono a celle singole o multiple, disposte perpendicolarmente al corridoio) grazie ad un progetto architettonico che consente necessariamente solo la sorveglianza discontinua dei detenuti da parte del personale, separato nella supervisione dei detenuti ed in contatto con loro episodicamente.
Un aspetto non secondario dell’innovazione è rappresentato dalla cura posta nel soddisfare i bisogni fisiologici e psicologici dei detenuti e degli operatori attraverso la luce naturale, il colore, le visuali libere, il verde, il controllo del rumore, la privacy, i materiali di finizione variati e gli arredi d’uso civile, con il risultato di ambienti normalizzati e non istituzionali.
Nella prima fase del cambiamento le sezioni detentive furono configurate in maniera tale da consentire la sorveglianza a distanza (nota anche come progettazione “podular/remote”) da una postazione centrale chiusa. Le celle e i locali dedicati ai programmi trattamentali circondano il perimetro di un’area comune di soggiorno a forma triangolare o circolare, dove di giorno permangono i detenuti fuori dalle loro celle.
L’agente osserva direttamente l’attività dei detenuti, monitora le aree di supporto, il controllo del suono, dell’illuminazione, degli arredi e delle attrezzature, non avendo però alcun contatto diretto; interviene in caso di eventi critici, interagendo con altro personale carcerario.
Successivamente il “podular/remote” è stato modificato e migliorato con il modello del “podular/diretto”, simile al modello precedente ma dove l’agente, secondo la modalità della “supervisione diretta”, permane tra i detenuti, interagendo in maniera potenziata con loro, per esercitare un controllo che ne previene i comportamenti scorretti. Questa soluzione promuove l’interazione tra detenuti e personale nelle aree comuni, creando un ambiente più positivo.
Le numerose carceri realizzate negli USA secondo la modalità della “supervisione diretta”, definite successivamente “di nuova generazione”, sono informate dai seguenti principi: controllo e supervisione efficaci, personale competente, sicurezza del personale e dei detenuti, operazioni gestibili ed economiche, comunicazione efficace, classificazione, orientamento e trattamento giusto ed equo dei detenuti.
Efficienza, sicurezza e gestione proattiva
Le carceri “di nuova generazione”, a detta degli operatori penitenziari, offrono maggiore sicurezza in quanto il personale penitenziario ha un accesso visivo immediato a ciò che accade nei blocchi delle celle, contribuendo a ridurre al minimo la violenza e i problemi disciplinari e consentendo una risposta più rapida alle emergenze mediche. Tutte le aree della struttura sono visibili in ogni momento, riducendo la probabilità di aggressioni al personale e agli altri detenuti, gli spostamenti dei detenuti sono ridotti, così come quelli degli agenti.
Le relazioni tra detenuti e personale migliorano in quanto la configurazione spaziale contribuisce ad un ambiente meno conflittuale, sebbene permanga certamente una gerarchia tra detenuti e personale. Gli agenti, adeguatamente formati, imparano a conoscere i detenuti e sono in grado di riconoscere e intervenire sui problemi prima che degenerino, diventando proattivi piuttosto che reattivi, facendo più affidamento sulle capacità di negoziazione, comunicazione e gestione dei conflitti che sulla forza fisica.
Gli agenti sono dotati di telefoni e di informazioni quotidiane sui detenuti per rispondere al meglio alle loro esigenze. Offrendo al personale maggiori opportunità di interagire con i detenuti e tra di loro, la comunicazione è significativamente migliorata e la sensazione di “territorialità” all’interno di una struttura è ridotta al minimo, contribuendo a ridurre le tensioni e creando un ambiente più umano.
La classificazione dei detenuti è più facilmente gestibile per la presenza di unità abitative più piccole e l’accesso ai programmi e la gestione è facilitato. Ulteriori vantaggi sono la semplificazione nella struttura della gestione dei servizi e la riduzione dei tempi della loro distribuzione in occasione della somministrazione di farmaci ai detenuti, del servizio dei pasti, della pulizia delle celle e dei controlli orari, e la riduzione al minimo del numero di personale necessario, senza compromettere la sicurezza.
L’architettura come leva per una detenzione dignitosa
L’edificio per la “supervisione diretta”, per come configurato, riduce l’ingombro dell’edificato rispetto ad un carcere lineare, dal momento che a parità di numero di posti letto su di un singolo piano, ha in genere un ingombro più ridotto. C’è un utilizzo più efficace dello spazio, poiché non ci sono corridoi ampi o altre aree non funzionali.
Le carceri, realizzate a centinaia secondo quel sistema, sono state create sull’idea che se si offrano ai detenuti ambienti umani e dignitosi per ottenere un comportamento civile. Il risultato sarà un ambiente migliore e più sicuro.
Questo rimane uno degli aspetti più promettenti della moderna progettazione penitenziaria. L’ efficacia del sistema di “Supervisione diretta” è inoltre certificata dai numerosi report prodotti nel corso degli anni dagli studiosi che dimostrano scientificamente condizioni meno stressanti e la diminuzione di eventi critici nelle carceri dove è stato adottato, oltre alla riduzione dei costi di realizzazione, di gestione e del tasso di recidiva.
Carceri progettate con criteri più umani perché rispettosi dei diritti fondamentali della persona, non solo possono limitare i danni della carcerazione ma anche riavvicinare l’esecuzione panale al nostro monito costituzionale ormai mortificato e rappresentare un investimento nella giustizia e nella sicurezza della collettività.
L’architettura per i risvolti sociologici, psicologici ed ecologici che le appartengono, può essere leva funzionale per un cambiamento concreto della nostra scena detentiva, a patto che quanti si occupano di architettura scendano più numerosi e determinati in campo.
Immagine copertina: Las Colinas Detention and Reentry Facility San Diego California, USA

Architetto torinese da decenni impegnato nel campo dell’edilizia penitenziaria con una visione fortemente innovativa, per restituire all’edificio carcerario la dovuta coerenza con le finalità costituzionali della pena. È autore del progetto di riorganizzazione spaziale dell’Istituto penale minorile “Ferrante Aporti” di Torino, delle linee guida e spunti progettuali per il nuovo carcere di Bolzano, degli arredi degli “Spazi gialli” per le sale di attesa nelle carceri, del progetto della sezione femminile ICAM a Torino, del progetto in corso del nuovo carcere della Repubblica di San Marino. Nel 2013 è stato membro della Commissione ministeriale per gli interventi penitenziari e nel 2015 è stato componente del Tavolo numero 1 “Gli spazi della pena: architettura e carcere”, nell’ambito degli Stati generali dell’Esecuzione penale. Membro della Commissione ministeriale per l’Architettura penitenziaria 2021.