La prigione di Anstalten a Nuuk (Groenlandia, Schmidt Hammer Lassen and Friis & Moltke architetti, 2018)

Le carceri al tempo del PNRR: architettura vs edilizia

Le carceri al tempo del PNRR: architettura vs edilizia

Serve un dialogo costruttivo con i tecnici ministeriali affinché i fondi a disposizione per gli interventi non rappresentino l’ennesima occasione perduta

 

LEGGI LE ALTRE PUNTATE DELL’INCHIESTA “EMERGENZA CARCERI”

 

Published 16 febbraio 2022 – © riproduzione riservata

Grazie al Fondo complementare al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il Ministero della Giustizia ha presentato lo scorso anno il suo progetto di investimento per la “Costruzione e miglioramento padiglioni e spazi strutture penitenziarie per adulti e minori”.

 

Il piano degli interventi

Per le strutture penitenziarie degli adulti si tratta della costruzione di otto padiglioni “modello” da 80 posti, uno per ciascuno degli istituti in attività prescelti, per un importo complessivo di 84 milioni, pari a 10,5 milioni per padiglione. Come si legge nel documento di presentazione del progetto, la finalità è quella di ampliare il patrimonio immobiliare penitenziario allo scopo di migliorare la qualità dell’esecuzione della pena, favorendo le attività lavorative, contrastando sovraffollamento e recidiva, offrendo una ricettività che garantisca le condizioni di sicurezza e salute di tutti i settori della vita di detenzione all’interno delle strutture a vocazione riabilitativa e a costo energetico quasi zero (NZEB).

Originariamente gli istituti indicati per ospitare gli otto padiglioni erano i seguenti: Napoli Secondigliano, Santa Maria Capua Vetere, Civitavecchia, Viterbo, Perugia, Asti, Vigevano, Rovigo. Al momento risulta annullata l’edificazione del padiglione per l’Istituto di Asti. Non saranno gli otto padiglioni a risolvere il sovraffollamento cronico negli istituti; basti pensare che al 30 giugno 2021 mancavano all’appello 2.850 posti (fonte: Associazione Antigone).

Per le strutture penitenziarie dei minori si tratta dell’adeguamento strutturale, aumento dell’efficienza energetica e interventi antisismici di quattro complessi demaniali sede di istituti penali minorili, per un importo complessivo di 48,9 milioni, suddiviso in maniera disomogenea tra i quattro istituti prescelti localizzati nella città di Roma, Torino, Airola (Benevento), Bologna.

Gli otto padiglioni dovranno essere realizzati entro la metà del 2026, come gli interventi per i 32.000 mq degli edifici per minori interessati. Al Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (MIMS) faranno capo le macro-attività per gli interventi edilizi programmati (progettazione, bandi di gara, esecuzione dei lavori, prove tecnico amministrative).

 

Architettura vs edilizia: il padiglione “modello”

Così illustrata, la vicenda induce ad alcune considerazioni circa la questione di come nel nostro Paese, a differenza di alcune recenti realtà straniere, l’edificio carcerario da sempre si connoti come edilizia e non architettura. Che cosa s’intenda per edilizia e cosa per architettura, per gli addetti ai lavori è cosa nota; ai profani basti dire che l’architettura non è semplice costruzione e neppure unica soddisfazione di bisogni d’ordine materiale come lo è l’edilizia. Nel caso dell’edificio carcerario, essa è la risposta spaziale ai bisogni psicologici e relazionali di quanti lo utilizzano, il risultato di soluzioni costruttive e utilitarie condotte a un fine di valore estetico ed etico ben più alto e che consentano di realizzare condizioni di umanità nei luoghi di pena.

Il citato “modello” di padiglione è il frutto del lavoro della Commissione ministeriale per l’Architettura penitenziaria, voluta nel 2021 per esplorare nuove soluzioni spaziali per l’edificio carcerario, più coerenti con la pena così come concepita dalla Costituzione e, quindi, più umano. La compagine degli architetti della Commissione ha inteso migliorare la proposta progettuale elaborata dai tecnici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per un padiglione da 120 posti. Considerando questioni che vanno oltre il semplice dominio dell’utile, pur senza trascurarle e pur mantenendo come obbligata la configurazione strutturale originaria, in sede di Commissione, ne è scaturito un edificio inedito, tendente a possedere il carattere di architettura nel senso sopra esplicitato.

In altri termini, si è trattato di dare umanità allo spazio detentivo, cercando di fronteggiare soluzioni progettuali che da troppo tempo ci forniscono luoghi che impediscono ogni possibilità di crescita che arricchisce; luoghi monotoni, uniformi, paralizzanti nelle loro deprivazioni sensoriali ed emozionali, dove il costruito invalida, rende incerti, scoraggia, mina e reprime, anziché convalidare, rassicurare, incoraggiare, sostenere, favorire. Attraverso l’uso del colore e della luce naturale, la gestione del rumore, l’adozione di soluzioni architettoniche che privilegino la profondità del campo visuale e la possibilità di variare l’esperienza sensoriale nei materiali di finitura e nel rapporto “al chiuso e all’aperto”, l’uso del verde veramente tale e altro ancora, è possibile ipotizzare, attraverso il costruito, di ridurre il danno che subisce l’individuo in condizione di cattività.

A concretizzare i valori auspicati, è stata concepita una struttura vetrata svettante sulla copertura, denominata per l’occasione “Grano”, per consentire ai residenti detenuti di disporre di un luogo dove estraniarsi dai rumori e dagli odori del carcere e dalla sua scena, dove potersi raccogliere per pregare il proprio Dio o semplicemente perdersi nello scorrere delle nubi e degli stormi degli uccelli nel cielo. Così “rivisitato”, il padiglione si presenta con una forte connotazione residenziale per una quotidianità detentiva articolata nel tempo e nello spazio, dove la cella non è l’unico luogo di vita, ma le si affiancano ambienti di relazione e attività in comune, anche liberamente fruibili.

 

Perché non sia un’occasione perduta

Ora, nelle mani dei tecnici ministeriali, tutto ciò dovrà essere recepito e realizzato. Il timore è che questa opportunità si trasformi nell’ennesima occasione perduta.

Per quanto riguarda i lavori in progetto per gli istituti per la detenzione minorile, la loro tipologia induce a pensare che poco abbiano a che fare con i temi dell’architettura. Diventa motivo d’inquietudine il caso dell’Istituto penale minorile di Torino, per il quale si prevedono efficientamenti strutturali ed energetici per un importo di 22 milioni, esclusivamente per la parte non detentiva, laddove quella detentiva necessiterebbe delle cure dell’architettura.

Sulla base del quadro fornito, è necessario che da parte della cultura architettonica nazionale rimanga viva l’attenzione sulla vicenda edificatoria e che si apra un dialogo collaborativo con le istituzioni che l’hanno in carico, con l’obiettivo di perfezionare ulteriormente le soluzioni proposte, consapevoli entrambe le parti che la vicenda non possa esaurirsi esclusivamente nel chiuso degli uffici tecnici ministeriali. La porta è socchiusa…

 

Autore

  • Cesare Burdese

    Architetto torinese da decenni impegnato nel campo dell'edilizia penitenziaria con una visione fortemente innovativa, per restituire all’edificio carcerario la dovuta coerenza con le finalità costituzionali della pena. È autore del progetto di riorganizzazione spaziale dell'Istituto penale minorile “Ferrante Aporti” di Torino, delle linee guida e spunti progettuali per il nuovo carcere di Bolzano, degli arredi degli “Spazi gialli” per le sale di attesa nelle carceri, del progetto della sezione femminile ICAM a Torino, del progetto in corso del nuovo carcere della Repubblica di San Marino. Nel 2013 è stato membro della Commissione ministeriale per gli interventi penitenziari e nel 2015 è stato componente del Tavolo numero 1 “Gli spazi della pena: architettura e carcere”, nell’ambito degli Stati generali dell’Esecuzione penale. Membro della Commissione ministeriale per l'Architettura penitenziaria 2021.

    Visualizza tutti gli articoli