La non convenzionalità di una casa accessibile
Una ricerca esplora, attraverso progetti sperimentali dal nord Europa, le prospettive abitative contemporanee. Tre interventi tra Norvegia e Austria
Published 22 luglio 2024 – © riproduzione riservata
Non convenzionale, abbordabile. Questi due aggettivi indicano due condizioni fondamentali (se non imprescindibili) per parlare di casa oggi, partendo dall’ipotesi che la prima possa favorire e promuovere la seconda. Se l’abbordabilità coincide di fatto con il diritto, per ogni individuo o nucleo, di accostarsi a una situazione abitativa adeguata ed economicamente sostenibile (per questo non può essere intesa in termini assoluti, ma solo in relazione al reddito), la non convenzionalità risponde a una trasformazione dei modi dell’abitare a cui non sempre il progetto di architettura sa fare fronte. Forse perché ai profondi mutamenti registrati nei modi di abitare non è ancora corrisposta un’adeguata ricerca in termini di progetto e politiche, o forse perché ogni cambiamento – soprattutto se riguarda il vivere quotidiano e gli spazi più personali (il domestico) – ha bisogno di tempo per essere riconosciuto e assorbito.
Serve innovare anche il vocabolario
Anche l’aspetto terminologico ha bisogno di un ripensamento, da un punto di vista sia sociale sia architettonico. A molte “parole” dell’abitare non corrispondono più, infatti, i dispositivi spaziali tradizionali, e viceversa.
Un esercizio veloce è quello proposto dallo studio israeliano XS nella sua elaborazione di un nuovo vocabolario dell’abitare “compatto”. Provate a cercare su Google la parola “letto” e poi sostituite la ricerca con l’azione legata all’oggetto di arredo: “uno spazio per dormire”. Alla prima ricerca troverete diversi tipi di letti; con la seconda ricerca, invece, il risultato sarà una varietà di soluzioni creative per dormire in spazi ridotti o inusuali. Cucina, sala da pranzo, camera da letto – suggerisce lo studio XS – non sono più definizioni rilevanti: cuciniamo, ospitiamo, guardiamo la televisione e mangiamo in luoghi che ci consentono una varietà di attività complesse. Allo stesso modo, la casa è uno spazio in divenire, di cui riconosciamo (e indaghiamo) le ricadute politiche e architettoniche di due caratteri fondamentali: la non convenzionalità e l’abbordabilità.
Case non-convenzionali per stare al passo con i tempi
“La casa è un problema di limiti – diceva Ernesto Nathan Rogers – ma la definizione dei limiti è un problema di cultura”. Le profonde trasformazioni sociodemografiche degli ultimi decenni hanno portato a una ridefinizione di ciò che viene tipicamente definito come “famiglia”. Da una parte, sempre più spesso i nuclei familiari sono composti da persone sole, coppie divorziate con figli, genitori single e anziani o coincidono con gruppi di coabitazione tra persone con profili sociali diversi. Dall’altra, i cambiamenti nel mercato del lavoro hanno portato all’emergere di nuovi stili di vita che legano i nuclei familiari a più di una città, a più di un lavoro e, quindi, a più di una casa.
Se questi fenomeni sono stati indagati in termini sociologici, l’architettura non ha ancora chiare le loro conseguenze sulle forme dell’abitare. Dunque, le risposte sono ancora da elaborare: la non convenzionalità ha bisogno di una corrispondenza in termini di progetto. Solo in questo modo può stare al passo con le esigenze del contemporaneo e può intersecare, così, l’accessibilità economica.
Occupazioni e convivenze
Una componente comune delle esperienze di sperimentazione dell’abitare risiede nel non concepire i progetti residenziali per singole categorie di utenti ma nell’immaginare edifici misti, dove spazi privati, condivisi, collettivi e pubblici si compongono in nuovi sistemi e gerarchie e dove diversi tipi di famiglie e individui possano intrecciare le proprie abitudini abitative e, a volte, anche lavorative.
Il rapporto osmotico con la città, che può non limitarsi ai soli piani terra, resta un elemento chiave di un modo “condiviso” di concepire l’abitare. Le soluzioni architettoniche individuate (spazi fluidi e abitabili in sostituzione dei corridoi di distribuzione, flessibilità degli alloggi, dispositivi mutevoli che nascondono letti e armadi, pareti mobili che possono alterare le dimensioni delle stanze) appaiono evoluzioni di elementi ereditati da alcune esperienze pionieristiche del Novecento: a ben guardare, emerge come si possa ancora imparare molto dal passato.
Committente: OBOS Living Lab | Progetto: Metropolis arkitektur & design AS con LPO | Costruzione: 2019-2021 | Numero alloggi: 34 | Immagini: © LPO Arkitekter (dal sito) | Link a pagina web | Link a video
Esito di una ricerca-azione avviata con lo specifico intento di sperimentare nuovi modelli abitativi: il progetto è un’arena di prova e indagine progettuale continua, grazie al continuo monitoraggio dell’uso degli spazi. Ai primi tre piani (progettati da LPO e Metropolis) si concentra la ricerca sulla dimensione condivisa e la flessibilità degli ambienti. Al piano terra gli spazi collettivi sono organizzati in una pianta aperta e flessibile, per poi proseguire al primo piano, dove la cucina, il giardino interno e il soggiorno condivisi danno accesso agli spazi privati delle singole abitazioni. Il piano superiore è quello in cui si concentra la ricerca sulla versatilità dell’abitare condiviso. Qui mobili e pareti possono essere facilmente spostati e adattati alle diverse esigenze: due degli appartamenti possono essere uniti tra loro, in modo che lo spazio condiviso raddoppi e si aprano nuove possibilità; dispositivi movibili che includono armadiature e letti trasformano lo spazio da zona giorno a zona notte.
Committente: Vinzenzgemeinschaft St. Stephan | Progetto: gaupenraub+/- | Costruzione: 2012-2015 | Superficie: 1.955 mq | Numero alloggi: 30 | Immagini: © Martin Steiger e © DritterAkt A. Weber (dal sito) | Link a pagina web
Progetto pilota per l’inclusione delle persone senza dimora. Avviato da un gruppo di studenti e realizzato in collaborazione con l’associazione Vinzenzgemeinschaft St. Stephan, l’edificio è uno spazio residenziale e occupazionale in cui vivono ex senzatetto, rifugiati e studenti. Il progetto architettonico consiste nella rifunzionalizzazione di un edificio preesistente, realizzato in gran parte con la partecipazione di volontari (senzatetto e studenti) alcuni dei quali vivono lì oggi con l’opportunità di lavorare insieme, nel ristorante e nei laboratori dedicati ad attività di produzione artigianale che recuperano materie prime. Se il piano terra è connotato da un carattere pubblico aperto alla cittadinanza grazie alla presenza del ristorante e del cortile interno, ai tre piani superiori si articolano dieci appartamenti condivisi di tre camere ciascuno; a ogni piano è presente una cucina con soggiorno e sale ad uso comune.
Committente: Harald Nissen, Svartlamoen Housing Foundation | Progetto: Geir Brendeland, Olav Kristoffersen | Costruzione: 2002-2005 | Superficie: 1.000 mq | Immagini | Link a pagina web
Esito “progettato” di un precedente squat demolito e ricostruito; riunisce studenti, musicisti e artisti, offrendo ampi spazi in condivisione che mantengono lo sviluppo di quelle relazioni interpersonali proprie degli squat. L’edificio si trova nell’omonimo quartiere, nato dalla cultura alternativa degli anni ‘70: un’iniziativa dei residenti del quartiere ha portato a un concorso pubblico per un nuovo edificio residenziale che rispondesse alle esigenze di un contesto abitativo informale e che proponesse soluzioni innovative per l’utilizzo del legno. Il progetto rappresenta un modello avanzato di architettura sostenibile e comunitaria: si compone di due edifici che fiancheggiano un cortile esposto a sud. Il volume più grande è un blocco di cinque piani, con spazi commerciali al piano terra e appartamenti condivisi per cinque-sei persone sugli altri quattro. Il volume minore contiene piccoli monolocali.
In copertina: il quartiere di Svartlamoen a Trondheim, Norvegia. Sullo sfondo l’edificio progettato da Geir Brendeland e Olav Kristoffersen (fonte: svartlamon.org)
Francesca Serrazanetti (architetta phd, docente al Politecnico di Milano, con molte collaborazioni editoriali) e Constanze Wolfgring (urbanista austriaca con specializzazione nel campo dell’housing sociale) sono parte del team di ricerca di Unconventional Affordable Housing. Finanziata dal Ministero dell’Istruzione e della Ricerca con fondi PNRR 2022 e sviluppata in partenariato tra Politecnico di Milano, Università degli Studi di Trieste, Politecnico di Bari e Università degli Studi di Bari, la ricerca esplora le trasformazioni dell’abitare mettendo a sistema diversi punti di vista e attraversando politiche, progetti, pratiche, contesti sociali e urbani per individuare possibili traiettorie capaci di dare risposta, in maniera innovativa, a una domanda – quella abitativa – le cui condizioni sono profondamente mutate. Con l’obiettivo di individuare nuove strategie e soluzioni abitative possibili, la ricerca volge lo sguardo ad alcune esperienze internazionali per rilevare caratteri e direzioni di queste nuove pratiche