Il convitato di pietra fra due amate sponde
Le opposizioni al progetto ricordano quelle all’epoca della costruzione della Tour Eiffel a Parigi
Published 01 ottobre 2024 – © riproduzione riservata
Una divisione più ideologica che di merito
«Molti tecnici sostengono che la torre è destinata a crollare. I proprietari dei fabbricati vicini hanno intentato persino un processo chiedendo i danni. […] Noi scrittori, pittori, scultori, architetti, appassionati amatori della bellezza […] finora intatta, protestiamo con tutte le nostre forze contro l’erezione dell’inutile e mostruosa torre vertiginosa e ridicola […], tutti i nostri monumenti umiliati, tutte le nostre architetture rese piccole. E per venti anni vedremo allungarsi l’ombra odiosa dell’odiosa colonna di ferro imbullonata […] il nostro grido di allarme».
La storia si ripete. Sembrano parole di oggi contro il ponte sullo Stretto, ma è la descrizione della “accoglienza” inizialmente riservata alla Tour Eiffel di Parigi, riportata da Leonardo Benevolo nella Storia dell’architettura moderna. Tra gli oppositori anche Maupassant e Zola. Salvo poi, come riferisce lo stesso Benevolo, cambiare idea: «Davanti al fatto – e che fatto! – compiuto bisogna inchinarsi».
Le opposizioni al ponte sembrano quelle alla Tour Eiffel; ecco quanto espresso nei giorni scorsi durante la II Biennale dello Stretto dall’antropologo e docente universitario Mauro Francesco Minervino, un déjà vu: «La grande opera faraonica, acciaio e cemento in dimensioni mostruose […] serve ad alimentare il folle e puerile senso di onnipotenza […] delle classi dirigenti attualmente alla guida del Paese. Personaggi che uno psichiatra definirebbe soggetti affetti da delirio psicotico e sindrome magico-infantile». Un intervento, quasi un anatema, che invita a rispondere con i dati, viste le ulteriori osservazioni sui «Rischi del fragilissimo contesto geologico dell’area dello Stretto, i venti, la sismicità […] il fatto che il ponte – data l’altezza dell’impalcato prevista dal progetto – non consentirebbe il passaggio alle meganavi di più recente costruzione, che superano i 70 metri di altezza […] poi l’insostenibilità economica del rapporto costi-benefici; l’assenza di qualsiasi seria valutazione d’impatto ambientale e conseguenze sociali».
Viviamo un’epoca di polarizzazione e qui, plasticamente, si ripropone una divisione più ideologica che di merito. Di quest’ultimo è il caso di scrivere, partendo da una constatazione: il territorio interessato è stato stuprato senza rispetto per la sua storia, e forse ora si ha l’occasione di un suo riscatto.
Si tratta di salvaguardare i luoghi, migliorandoli insieme al ponte. Sono forse deturpati o non altrettanto densi di storia il Bosforo, tra due continenti non meno evocativi di Scilla e Cariddi? O Suez unione e distacco tra Africa e Asia? Nessuno metterebbe in dubbio che siano crocevia del mondo, mitologici, dal fascino attuale.
Senza dimenticare la storia. Nel 1983 fu il Partito comunista con il messinese De Pasquale a chiedere alla Comunità europea d’inserire il collegamento stabile tra le priorità infrastrutturali del Vecchio continente. E il Parlamento europeo riconobbe «L’importanza che riveste per le zone periferiche ed insulari un collegamento rapido ed efficiente con le aree centrali della Comunità», quale «fattore di sviluppo regionale, economico e sociale».
Diamo i numeri
Il ponte, con le altre infrastrutture, è un’opera per il territorio; lo connette con l’Europa. Si inserisce in luoghi vittime di un’emorragia di residenti. Messina nel 2001 aveva 251.710 abitanti, a marzo 2024 erano 217.734. Non va meglio la Calabria, che in 20 anni ha perso 173.188 abitanti, più dei residenti di Reggio. Gli effetti positivi di una moderna connessione infrastrutturale sono noti agli studiosi: è il caso dell’alta velocità in Spagna, Francia o, in Italia, sull’asse Torino – Milano -Roma – Salerno.
Il ponte costa troppo? Ma quanto? Costa 4,5 miliardi di euro; le opere infrastrutturali, incluse quelle richieste dai comuni coinvolti, in origine non previste (allora sì che sarebbe stato inutile al territorio), valgono 5,3 miliardi e 1,1 miliardi di euro. Il Consiglio europeo nel 2024 ha confermato l’inserimento del progetto nel “corridoio Scandinavo-Mediterraneo” e il 17 luglio la Commissione europea, nel programma “Connecting Europe Facility”, ha finanziato la progettazione esecutiva per oltre 24,7 milioni, il 50% dell’importo per la parte ferroviaria.
L’impatto sul lavoro vale 10.000 occupati già nel primo anno di cantiere tra diretti e indotto; l’impatto economico 2,9 miliardi annui, lo 0,17% del PIL (fonte Webuild).
L’analisi costi e benefici è uno dei temi più controversi. Eseguita in base alle linee guida europee, essa mostra che la realizzazione del ponte è in grado di contribuire in maniera molto significativa al miglioramento del benessere collettivo, in termini economici e ambientali. A fronte di un investimento pari a 13,5 miliardi (DEF 2024), il Valore attuale netto economico è di 3,9 miliardi di euro (attualizzati 2023), il Tasso interno di rendimento economico (TIRE) del 4,51%.
Gli effetti sui tempi medi di attraversamento: circa 15 minuti per i servizi ferroviari diretti tra Villa San Giovanni e Messina Centrale, rispetto agli attuali 120 minuti per i treni passeggeri e almeno 180 minuti per i treni merci; circa 10-13 minuti su strada (tra lo svincolo di Santa Trada e lo svincolo di Giostra), rispetto agli attuali 70 minuti per le auto (Terminal San Francesco), 100 minuti per i veicoli merci (Terminal Tremestieri).
Il contesto infrastrutturale è riassunto nella formula “prima bisogna fare altro”. Sono attualmente in corso i lavori e le procedure per il completamento dell’Alta velocità ferroviaria fino a Reggio Calabria. Come ha dichiarato a “InnoTrans”, Biennale internazionale dei trasporti a Berlino, l’amministratore delegato di RFI, il tutto sarà ultimato nel 2032. E ancora, si pensi ai lavori per la SS 106 Jonica e la linea Alta capacità tra Messina, Catania e Palermo.
Le obiezioni tecniche su vento, percorribilità, fragilità sismica
Qui ci si può limitare a ricordare, rinviando agli elaborati ufficiali, che il ponte sarà aperto 365 giorni l’anno (la sua chiusura totale è prevista con velocità medie del vento superiori a 169 Km/h, attesa una volta nell’arco di 200 anni) e che, con l’ausilio di circa 400 indagini, tra sondaggi geologici, geotecnici e sismici, i punti di contatto del ponte con il terreno sono stati individuati evitando il posizionamento su faglie attive.
Il piano dell’architettura
Ma ciò di cui scriviamo non si esaurisce in un’infrastruttura. Le città che si affacciano sullo Stretto hanno un fronte mare deturpato, la riserva naturale di Capo Peloro e Ganzirri è un susseguirsi di case; aree libere dal cemento sono rimaste solo quelle occupate dai due laghi e da parte della spiaggia.
Il ponte rappresenta un intervento di rigenerazione urbana e trasformazione territoriale paragonabile ai casi Bilbao o Barcellona. Un’opportunità lungo due fasce di costa di circa 20 km ciascuna dovrebbe spingerci a creare un think tank di architetti, urbanisti, economisti, sociologi capaci di realizzare un modello di conurbazione tra le tre città, che consenta finalmente di scrollarsi, di dosso e dalla mente, la polvere del terremoto del 1908. Qui esiste ancora un mitizzato sguardo verso quelle città, distrutte dal sisma ma anche dalla dinamite della ricostruzione e da scelte politiche e urbanistiche di quegli anni. Il ponte e tutto ciò che porta con sé possono rappresentare anche a livello sociale uno strumento per cominciare a occuparsi delle città del presente con effetti trainanti per l’economia e il dibattito architettonico italiano.
Il progetto e gli effetti a cascata degli spazi liberati e da ripensare grazie a esso potrebbero essere laboratorio di studio, ricerca e sperimentazione. Le superfici e gli ambiti sono tali che vi ritroviamo temi centrali: recupero delle aree industriali dismesse, architettura per sottrazione e non per addizione, relazione con i margini e bordo d’acqua, rigenerazione urbana, sostenibilità ambientale. Una sfida che, però, richiede il coraggio di abbandonare l’ideologia per guardare alla realtà.
Daniel Libeskind, autore del progetto per il Centro direzionale, ha ricordato lo straordinario significato dell’infrastruttura: «Il ponte non è solo un segmento, ma tutto ciò che può rappresentare in termini di comunità, un luogo di incontro e socializzazione». Potrebbero tornare così attuali le parole di Benevolo sulla Tour Eiffel: «L’altezza eccezionale […] fa sì che la sua presenza sia avvertita quasi da ogni quartiere […] ed entri in rapporto non più come un edificio antico […] bensì con un’intera città e in modo sempre mutevole».
Immagine di copertina: L’installazione “Linee e ponti di luce” che ha unito le due sponde il 19 settembre scorso in occasione della Biennale dello Stretto (© Clara Stella Vicari Aversa)
È ricercatrice in Progettazione architettonica e urbana presso l’Università di Reggio Calabria, dottore di ricerca europeo presso la Esquela Tecnica Superior de Arquitectura di San Sebastián, e vicepresidente dell’Ordine degli architetti di Messina. Laureata in Architettura nel 1995, ha svolto attività progettuale in Italia e in Spagna. Studiosa di riqualificazione dei waterfront, tema sul quale ha pubblicato anche una monografia in lingua spagnola, ha ottenuto premi e riconoscimenti per ricerche e concorsi internazionali di progettazione. Numerose le mostre, anche in collaborazione con importanti architetti europei, alla Triennale di Milano, alla Biennale di Venezia e presso il Museo San Telmo di San Sebastián. Coordinatrice, tutor e relatrice in workshop e seminari in Italia e all’estero