Cloud Lab, il laboratorio accademico automatizzato del futuro

Cloud Lab, il laboratorio accademico automatizzato del futuro

Dopo l’inaugurazione presso la Carnegie Mellon University, che cosa significa progettare un laboratorio scientifico per i robot e l’IA

 

Published 03 settembre 2024 – © riproduzione riservata

PITTSBURGH (STATI UNITI). La prima menzione di automazione della ricerca scientifica nella letteratura americana risale al 1875, quando il professore di chimica Thaddeus M. Stevens inventò e descrisse un dispositivo di laboratorio automatizzato per il lavaggio dei filtrati. A distanza di circa 150 anni da quello strumento embrionale, è stato inaugurato alla Carnegie Mellon University (CMU) il primo Cloud Lab accademico al mondo, un laboratorio robotico gestito dall’intelligenza artificiale che consente ai ricercatori di programmare ed eseguire esperimenti da remoto, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. La pionieristica struttura di ricerca è frutto della collaborazione tra la CMU e la startup Emerald Cloud Lab (ECL), fondata da due ex studenti di biologia computazionale della stessa università.

Che cosa significa progettare un laboratorio scientifico a guida autonoma in cui gli esperimenti sono condotti attraverso operazioni ibride e combinate tra intelligenza artificiale, robot e tecnici qualificati? 

 

Un laboratorio tra cloud e spazio fisico

Il CMU Cloud Lab integra realtà fisica e virtuale: gli scienziati progettano gli esperimenti da remoto e il laboratorio li esegue fisicamente. Una volta completate le procedure, i dati generati vengono automaticamente raccolti sul cloud, rendendoli accessibili ai ricercatori in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo.

La maggior parte della ricerca e codifica degli esperimenti è svolta direttamente dagli scienziati, con il supporto di tecnici qualificati, attraverso il Cloud Lab Command Center, una piattaforma cloud che interagisce con gli strumenti fisici del laboratorio. Attualmente, il Cloud Lab dispone di oltre 130 strumenti provenienti da più di 30 aziende diverse, ciascuno configurato per comunicare con il sistema centrale, che invia i programmi necessari per ogni esperimento.

La robotica svolge un ruolo cruciale all’interno del laboratorio. I bracci meccanici automatizzati eseguono gli esperimenti limitando l’intervento umano ad operazioni specifiche guidate dal sistema centrale. Il modello di automazione ibrido in cui gli operatori umani collaborano con i robot compensa le attività senza alternative automatizzate, come l’ordinazione dei materiali, la calibrazione e la manutenzione degli strumenti, lo spostamento dei campioni e la gestione del deposito.

Il Cloud Lab Command Center funge anche da interfaccia per la visualizzazione, l’analisi e la simulazione dei dati. Il software è integrato con funzioni avanzate di machine learning, elaborazione delle immagini e analisi multidimensionale, che utilizzano una rete di sensori integrati negli strumenti per acquisire dati e applicare algoritmi IA per le analisi.

 

Immagine 1: Diagramma di funzionamento di un cloud lab: lo scienziato progetta gli esperimenti da remoto (1), scrive i programmi nella piattaforma del Command Center (2) e consegna i campioni al loading dock (3). I campioni sono conservati in depositi a temperatura controllata (4) e trasferiti tra i vari processi dai tecnici (5) o da sistemi robotici (10). Gli esperimenti vengono condotti utilizzando la strumentazione automatizzata (6, 7, 8,9), con limitati interventi umani (9). I dati generati sono raccolti nel Command Center, che fornisce strumenti avanzati per tracciare, analizzare e visualizzare i risultati (11). I campioni elaborati sono restituiti allo scienziato (12). (© rielaborazione grafica di Federica Joe Gardella)

 

Il progetto del laboratorio

Il laboratorio è nascosto nel retro di un vecchio magazzino vicino a Bakery Square, ex area industriale trasformata in hub tecnologico che ospita ora uffici di aziende high tech come Google e Philips, oltre a sedi universitarie come il CMU Software Engineering Institute.

L’accesso al laboratorio avviene attraverso una porta situata al fondo del cortile interno. All’ingresso si trova la sala di controllo e vestizione, dove è necessario depositare oggetti personali e indossare camice, calzari e occhiali protettivi. Una finestra collega questo spazio al loading dock, dotato di spazi deposito e camere refrigerate, dove i ricercatori possono consegnare o ritirare campioni e materiali.

Una volta preparati, si entra nel laboratorio vero e proprio, un unico ambiente di circa 1.500 mq, con un’altezza di 6-7 m, esito della riqualificazione del complesso industriale su progetto dello studio di architettura Strada. Lo spazio è suddiviso in una zona per la gestione e organizzazione, con una maggiore presenza umana, e una zona altamente automatizzata, con stazioni modulari dove robot e operatori collaborano sotto la guida del sistema centralizzato.

Adiacente al laboratorio si trova una sezione del capannone ancora allo stato grezzo che attualmente funge da deposito, ma potrà essere riconvertita in futuro per espandere il laboratorio. Infine, circa 250 mq sono dedicati agli uffici gestionali del Cloud Lab, con postazioni per i tecnici informatici e un ambiente comune in cui maxischermi proiettano in tempo reale le operazioni di laboratorio.

Immagine 2: planimetria del Laboratorio con evidenziate le aree funzionali (© rielaborazione grafica di Federica Joe Gardella)

 

Le stazioni modulari per favorire l’automazione

Un elemento chiave del progetto è rappresentato dalle stazioni da laboratorio, progettate per ottimizzare l’automazione e l’efficienza delle operazioni. La struttura è suddivisa in sezioni modulari autonome, ognuna controllata da un singolo computer connesso al Command Center, che gestisce tutti i macchinari installati. Gli impianti (elettricità, acqua, gas) sono installati a diversi livelli nello spazio sovrastante, sfruttando l’altezza del capannone. Le strumentazioni che richiedono impianti complessi sono collocate nelle aree perimetrali, onde avere un accesso diretto verso l’esterno, mentre i macchinari indipendenti occupano le aree centrali. Alcune stazioni sono lasciate libere per consentire al sistema di AI di analizzare i flussi di lavoro e consigliare riorganizzazioni delle strumentazioni per ottimizzare le operazioni.

Immagine 3: schema di una stazione da laboratorio (© rielaborazione grafica di Federica Joe Gardella)

 

Uno spazio a misura di robot

Il progetto del Cloud Lab apre una riflessione su come l’introduzione dell’IA e della robotica stia trasformando non solo le modalità del lavoro dello scienziato, ma anche gli spazi in cui questo avviene. Da un lato, i cloud lab spostano drasticamente le pratiche di ricerca quotidiane verso quelle computazionali. Dall’altro lato, lo spazio in cui avvengono le operazioni fisiche è sempre meno abitato da scienziati e sempre più dominato da IA e robot, separando di fatto il progetto dell’esperimento dalla sua esecuzione.

Questa trasformazione segue quella che sta già avvenendo da tempo nelle linee di produzione delle industrie 4.0 e nel settore della logistica, e implica un ripensamento dei parametri di progettazione degli spazi per renderli sempre più “a misura di robot“. La larghezza dei percorsi, la dimensione degli spazi di manovra, la disposizione degli strumenti sono progettati per facilitare i flussi di lavoro robotici. I banchi da laboratorio non sono più semplici superfici di lavoro, ma stazioni integrate con sistemi IoT, sensori e telecamere per la raccolta e l’analisi dei dati in tempo reale. Ogni dettaglio è controllato e ottimizzato per l’efficienza automatizzata.

In questo scenario, il ruolo del progettista diventa cruciale nella progettazione di spazi accessibili ai robot e ai sistemi IoT, e che possano evolversi insieme alle tecnologie che ospitano. Questo approccio non si limita agli spazi industriali o di ricerca avanzata, ma si estende a tutti i settori in cui la robotica trova applicazione, inclusi gli spazi urbani e gli ambienti domestici.

Infatti, la crescente presenza di robot di servizio, assistenti digitali e sistemi tecnologici interconnessi apre a nuove sfide per i progettisti, segnando un passaggio dalla tradizionale “progettazione di robot”, che si concentra sull’ottimizzazione del sistema tecnologico, ad una strategia di “progettazione per robot” che riunisca ingegneri robotici, informatici e architetti in un dialogo interdisciplinare.

Immagine copertina: Cloud Lab Equipment, Pittsburgh (© Carnegie Mellon University Cloud Lab)

Autore

  • Federica Joe Gardella

    Dottoranda in “Architettura. Storia e Progetto” al Politecnico di Torino. Precedentemente, ha conseguito la doppia laurea magistrale in “Architettura Costruzione Città” presso il Politecnico di Torino e il Politecnico di Milano. Il suo lavoro di ricerca si concentra sull'osservazione delle pratiche di progettazione architettonica sviluppate nei centri di ricerca universitari e intende indagare il processo di progettazione e le sue possibili forme d’innovazione

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