Acume critico e abilità creativa per l’era delle copie senza originali

Acume critico e abilità creativa per l’era delle copie senza originali

Se alcuni aspetti del fare possono processati dalle macchine grazie ai Big Data, gli architetti fanno ancora affidamento su un sapere derivante dall’esperienza, dall’intuizione, o dall’imitazione di modelli

 

Published 19 giugno 2023 – © riproduzione riservata

Sono passati più di 70 anni dai primi esperimenti con l’Intelligenza Artificiale e, da almeno un ventennio, il parametrico, gli algoritmi generativi e, più in generale, la computazione ha introdotto elementi post-umani nel modo di concepire e praticare l’architettura.

Tuttavia, il rinnovato interesse per l’IA si distingue dalle precedenti esplorazioni per la concomitanza di due fattori fondamentali nel progresso tecnologico: la sopraggiunta potenza e velocità di calcolo dei supercomputer di nuova generazione e la disponibilità di un immenso numero di dati che non ha precedenti nella storia dell’umanità.

Il flusso di dati elaborati in tempo reale controlla molti aspetti della nostra vita: dalle transazioni bancarie alle tecnologie di geolocalizzazione, dall’indice dei prezzi al consumo, al traffico aereo alle previsioni del tempo. Col termine Big Data s’intendono insiemi molto vasti di dati che, analizzati attraverso computer con grandi capacità di calcolo, rivelano modelli, tendenze e associazioni che rimarrebbero incomprensibili se analizzati parzialmente. In sostanza: se un fatto (un dato) si è verificato nel passato, è stato registrato, archiviato, ed è dunque processabile, a parità di condizioni, quel fatto si ri-verificherà nel futuro. È su questo principio che si basa la straordinaria capacità predittiva e di ottimizzazione determinata dall’effetto combinato di Big Data e IA.

Tuttavia, un problema deve essere quantificabile per essere ottimizzato attraverso l’automazione. Se, da un lato, alcuni aspetti del fare architettura possono essere quantificati e dunque processati dalle macchine, dall’altro, gli architetti fanno ancora affidamento su un sapere derivante dall’esperienza, dall’intuizione, dall’esempio o dall’imitazione di modelli: in altre parole fanno uso di quella conoscenza tacita descritta da Karl Polanyi come “sapere più di quanto possiamo dire”. Non è un caso se gli architetti apprendono i segreti del mestiere frequentando la “bottega” di più navigati maestri. Infatti, non tutti i problemi architettonici sono quantificabili o risolvibili algoritmicamente.

La scissione delle competenze ingegneristiche da quelle architettoniche ha fatto sì che la matematica del progetto architettonico gravitasse da aspetti legati al design strutturale verso temi legati a schemi, topologie, geometrie, orientamenti e reti. Pertanto, l’adozione di un approccio sempre più quantitativo – la modularità, le relazioni proporzionali e le considerazioni ambientali – ha portato a un allontanamento da quell’empirismo che, in mancanza di criteri oggettivi, ne caratterizza storicamente l’indeterminatezza. Lo sviluppo di questa conoscenza misurabile, riproducibile algoritmicamente e dunque trasferibile dentro i software di calcolo ha determinato una maggiore comprensione del progetto d’architettura e dei suoi effetti.

Oggi, i Generative Adversarial Networks (GAN) sono sistemi in grado di processare immagini (con simile descrizione testuale), estrapolando le caratteristiche archetipiche comuni. In questo modo, i sistemi GAN creano immagini originali a imitazione di un archetipo di riferimento.

Per secoli, nella storia dell’arte come in architettura, si è discusso sul rapporto tra l’originale e la copia, su come interpretare la bella maniera degli antichi, o ancora sul concetto di stile inteso come tratto e sensibilità comune tra un gruppo di opere. I nuovi sistemi di IA sono in grado di produrre nuovi archetipi in pochi secondi, ibridando milioni di dati, a partire da qualsiasi input di testo. Simulacri, direbbe Jean Baudrillard: copie senza originali. Parole non nuove, forse, ma attorno a cui, nell’era dell’intelligenza sintetica, i progettisti di oggi e domani potrebbero dover sviluppare un rinnovato acume critico e inedite abilità creative.

 

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Autore

  • Marco Vanucci

    È architetto, Design Director di Opensystems Architecture e docente presso la London South Bank University. Ha insegnato all'AA, al KTH di Stoccolma e all'Università di Cardiff. La sua ricerca si occupa del rapporto tra architettura e automazione. Ha pubblicato articoli e saggi sull'origine dei metodi di progettazione parametrici (UCL's Prospective Journal, 2022) e associativi (Drawing Matter, 2021). Attualmente sta lavorando sul rapporto tra architettura e AI partecipando a mostre (UTSoa) e scrivendo articoli per giornali accademici (Stoa ') ed e co-autore del libro Diffusions in Architecture di prossima pubblicazione per Wiley.

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