Creatività sintetica vs creatività umana: dove andrà la progettazione?
Le intelligenze artificiali sonderanno frontiere per noi inconcepibili: agli esegeti del progetto il compito di trovarvi un senso
Published 5 aprile 2023 – © riproduzione riservata
Le intelligenze artificiali (IA) sono stupide. Lo sono semanticamente e ontologicamente. Ma è proprio l’inconsapevolezza ciò che origina la loro creatività sintetica, eziologicamente diversa da quella umana. Non comprendono ciò che fanno: non ne sono interessate, ancor meno i loro creatori. Calcolano, con potenza neurale o quantistica, e analizzano le ricorrenze statistiche in spettri multidisciplinari non accessibili, contemporaneamente, alla singola mente umana. Individuano pattern all’interno di volumi incommensurabili di dati, inconsciamente prodotti dal genere umano, in tempo reale, per il solo fatto di esistere. Totalmente indifferenti all’universo metacognitivo che le informazioni comportano, come al contesto e al mood per cui vengono generate. Ed è proprio l’indifferenza all’umano cercar di senso che permette alle IA di “vedere cose che voi umani non potreste mai immaginare”: frase arcinota, tratta dal film Blade Runner con cui Hollywood, parallelamente al contestuale sviluppo delle IA, sanciva culturalmente l’esistenza di una “capacità di visione” delle macchine inaccessibile all’essere umano. E che, se non colta, concludeva il replicante Rutger Hauer, “andrà perduta nel tempo, come lacrime nella pioggia”. Per comprendere, perciò, cosa sia effettivamente la creatività sintetica delle intelligenze artificiali e perché potrebbe inaugurare una nuova era per i progettisti, architetti o designer che siano, o condurli a un progressivo declino in funzioni ancillari nella digitalizzazione dei processi, è necessario, in primis, confutare un bias comune, una percezione errata che si ha delle “macchine intelligenti” e della loro presunta emulazione dell’umano agire.
La radice del bias cognitivo deriva dall’uso lessicale distorto che si attua nelle dinamiche divulgative. Termini come “intelligenza artificiale” o “reti neurali” inducono, fatalmente, a una connessione simbolica errata. Se per cercare di spiegare si cercano le assonanze, semantiche o sinallagmatiche, con il pensiero umano, si genera erroneamente un bias che non solo si consolida ma che, soprattutto, diviene poi difficile da correggere. Ed è, tra le altre cose, un bias antiscientifico oltre che ingannevole: si potrebbero trovare analogie e similitudini con il pensiero biologico, infatti, se realmente conoscessimo qual è l’umano pensiero. Come funziona e quali sono i meccanismi che dai processi elettrochimici portano alla consapevolezza di sé, alla metacognizione del sé altro. Pensare, infatti, “oggi sono triste” implica un “sé altro” che analizza, separatamente, un “sé io”: ancora le neuroscienze sono ben lungi dal comprendere come avvenga questo processo. E, perciò, se ancora oggi non abbiamo alcuna consapevolezza di come operi il pensiero umano, come potremmo immaginare che la comunità dei programmatori stia cercando di “replicare”, alla Blade Runner appunto, ciò che a tutti noto ancora non è?
E in effetti gli specialisti di algoritmi e di reti neurali hanno da tempo abbandonato qualsiasi ipotesi di replicare o emulare il pensiero umano. Fanno cose totalmente diverse, non ci provano nemmeno.
La metafora del volo
L’analogia forse più efficace per comprendere come le IA operino in modo strutturalmente diverso da quello umano potrebbe essere la metafora del volo. Ogni tentativo dell’homo tecnologicus di emulare il volo degli uccelli, infatti, è sempre risultato fallimentare. Dalla mitologia di Icaro sino all’artefatto tecnologico delle ali di Leonardo da Vinci, le sperimentazioni sono un lungo elenco di sconfitte. L’uomo si è evoluto per camminare, non per volare. Non vi sono le condizioni strutturali per potersi librare in cielo, neanche aggiungendo ipotetiche ali, neppure in modernissima fibra di carbonio o nanomateriali.
Tutto cambiò allorquando i fratelli Wright dismisero il sogno del volo come emulazione della natura. Dando valore primario, invece, a ciò a cui la tèchne poteva ambire, con prestazioni impossibili per le entità biologiche. I due fratelli seguirono, cioè, un processo controintuitivo, in cui il volo venne reso possibile dall’integrazione del motore endotermico e dalla controspinta cinetica delle eliche. Di “naturale” rimase solo la portanza aerodinamica delle ali. Solo allora l’uomo iniziò a volare, dando concretezza alla creatività sintetica che la tecnologia allora permetteva: violando le regole naturali, motore più eliche e non ali in imitazione della natura, dischiudendo spazi operativi sino ad allora inconcepibili. Solo dopo è intervenuto il capitale semantico umano: contestuale e di scopo. Solo dopo la creazione dell’aereo è iniziato il processo di scelte prima impensabili. Inizialmente in ottica di sviluppo civile o commerciale, trasportando merci, medicine e persone a distanze enormi in pochissimo tempo. E, successivamente, militare, caricando bombe ed eserciti per affermare il predominio geopolitico.
Analogo ragionamento controintuitivo è necessario per comprendere che cosa sia effettivamente la creatività sintetica delle IA. Ossia il dare libera potenza a un diverso modo di agire della tèchne, abbandonando qualunque pretesa di emulare il ragionamento umano. Ed è in questa prospettiva, del fare altro, essendo diversi dalla natura biologica, che si può comprendere come la “creatività sintetica” possa rivoluzionare la creatività progettuale tradizionale, o condurla al suo declino.
AlphaGo contro Lee Sedol
Una seconda analogia può aiutare a comprendere la diversa creatività sintetica delle IA. Che esse siano imbattibili a scacchi è, da tempo, un concetto assodato. Così come lo sono in qualsiasi videogame di qualunque natura: è inconfutabile che l’umano non possa battere l’IA in funzioni di gioco, poiché vi sono regole certe e scenari ricorrenti. Ma l’imbattibilità non è il punto focale. È come hanno modificato “creativamente” il modo stesso di giocare ciò che ha fatto fare un salto di qualità enorme al ruolo delle IA nei processi creativi e intellettuali.
Un esempio su tutti. L’imbattibilità delle IA è ben consolidata anche a “Go”, storico gioco cinese da tavolo, di tipo strategico, di gran lunga più complesso e intellettualmente sfidante degli scacchi. Nel 2016, in una gara organizzata da Google, è avvenuta una storica disfida tra una rete neurale di silicio (AlphaGo) e il cervello biologico di un campione umano (Lee Sedol, coreano, considerato il massimo talento mondiale) che ha scosso in profondità la comunità mondiale dei maestri di “Go”. A sconvolgerli non è stata tanto l’annunciata sconfitta del campione, quanto il fatto che in una delle cinque partite disputate egli sia stato battuto con una serie di mosse mai prima d’allora prese in considerazione da nessun giocatore di “Go”. L’elemento di reale meraviglia fu, quindi, la possibilità di vincere in un modo che ribaltasse completamente la tradizione stessa del gioco.
Anche in questo caso AlphaGo non fu realmente “creativa”: semplicemente mentre elaborava una quantità spaventosa di scenari di gioco e di “rischi statistici” nell’effettuare alcune mosse, individuò una “correlazione” a cui la tradizione umana, con la sua limitata capacità di calcolo, non poteva in alcun modo giungere. AlphaGo non prese in considerazione, neanche per un momento, né il perché né il senso di quello che accadeva: ha semplicemente calcolato e operato in direzione dell’obiettivo prefissato di vincere.
Quella di AlphaGo è la creatività sintetica. Non usa l’approccio umano, ma solo quello statistico computazionale, grazie ad algoritmi o reti neurali. Cerca a modo suo “ricorrenze”, correlazioni, ripetizioni, inferenze, pattern. Non fa altro. Il nuovo viene non dall’intuizione ma, semplicemente dalla capacità di scorgere percorsi che emergono dai dati, dai tantissimi dati, multidisciplinari, che la mente umana non è in grado di elaborare, ancor meno contemporaneamente.
Una creatività sintetica totalmente diversa da quella umana
Anche i modelli previsionali (cosa accadrà) funzionano in modo analogo. Prima di tutto senza consapevolezza alcuna. E poi, contrariamente a quanto effettuato sinora dalla statistica previsionale tradizionale, non prendendo alcuni dati campione per verificare la bontà di un modello impostato ex ante o la veridicità di una tendenza in fase di sviluppo. Nessun modello di partenza, nessuna ipotesi di sviluppo preliminare. Solo dati, tantissimi dati. E le varie IA provano ad analizzarli in infiniti modi diversi per cercare d’individuare un “modello ricorrente” dai dati stessi. Se si delinea un trend dalle informazioni in loro possesso, saranno poi i programmatori o gli statistici (o gli urbanisti o i decision maker) a decidere se il modello “creativamente” trovato dalla IA sia interessante o meno per gli umani, o per gli scopi prefissati. Le IA analizzano e propongono pattern: siamo noi umani a darvi senso o ragion d’essere, futile o finalizzata che sia.
Analogamente, la creatività sintetica delle IA, se opportunamente compresa, in quanto totalmente diversa dalla creatività umana, può portare la progettazione architettonica o il design verso frontiere che, come per le mosse di “Go”, nessun architetto o designer aveva mai preso in considerazione. Una IA che analizzi miliardi di planimetrie o progetti realizzati in tutto il mondo e li colleghi, o cerchi il collegamento, più precisamente, con modelli e dati di riviste specialistiche, provando poi a inferire con altri dati in tempo reale, dei social o degli spostamenti in macchina, come anche con gli indici di borsa, o delle previsioni di cambiamento climatico, delle vendite di antidepressivi o di video caricati su Youtube, può essere in grado di proporre nuovi modelli abitativi che la creatività dei grandi maestri di architettura e urbanistica non avrebbe mai potuto prendere in considerazione.
E, probabilmente, spetterà poi proprio agli esegeti del progetto, a fronte dei tanti modelli architettonici o urbanistici proposti dalle IA, trovare modo e senso a quello che per la macchina sono solo numeri e ricorrenze statistiche.
Nato a Gallipoli (Lecce, 1965), laureato in architettura all’Università di Firenze nel 1992, ha conseguito un master presso il Dipartimento di Geo-informazione dell’Università di Vienna nel 1993, un dottorato di ricerca in Pianificazione all’Università La Sapienza di Roma nel 1998 e un post-dottorato presso il Dipartimento di Economia politica dell’Università di Siena nel 2006. È direttore della Cassa edile della provincia di Lecce, curatore di Smart Ark Academy e presidente dell’associazione culturale Eligere futuro