Città e architettura, il mio sguardo diverso

Città e architettura, il mio sguardo diverso

Elena Granata racconta il suo approccio: i temi femminili erano marginali. Ora sono decisivi e indispensabili

 

Published 17 febbraio 2025- © riproduzione riservata

Scrivere, coinvolgendo. Scrivere, emozionando. Scrivere, facendosi capire dai non addetti ai lavori. Da qualche anno riuscire a essere chiara, logica, diretta nel messaggio è diventata una specie di ossessione: farsi capire è un dovere morale degli esperti e degli intellettuali.

E persino degli architetti, raramente capaci di comunicare bene. C’è un pensiero sulla città, sui luoghi, sull’abitare, sulla mobilità, sugli spazi pubblici e domestici, che va reso pubblico, che deve uscire dalle accademie e dagli studi professionali per tornare ad appassionare e a coinvolgere le comunità. Sono così desolanti gli scomparti dedicati all’architettura nelle librerie: tolti i volumi patinati sui grandi maestri, restano pochi libri, pochissimi saggi, sempre gli stessi. Una nicchia per amatori, e la voce dell’architettura resta nell’angolo.

Dell’architettura ho coltivato la dimensione narrativa, la sua capacità di dare vita a racconti per tutti, perché credo nella sua capacità trasformativa (un tempo avremmo detto la sua capacità di migliorare il mondo) e nella sua natura democratica. Poche cose come l’architettura fanno parte dell’esperienza di tutti e – nel bene e nel male – la condizionano.

Per questo motivo all’attività di studiosa e docente di Urbanistica al Politecnico di Milano, affianco da sempre un’attività di divulgazione. Ripensando ai miei ultimi tre libri – Il senso delle donne per la città (Einaudi, 2023) Placemaker. Gli inventori dei luoghi che abiteremo (Einaudi, 2021) e Biodivercity. Città aperte, creative e sostenibili (Giunti, 2019) – direi che ruotano tutti intorno allo stesso tema. Al centro della mia ricerca c’è la crisi dell’architettura, che vuol dire fatalmente la crisi del nostro modo di abitare il pianeta: qualcosa che ci riguarda tutti e non coinvolge soltanto tecnici e professionisti.

La questione di genere è, ad esempio, una leva potente per mettere in discussione un certo modo di pensare l’architettura, per offrire al lettore altri modi di guardare le città. Non ho voluto ricostruire una foto di famiglia degli architetti inserendo anche le donne, ma ho scelto di dare voce al pensiero sulla città di architette, designer, filosofe, giornaliste, capaci di suggerire uno sguardo diverso sul mondo, uno sguardo che ricompone soggetto/oggetto, mente/corpo, uomo/natura, privato/pubblico. Qui sta la qualità vitale del pensare e dell’agire delle donne: parlare d’altro, cambiare l’agenda del discorso pubblico, occuparsi di temi fino ad ora ritenuti marginali, rimettere al centro il corpo, le relazioni, l’esperienza come campo di apprendimento e di verità.

Le donne da sempre tenute lontane dalla grande scala, dai progetti strategici, dalla pianificazione delle città, dai cantieri, hanno lavorato su temi un tempo ritenuti marginali e che oggi rivelano invece tutto il loro portato di innovazione: la ridefinizione dell’intimità e dello spazio domestico; la ricostruzione della natura e del paesaggio, in un’ottica di responsabilità verso il pianeta; la difesa della dimensione collettiva nella città, dello spazio pubblico e dei beni comuni come risorsa fondamentale.

Le donne possono dare un contributo determinante a immaginare un nuovo modello di convivenza urbana, con la forza delle loro idee, con i loro bisogni e desideri, mettendo a nudo quello che non funziona, per loro e per tutti, e che potrebbe cambiare, rivelando le asimmetrie nella ripartizione del potere e delle responsabilità. È il “capitale femminile” di una società, quella dimensione orizzontale, invisibile e relazionale, che fa sì che una società funzioni, si organizzi, mantenga un equilibrio anche nei periodi di crisi.

Ma gli impedimenti sono ancora molti, a partire dal modo in cui avviene l’educazione all’architettura. Tutta l’alfabetizzazione al progetto, all’analisi, alla prassi, al disegno avviene senza che ragazzi e ragazze incontrino esperienze e contenuti elaborati da donne. Anche io ho ricevuto questa stessa formazione nel corso dei miei studi e mi sembrava già così raro incontrare dei maestri che il problema del genere era decisamente secondario. Ma oggi questo omissis mi pare intollerabile e sento forte il dovere di parlarne e di scriverne.

Sono una donna. Ma per fare carriera ho dovuto dimenticare di esserlo.

Sono stata fortunata: oggi, la gran parte delle donne più giovani devono dimenticare di fare carriera, ahinoi. Penso a loro mentre riordino i pensieri intorno alla mia ricerca. C’è un pensiero delle donne che chiede di farsi largo, un pensiero che nasce dalla nostra esperienza di escluse dai giochi: viaggiare, muoversi di notte, avere un figlio, ammalarsi, diventare straniere andando a vivere in un altro Paese; sono tutte esperienze che allargano la nostra comprensione del mondo e modificano il nostro modo di pensare l’architettura. Per me sono stati l’insegnamento, la relazione con i giovani studenti così come l’arrivo di tre figli, i più grandi antidoti a vivere di solo lavoro, e ancora la militanza civile, le curiosità culturali eccentriche – quando in università paga dedicarsi a un solo argomento tutta la vita – il desiderio di sporcarsi le mani, di confrontarmi progettualmente con altre discipline e saperi, come faccio quotidianamente nella Scuola di Economia Civile, o di uscire dalla mia zona di comfort, come quando mi hanno affidato la responsabilità di Sostenibilità e Forestazione nella Commissione del G7/G20 a guida italiana.

Se penso alla mia vita professionale penso a un continuo, ostinato processo di ricerca e di liberazione che – talvolta pagato a caro prezzo – mi consente di fare ciò che ritengo più urgente o più mi appassiona. I miei libri sono fatti di storie belle, suggestive, che fanno pensare, mi dicono. A me piace considerarle storie di persone che non sono rimaste in attesa di qualcuno che aprisse loro la strada ma che sono state capaci di muoversi con intelligenza e sentimento, di trasformare i loro limiti in opportunità. Tra quelle storie c’è anche la mia.

In copertina: immagine della copertina del libro di Elena Granata, “Il senso delle donne per la città. Curiosità, ingegno, apertura”, Einaudi, 2023

Autore

  • Docente di Urbanistica al Politecnico di Milano, è vicepresidente della Scuola di Economia Civile. È stata membro dello Staff Sherpa, Presidenza del Consiglio dei Ministri, G7/G20 (2020-21). Fondatrice di PLANET B, gruppo di ricerca intorno alla rigenerazione urbana, di ambiente ed economia civile. Articoli e ricerche su città, ambiente, territorio, sono raccolte in www.planetB.it. Tra i suoi libri recenti: Il senso delle donne per la città (Einaudi, 2023); Ecolove (ed. Ambiente, 2022), con Fiore de Lettera; Placemaker. Gli inventori dei luoghi che abiteremo (Einaudi, 2021); Biodivercity (Giunti, 2019).

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