Il ponte di Brooklyn in costruzione )1869-1883)

Donne e ponti, una storia tutta da scrivere

Donne e ponti, una storia tutta da scrivere

Nonostante Emily Warren Roebling e Dorothy Donaldson Buchanan, nessuna “paternità femminile” di un ponte del Novecento. Siamo sempre in attesa della rivoluzione culturale

 

Published 18 gennaio 2025 – © riproduzione riservata

Facciamo un gioco: troviamo nel mondo tutti i nomi di donne che hanno progettato un ponte, costruito in questo o nello scorso millennio. La nostra lista rimarrà quasi vuota!

E non solo se cerchiamo nel maschilista ambito italiano: non troveremo “pontiere” nemmeno nei paesi notoriamente più all’avanguardia nella parità di genere.

Non stiamo parlando del visionario progetto del ponte di Archimede in Norvegia, che è ancora poco più di un’idea nonostante se ne sia parlato per anni come di una struttura realizzata, complice il fatto che a presentarla in Italia era una donna, che veniva invitata per garantire parità di genere ai convegni. E neppure dei tanti ponti disegnati da grandi architette come Zaha Hadid (o la sua giovane emulatrice Leila Araghian, classe 1983, che nel 2014 ha ottenuto premi prestigiosi per il ponte di Tabiat a Teheran): queste opere hanno avuto strutturisti uomini che ne hanno sviluppato il progetto, garantito la stabilità, risolto i problemi statico-costruttivi.

Cerchiamo invece una donna laureata in Architettura o Ingegneria, a capo dell’ufficio progetti di una società specializzata in ponti. Se guardiamo i consigli direttivi di queste grandi società del mondo, troviamo donne eccezionali (una su 10 uomini, in media) che hanno progettato metropolitane, aeroporti, stazioni o edifici di impatto urbano come grattacieli o visionari musei: ma non ponti. Molto più spesso, invece, se ci sono donne in quei consigli – magari per rispettare le quote rosa o criteri analoghi diffusi ovunque – si occupano di sostenibilità. Ambito che, nelle grandi aziende, significa spesso comunicazione.

 

Nel passato, zero donne dietro ai ponti

Nel passato si ricordano figure quasi mitologiche, come Emily Warren Roebling, capace di condurre a termine il cantiere del ponte di Brooklyn dopo la morte del suocero, progettista, e la malattia del marito, che aveva avviato la costruzione. O Dorothy Donaldson Buchanan, che sembra abbia collaborato (non si sa bene in che ruolo) nel team di progettazione di ben due ponti metallici, tra cui il Sydney Harbour Bridge, unica tra quasi 10.000 uomini ad essere ammessa all’equivalente inglese dell’Ordine degli Ingegneri e ritiratasi però dall’attività professionale già a 31 anni, non appena maritata.

Ma non riusciremmo a ricostruire la paternità femminile (sic!), proprio a partire dalla concezione strutturale, di un ponte del Novecento, sicuramente non in Italia: eppure Emma Strada, classe 1884, si è laureata in Ingegneria civile al Politecnico di Torino già nel 1908, superando certamente qualche scetticismo ma nessuna legge o proibizione.

Ci sono state talvolta donne che, lavorando negli studi professionali diretti dai mariti o dai suoceri, hanno goduto di qualche visibilità (un po’ come all’epoca era successo ad Emily): ma vedere aggiunto il proprio nome nelle pubblicazioni sulle riviste, rigorosamente in ultima posizione, non significa identità e autonomia nella concezione progettuale.

 

Per il futuro, non rassegniamoci

È davvero strano: ci sono state donne italiane al comando della stazione spaziale internazionale, ci sono donne italiane direttrici generali del Cern e donne rettrici di prestigiosi politecnici, e non esiste nessuna donna che sia capace di progettare un ponte?

Possibile, allora, che non ci interessi proprio progettare un ponte? Che non sia una struttura di nostro gradimento? Può darsi. Ma non mi rassegno, e, come me, le donne che rilanciano convegni internazionali dal titolo “Women in Infrastructure” o “Gender and Infrastructure”, su come incrementare il ruolo delle donne nelle infrastrutture.

E, visto che mi occupo di storia dell’ingegneria strutturale, vorrei raccontare, in futuro, di quell’indomabile progettista che, nel 2025, avviò una rivoluzione culturale seguita da centinaia di donne (normali, non eccezionali) che si imposero nella progettazione di ponti innovativi e sostenibili.

 

Autore

  • Tullia Iori

    Professoressa ordinaria presso la Macroarea di Ingegneria dell'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Dal 1994 conduce le sue ricerche indagando la storia della costruzione e dell'ingegneria strutturale, con particolare riferimento alle applicazioni relative alla conservazione. Dal 2012 è Principal Investigator nel progetto SIXXI dedicato alla Storia dell'ingegneria strutturale italiana e cura i volumi della serie SIXXI con i risultati della ricerca. Autrice di centinaia di pubblicazioni, ha curato diverse mostre sui protagonisti della Scuola italiana di ingegneria e sulle loro opere.

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