Aereoporto Internazionale Pechino-Daxing (© Hufton Crow)

Pechino-Daxing, aeroporto da primato

Pechino-Daxing, aeroporto da primato

 

Il terminal firmato da Zaha Hadid Architects è il più grande al mondo, ma è solo l’ultimo dei progetti aeroportuali con cui la Cina punta a diventare il leader globale nel traffico aereo entro il 2022

 

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Per i 70 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, il 1° ottobre 2019, è stato inaugurato il nuovo mega-aeroporto di Pechino, il secondo della capitale. Con i suoi 700.000 mq, l’aeroporto internazionale Pechino-Daxing è il più grande terminal al mondo, pensato per gestire 72 milioni di passeggeri l’anno entro il 2025. Daxing nasce per allentare la pressione sull’attuale aeroporto internazionale di Pechino-Capitale nel nord-est della città (completato da Foster + Partners nel 2008), che nel 2018 ha superato la soglia dei 100 milioni di viaggiatori, piazzandosi al secondo posto come aeroporto più trafficato al mondo dopo quello di Atlanta-Hartsfield-Jackson, in Georgia. La costruzione del nuovo snodo è uno dei principali investimenti infrastrutturali voluti dal presidente Xi Jinping, con l’obiettivo di potenziare l’economia cinese e posizionare Pechino ai vertici dei ranking internazionali. La Cina punta così a diventare il più grande mercato mondiale per traffico aereo entro il 2022, superando gli Stati Uniti. L’avveniristica struttura di Pechino-Daxing dichiara tutta la volontà di primeggiare della Cina, che è e rimane “Paese di Centro” (Zhongguo).

Situato a 46 km a sud dal centro, Daxing è stato sviluppato come snodo d’interscambio cruciale per la regione, del tutto integrato nella rete infrastrutturale nazionale. Il terminal comprende un hub di trasporto di 80.000 mq che offre collegamenti rapidi con il centro città attraverso la linea ferroviaria ad alta velocità e i servizi ferroviari locali. La sfida del progetto di Zaha Hadid Architects non consiste solo nelle dimensioni fisiche delle dotazioni, ma soprattutto nell’attenzione riservata al comfort dell’utenza, alle prestazioni in termini di sostenibilità ambientale, alla flessibilità degli spazi in vista di futuri ampliamenti. La configurazione compatta a forma di “stella marina” e il design intuitivo degli spazi risolvono in maniera efficace il traffico dei passeggeri, riducendo le distanze e i tempi di percorrenza. Il concept s’ispira ai principi della cultura architettonica tradizionale cinese, che distribuiscono un insieme di spazi collegati intorno ad una corte centrale. Così il design degli interni orienta i passeggeri attraverso le zone di partenza, arrivo o trasferimento e verso il cuore del terminal, un enorme spazio centrale su più livelli. Dal centro dell’edificio, un ampio lucernario s’insinua fino all’estremità di ogni molo, incidendo la copertura voltata e inondando di luce naturale gli spazi. Le superfici sinuose si flettono fino a toccare terra per generare una serie di pozzi di luce, che scandiscono la fluidità e la continuità dello spazio. L’uso di elementi passivi, vetri ad alte prestazioni, pannelli fotovoltaici, pompe di calore geotermiche, sistemi di recupero e fitodepurazione dell’acqua piovana sono solo alcune delle strategie adottate per rendere questa gigantesca macchina all’avanguardia in termini di prestazioni energetiche.

 

Gli aeroporti, immagine delle città globali

Pechino-Daxing è un caso rappresentativo di come i nuovi sistemi infrastrutturali di ampia scala assumano sempre più un significato simbolico estremamente rilevante. In questo ambito le infrastrutture aeroportuali non rimangono fine a se stesse, in quanto luoghi di transito. Esse non sono neanche più solamente spazi di consumo, che ormai più di dieci anni fa Rem Koolhaas precisava, al pari delle città, “tutti uguali”. Se le città contemporanee, come prefigurato da Saskia Sassen, ora più che mai, possono essere pensate come centri di flussi materiali ed immateriali di scambi globali di merci, che competono a livello mondiale nell’attrarre maggiore traffico di passeggeri, merci e capitali esteri, anche gli aeroporti possono contribuire alla costruzione d’immaginari attrattivi, utilizzati da politici ed amministratori locali per la promozione dei maggiori agglomerati urbani. Al pari di grandi progetti culturali, le nuove e gigantesche infrastrutture aeroportuali cinesi si pongono quindi come distintivi artefatti architettonici, sempre più vistosi e spettacolari, presupponendo che grandi nomi e firme internazionali dell’architettura possano contribuire al processo di definizione dell’identità stessa della città, all’interno di un contesto globale ormai sovraffollato e competitivo.

Queste considerazioni non valgono solo per il nuovissimo aeroporto firmato Zaha Hadid Architects. Ne sono un esempio altre due opere altrettanto iconiche progettate da figure di spicco sulla scena architettonica globale: il nuovo terminal dell’aeroporto internazionale Shenzhen Bao’an, aperto nel dicembre 2013, che porta il nome dello studio di Massimiliano e Doriana Fuksas; e quello di Harbin, situato in Heilongjiang, la regione più settentrionale della Cina, il cui progetto è stato realizzato nel maggio 2016 dallo studio sino-americano MAD. Oltre alla straordinarietà delle loro dimensioni fisiche, in entrambi i casi la cultura progettuale e la ricerca di nuove forme spaziali atte a minimizzare la congestione del flusso di passeggeri, così come a migliorare precettivamente l’esperienza degli utenti all’interno degli spazi ed aumentare l’efficienza energetica dell’involucro, sono elementi chiave del concept architettonico. Come nel nuovo aeroporto della capitale, entrambi gli esiti trovano riferimento nel motivo simbolico della natura. Se nel caso di Shenzhen Bao’an tale motivo rimane ristretto alla pelle metallica della copertura simulando le geometrie di un nido d’ape, nel caso di Harbin il richiamo organicista è più esplicito e preponderante: un frattale a cinque punte che allude alla figura del fiocco di neve. In questo caso il valore simbolico del progetto è estremamente forte e locale: la nevosa Harbin viene infatti denominata la “città di ghiaccio”.

Questa attitudine sembra aver sorpassato la tendenza di alcuni precedenti progetti aeroportuali, che sperimentavano le più avanzate tecniche edilizie e strutturali, orientate a risolvere grandi luci ed altri problemi infrastrutturali complessi: di questi, l’aeroporto progettato da RPBW nel mezzo della baia di Osaka ne è esempio emblematico. I nuovi aeroporti cinesi sono invece caratterizzati da una forte dimensione simbolica, in cui il richiamo quasi didascalico alle forme delle natura diventa non solo un dispositivo identitario per le città in cui sono situati, ma anche uno stratagemma di legittimazione e racconto del progetto stesso.

 

Autore

  • Francesco Carota e Maria Paola Repellino

    Francesco Carota, nato a Torino nel 1989, studia architettura presso il Politecnico di Torino, dove si laurea svolgendo una tesi in collaborazione con la Tsinghua University di Pechino. Nel 2015 inizia un dottorato di ricerca al Politecnico di Torino all'interno del gruppo di ricerca China Room, indagando il tema dell'abitare urbano in Cina. Nel frattempo frequenta alcuni studi professionali di Torino e co-fonda lo studio di comunicazione e design Cargo Visual Office. E' assistente alla didattica al corso di Progettazione Architettonica e Disegno per l'architettura al Politecnico di Torino Maria Paola Repellino, nata ad Alba nel 1987, si forma presso l’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna e il Politecnico di Torino, dove si laurea in Architettura nel 2012 e poi consegue il Dottorato di ricerca con una tesi sulle dinamiche di trasformazione del patrimonio industriale in luoghi creativi nella Cina contemporanea. Dal 2016 è ricercatrice post-doc al Politecnico di Torino, dove coordina una ricerca in collaborazione con Tsinghua University e EPFL dedicata alle new towns cinesi: all’interno del programma ha curato la mostra-seminario alla Beijing Design Week 2016 e il ciclo di conferenze sulla nuova urbanizzazione cinese lungo la nuova Via della Seta, presentate al MAO - Museo di Arte Orientale di Torino. E' membro di una ricerca coordinata dal Politecnico di Torino, partner di un consorzio sino-europeo, incentrata sul tema dell’urbanizzazione cinese, supportata dal programma EU Horizon 2020

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