Il secolo dell’alta velocità cinese
I massicci piani d’infrastrutturazione ferroviaria del territorio come motore di sviluppo locale e occasione di ricucitura delle aree interne
A partire dalle riforme del 1978, la spettacolare crescita della Cina ed il processo di urbanizzazione sono stati accompagnati da crescenti disparità e diseguaglianze economiche, così come demografiche, tra le diverse regioni che compongono il Paese. Alcuni autori hanno spesso parlato di un Paese a doppia velocità: da un lato le regioni della costa e i grandi agglomerati urbani, dall’altro le regioni interne dell’ovest ed i piccoli centri rurali. Esistono molteplici ricerche in grado di mostrare chiaramente questo divario, tra le quali un recente studio, redatto da Shenggen Fana, Ravi Kanburb, Xiaobo Zhang, presenta un dato piuttosto rilevante: nel 2007 il Pil pro capite medio delle regioni interne era meno della metà di quello delle regioni costiere, con differenze a livello provinciale ancora più elevate. Il Pil pro capite di Shanghai era dieci volte maggiore di quello di Guiyang, una provincia della regione del Guizhou, ad ovest di Canton. In ogni caso, il processo di urbanizzazione cinese, come ricorda Hyun Bang Shin, professore di geografia e studi urbani alla London School of Economics, può essere interpretato come un vero e proprio progetto politico ed ideologico tutt’ora in atto. A metà degli anni 2000, la popolazione urbana contava all’incirca 520 milioni di individui (circa il 40% del totale), a fronte degli 800 milioni ancora considerati come popolazione rurale seguendo il sistema cinese di registrazione delle famiglie detto hukou; nel frattempo i piani prevedevano già all’epoca il raggiungimento del 60% del livello di urbanizzazione nel 2020 ed almeno il 70% nel 2025.
Così, da metà anni 2000 inizia una significativa pianificazione politica del territorio che, attraverso l’attuazione di nuove misure, intende ridurre la pressione demografica nelle oramai sovraffollate metropoli della costa, integrando l’immigrazione proveniente dalle aree rurali all’interno di piccole e medie città situate nell’entroterra. I piani quinquennali del 2006 e del 2011 individuano queste aree come nuove locomotive dello sviluppo economico e sociale del Paese, così come orientano una serie di strategie ed investimenti per stimolare la crescita e migliorare gli standard di vita degli abitanti. All’interno di questo contesto, vede la luce uno dei piani infrastrutturali più grandi ed avveniristici del mondo. Con l’obiettivo di connettere quelle aree che fino a pochi anni fa erano state parzialmente escluse dai processi di rapida urbanizzazione, il governo centrale cinese ha annunciato nell’aprile 2007 la prima linea della China Railway High-speed (Guangshen railway – CHR), che connette le città di Guangzhou a Shenzhen, entrambe situate nel Guangdong. Così, se alla fine del 2008 erano già 6.415 i km di ferrovia ad alta velocità costruiti in Cina, nel 2018 questi erano cresciuti di 5 volte, raggiungendo un totale di circa i 29.000 km di linea ferroviaria, e contando così per il 64% delle reti ad alta velocità costruite a livello mondiale.
Ad una prima occhiata, alcuni dei fattori che possono catturare l’attenzione sono proprio la magnitudo dell’operazione così come la rapidità con la quale essa viene realizzata. In ogni caso, quando si parla del “secolo cinese”, per riprendere un titolo del giornalista Federico Rampini, le osservazioni puramente quantitative (fatte di grandi numeri ed enfatizzate dai diversi record mondiali stabiliti) ormai non dovrebbero più impressionare né forse riscuotere particolare interesse. Rimangono piuttosto da discutere gli effetti di questa infrastruttura sui territori che essa intercetta. Una ricerca condotta dal Politecnico di Torino (China Room) e dal Massachusetts Institute of Technology (China Future City Lab + Senseable City Lab) sta indagando le ricadute economiche, sociali e spaziali del piano infrastrutturale in rapporto alla costruzione di nuove città di fondazione (dette appunto New Towns, New Areas, ecc.).
I primi risultati della ricerca mostrano come, a scala territoriale, i centri urbani connessi all’alta velocità abbiano goduto negli scorsi dieci anni di un incremento, in termini di vitalità economica ed espansione urbana, altamente superiore rispetto a quelli esclusi dalla tratta. Inoltre, questi centri hanno subito una totale ristrutturazione del loro tessuto economico e sociale, passando dalla forte vocazione rurale ed industriale a luoghi veicolanti nuove forme di consumo turistico ed urbano. Alla scala urbana, è possibile invece osservare come la nuova stazione dell’alta velocità sia un elemento in grado di polarizzare la direzione della crescita urbana del vecchio centro, così come la linea ferroviaria ne delimiti un confine netto rispetto ai terreni lasciati a vocazione agricola. Una delle caratteristiche principali della nuova infrastruttura ad alta velocità cinese risiede infatti nel posizionamento delle stazioni rispetto ai centri cittadini esistenti. Le stazioni, spesso luoghi dal carattere architettonico molto marcato e circondati da spazi dalla vocazione quasi metafisica, sono edifici di nuova costruzione realizzati a diversi chilometri di distanza dai centri urbani consolidati. Esse diventano quindi il motore per avviare nuovi processi di espansione urbana dei centri esistenti, se non più propriamente nella maggior parte dei casi si trasformano nel baricentro di nuove città o aree di sviluppo urbano, i cui tratti architettonici riflettono simbolicamente il raggiungimento di una qualche forma di benessere e modernità. In conclusione, l’infrastruttura dell’alta velocità nella Cina contemporanea può essere pensata non solo come un segno sul territorio, e le sue stazioni come spazi fisici od oggetti materiali, bensì come una rete virtuale, frutto di una volontà politica che intende colmare gli squilibri economici e sociali tra le grandi metropoli della costa e le aree interne del Paese.




Francesco Carota (Torino, 1989), studia architettura presso il Politecnico di Torino, dove si laurea con una tesi in collaborazione con la Tsinghua University di Pechino. Nel 2015 inizia un dottorato di ricerca al Politecnico di Torino all’interno del gruppo di ricerca China Room, indagando il tema dell’abitare urbano in Cina. Nel frattempo frequenta alcuni studi professionali di Torino e co-fonda lo studio di comunicazione e design Cargo Visual Office. E’ assistente alla didattica al corso di Progettazione architettonica e Disegno per l’architettura al Politecnico di Torino.
Matteo Migliaccio (Aosta, 1991) si laurea in Architettura Costruzione Città nel 2016 al Politecnico di Torino con una tesi congiunta con la Tsinghua University of Beijing (premio “Giulia Marchisio”, 2018). Dopo una formazione internazionale in studi di progettazione e collaborazioni di ricerca, dal 2018 frequenta la scuola di Dottorato del Politecnico di Torino e lavora all’interno del gruppo China Room sulla rappresentazione spaziale in trasformazione in Cina. Nel 2019 è visiting researcher presso il Massachussets Institute of Technology di Boston per un progetto congiunto con il Politecnico sull’impatto spaziale dell’alta velocità nelle aree interne della Cina.