Viaggio nella “zona proibita”
Ciò che può apparire come un dominio escluso dall’educazione all’architettura, ne è in realtà al suo centro
LEGGI GLI ALTRI CONTRIBUTI DELL’INCHIESTA «SACRA DIDATTICA IN LAICA UNIVERSITA’»
Published 10 marzo 2023 – © riproduzione riservata
La domanda che pone questa inchiesta è certamente stimolante. Quale ruolo può giocare il sacro nell’insegnamento dell’architettura oggi? Come può lo spazio sacro contribuire all’educazione in architettura? Vi sarebbe anche chi potrebbe domandarsi se lo spazio sacro possa ammettere un qualsiasi ruolo educativo, considerati i passati errori dell’organizzazione religiosa nel quadro delle miserie umane. Un critico sociale e ateo come l’ultimo Cristopher Hitchens potrebbe propendere per una simile posizione. Comunque, viviamo in un tempo (e tengo presente le condizioni sociali qui in Nord America), in cui i giovani criticano il ruolo delle religioni ma non per questo negano che il sacro e la spiritualità abbiano un ruolo nelle loro vite. La gran parte dei giovani – quegli stessi che sono studenti nei nostri laboratori d’architettura – si descrive come “spirituale ma non religiosa”. Essi sono la frontiera dei cambiamenti nel modo in cui la gente oggi pensa alla religione o all’essere religioso. Molti giovani oggi riconoscono nella religione organizzata il problema, non la soluzione: una forza che divide le persone, che è intollerante, che costruisce muri attorno a posizioni ideologiche in guerra tra loro.
I sondaggi promossi da riconosciuti istituti di ricerca come Pew, Gallup e dal Trinity College sono tutti concordi nel mostrare un rapido calo nella percentuale dei giovani che si dichiarano membri di una religione organizzata. E ancora, è crescente il numero di coloro che si descrivono come spirituali ma non religiosi. Questi sono alla ricerca di modi di vita spirituali che avvalorino il dialogo, la comprensione, l’empatia, l’autenticità.
Si tratta di ottime motivazioni per gli studenti d’architettura, ormai divenuti sospettosi di programmi che riducono la configurazione dell’ambiente costruito ad esercizi formalistici di estetica compositiva, o alla costruzione di edifici che non vanno mai oltre i relativi requisiti funzionali, modellati senza discutere dalle forze economiche e sociali trainanti, assunte come “date”.
Una velata ostilità verso la ricerca sullo spazio sacro
Tuttavia, i docenti di architettura di ruolo, avendo il privilegio dell’età, non hanno normalmente la medesima concezione dei loro studenti. La ricerca sullo spazio sacro e sull’architettura per la spiritualità nelle scuole d’architettura è spesso accolta con velata ostilità dalle università e delle relative amministrazioni (divenendo così una vera e propria “zona proibita” di molti corsi di studio).
Ma gli studenti hanno continuato a pretendere simili orientamenti di ricerca, spesso in opposizione a teorici della didattica che si sentono minacciati dal considerare l’architettura in un quadro teorico diverso da quello laico o astratto, che ne scarta o ne ignora l’aspetto trascendente. Il fenomenologo Juhani Pallasmaa avverte che questo atteggiamento si traduce in un “appiattimento” dell’architettura ad una dimensione che non lascia spazio al suo ruolo cosmico e spirituale, ossia, essenzialmente, all’esclusione dell’architettura da elemento della condizione umana.
Se ci avviciniamo al nostro compito di architetti da questa direzione alternativa, diventa chiaro che tutto ciò che progettiamo può essere architettura spirituale, sia esso volto ad un esplicito scopo sacro (come una chiesa, un tempio, una moschea), o si tratti di una biblioteca, una casa, un centro di riabilitazione, un spazio per stare da soli, oppure un posto per giocare, o per lavorare, per condividere un pasto, o per fare festa. Anzi, è chiamato ad esserlo. Dovremmo allora focalizzare la nostra didattica su questo scopo.
Un collega architetto, versato anche in studi teologici, mi disse un giorno di credere che non è in quanto esseri umani che agogniamo lo spirituale, piuttosto il contrario: in quanto esseri spirituali cerchiamo di capire come essere umani. Questo orientamento dovrebbe essere fondamentale per noi architetti e docenti di architettura, per scoprire come l’architettura possa guidare noi, esseri spirituali, alla ricerca della propria umanità.
Alcune domande per riflettere
Ecco, dunque, alcune domande sul ruolo dello spirituale nella didattica d’architettura sulle quali potremmo riflettere e interrogarci con i nostri studenti, specialmente quando siamo insieme nei laboratori di progettazione.
In che modo le riflessioni circa lo spirituale da parte di studenti e docenti arricchiscono la loro istruzione e il loro ruolo di futuri architetti? In che modo la considerazione di tali aspetti nel progetto d’architettura può aiutare studenti e architetti a corrispondere all’intera gamma delle esperienze umane? Quali esperienze capaci di generare spiritualità e cultura ti sono note tanto nell’insegnamento quanto nell’apprendimento dell’architettura? Come queste esperienze ti hanno mutato – non solo come architetto o studente, ma come essere umano? Se vi è una fame irrefrenabile in ognuno di noi d’incorporare lo spirituale nel nostro lavoro, come questo si relaziona con il luogo e il tempo in cui viviamo? Come architetti e come docenti, come creiamo uno spazio adeguato ai nostri studenti e colleghi per abitare questo territorio, per attraversare questa zona proibita? Come possiamo creare un luogo accogliente in cui la discussione, la riflessione e l’esplorazione circa lo spirituale in architettura siano promosse e onorate? E come affrontiamo la dimensione spirituale e sacra dell’architettura nel nostro lavoro?
Queste domande sono impegnative (alcuni potrebbero anche descriverle come “difficili”). Immergersi in tale indagine spesso ti spinge fuori dalla tua zona di comfort. Ma non è questo il punto di partenza di qualsiasi processo educativo?
Imparare dagli studenti
Ho scoperto diverse opportunità di coinvolgere gli studenti in domande come queste. Visitando corsi di architettura in Nord America e altrove, ne ho incontrati alcuni che hanno creato spazi nei quali domande come queste possono essere intrattenute ed esplorate. Forse il più interessante è presso l’Università Cattolica di Washington, che ha un corso di laurea specificamente dedicato all’esplorazione della spiritualità in architettura. Ho imparato molto dai suoi studenti.
Una studentessa, Emily, affermò che aveva scelto di studiare in quella sede perché voleva concentrarsi su come l’architettura plasma l’esperienza umana – quali emozioni e percezioni possono essere suscitate dallo spirituale in architettura? Era interessata ad esplorare come lo spirituale in architettura aiuta a costruire comunità. Connettere il puramente funzionale e lo spirituale conferisce all’architettura una dimensione universale ed esistenziale. Ha descritto il suo lavoro in studio in questo modo: “I nostri progetti sono i nostri viaggi”. Lisa invece mi ha detto che, per quanto scomodi e impegnativi possano essere questi viaggi, “a volte è bello essere in una zona scomoda, perché questa ti può motivare di più. Puoi arrivare a vedere come la spiritualità influenza il tuo disegno”. Andrew si è reso conto che l’architettura non riguarda solo mattoni e malta. Né solo l’utile. Ha scoperto che parte del ruolo di un architetto è plasmare ambienti che possano aiutare a trascendere il “quotidiano”. Si è espresso così: “Gli edifici che creiamo possono avere dimensioni più importanti di quella fisica, che possono cambiare la vita delle persone”. Sina era uno studente più grande, che aveva ripreso gli studi dopo 30 anni dalla laurea triennale, lavorando nel campo. Ritornando, aveva trovato un’oasi intellettuale e spirituale dove poteva pensare e parlare di cose che all’inizio gli sembravano totalmente estranee da ciò che faceva nella pratica di ogni giorno, ma che si rivelarono centrali nella sua vita di architetto. Tutto ciò riuscì a ricordargli perché voleva diventare un architetto: per creare luoghi che concedano alle persone momenti di pausa, quasi un rifugio privato in cui riflettere. Tali spazi c’invitano a fare qualcos’altro con la nostra vita, forse a diventare qualcun altro, magari solo per un po’, lasciando ciò che si è e lo spazio che si occupa alle spalle per occuparne un altro. Per cambiare. Per trascendere. Sina mi ha detto che il suo lavoro di tesi lo aveva portato a concludere che proprio questo è lo scopo fondamentale dell’architettura: trasformare, trascendere. Essa ha, dunque, lo stesso scopo della spiritualità stessa.
Immagine di copertina: le rampe a spirale illuminate da un fascio di luce naturale dall’alto sono il cuore del progetto di Ugochukwu e Sina Moayedi per un laboratorio progettuale alla Catholic University of America, dove l’autore di questo articolo è stato membro invitato di commissione di valutazione. La spirale abbraccia molte delle religioni del mondo e considera come suo tema “il dare e il ricevere”, che i progettisti ritengono essere l’elemento primo dell’amore umano
LEGGI L’ARTICOLO IN LINGUA INGLESE
Michael J. Crosbie è un architetto e scrittore, professore presso l’Università di Hartford in Connecticut ed è stato onorato del titolo di Professore Illustre presso l’Association of Collegiate Schools of Architecture (www.acsa-arch.org). Crosbie è saggista e autore di diversi volumi oggi ritenuti fondamentali in architettura e di moltissimi articoli e lezioni di architettura svolte in contesto Nord Americano e altrove.