Viadotto sul Polcevera, non di sola demolizione vive l’uomo…

Viadotto sul Polcevera, non di sola demolizione vive l’uomo…

 

La ricostruzione “colta” e coerente con l’eredità di Morandi si poteva fare, come dimostrato da alcuni partecipanti al bando per la ricostruzione

 

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Il 2018 sarà ricordato per la tragedia del Polcevera a Genova e per la reputazione di Riccardo Morandi. Per molti “personaggi in cerca di autore” i suoi capolavori sono diventati sinonimo di ponti che crollano. Ancor prima di comprendere i motivi del collasso pressoché istantaneo del monumento, tanti si sono spinti a screditare, senza effettiva cognizione di causa, uno dei più grandi ingegneri del ’900.

Incontrai Morandi a Treviso negli anni ’80 durante un seminario sulle grandi strutture promosso dalla MAC. Fu grande l’emozione di stringere la mano a chi già allora era considerato un mito. Durante i miei studi di ingegneria a Padova dal ‘63 al ‘69 ero affascinato dalle sue realizzazioni in tutto il mondo. Un vessillo di italianità di cui andavamo fieri, unitamente alle nostre grandi imprese di costruzioni che realizzavano in Italia e all’estero opere di assoluto rilievo. All’epoca, dopo aver realizzato Maracaibo e Polcevera era in corso di esecuzione il Wadi Kuf in Libia e a seguire il Baranquilla in Colombia, giusto per citare i più noti ponti cosiddetti “Morandi” per il brevetto depositato. Visitai il Wadi Kuf e ne conservo un ricordo indelebile; era destino che dei ponti mi sarei innamorato perdutamente. Di Morandi conoscevo anche i ponti ad arco; in particolare lo Storms River in Sudafrica e il Bisentis a Catanzaro, entrambi innovativi per l’arditezza della concezione ove architettura e struttura erano pressoché indistinguibili. Non lontano da Catanzaro, Adriano Galli aveva realizzato a Gimigliano un altro ponte ad arco di straordinaria bellezza. Non avrei mai immaginato allora, che con il nuovo millennio lo avrei letteralmente “salvato” da una sentenza capitale troppo affrettata e poco ponderata. Un salvataggio che purtroppo pochi anni dopo non mi sarebbe riuscito con il Polcevera, nonostante molto abbia scritto su questo disastro e mi sia adoperato per impedirne questa damnatio memoriae.

A nulla sono valsi gli appelli contro questo gesto iconoclasta inutilmente costoso e con tempi molto dilatati rispetto alla più logica sistemazione e irrobustimento di quanto è rimasto, limitando la ricostruzione alla sola parte crollata. Purtroppo si demolisce, anziché “irrobustire” la parte integra (come fece un’impresa italiana sul più impegnativo Wadi Kuf, meno di 20 anni fa). Convinto come sono dell’assurda decisione di demolire 1000 metri di viadotto, intendo dimostrare che la ricostruzione “colta”, non banale ma coerente con l’eredità di Morandi, del solo tratto crollato si poteva fare, salvando il tratto residuo in tempi realmente contenuti. Traccio qui le linee essenziali di tre gruppi imprenditoriali che hanno presentato la proposta a seguito del bando emesso dal Commissario.

 

SIS – Maltauro e Consorzio Pangea

Un team di professionisti, coordinati dall’architetto Alessandro Stocco, ha elaborato un’interessante proposta volta al ripristino del collegamento viario interrotto, ampliando la sezione dell’attuale carreggiata stradale, da realizzare in carpenteria metallica per le “complanari” esterne. Queste sono sostenute da piedritti innestati sulle fondazioni esistenti adeguatamente rafforzate, sia a sbalzo nel primo tratto di circa 600 metri, sia nel tratto da ricostruire ex novo che in quello tra le pile 10 e 11. La scelta tipologica adottata, a schema estradossato, intende dare un’ideale continuità anche culturale al ponte Morandi originale.


Ricciardello costruzione S.r.l.

L’innovazione sta nel mantenere il viadotto di accesso dalla pila 1 alla pila 8 ed effettuare un irrobustimento, consolidando la struttura esistente con due strutture separate in affiancamento, dotate di fondazioni proprie e indipendenti. Sul fronte progettuale, con la demolizione dei due tratti con piloni e tiranti, si realizza una struttura continua con tipologia “estradossata” a tre piloni che si colloca sulle fondazioni esistenti. In tal modo si evita di realizzare nuove fondazioni sul Polcevera con vantaggi temporali per l’esecuzione di lavori in alveo. Questa impresa si era impegnata a demolire e ricostruire “chiavi in mano” a ciclo completo l’intera opera in 37 settimane.


SALC S.p.A.

Il progetto prevede il nuovo viadotto a 3 corsie per ogni senso di marcia più la corsia di emergenza, potendo così essere aperto a 4 corsie ristrette (2 per ogni senso di marcia) come d’uso nelle fasi provvisorie dei lavori di adeguamento della piattaforma autostradale.

Soluzione 1: viadotto fuori sede (senza demolizione del vecchio viadotto – se non nelle parti d’innesto – né dei palazzi);

Soluzione 2: viadotto in affiancamento. Realizzazione di una prima carreggiata, in affiancamento al vecchio viadotto, in modo da evitare la demolizione dei palazzi.

Venuto casualmente a conoscenza di una lettera di Simon Pietro Salini dell’impresa SALC, e condividendone il contenuto, la riporto qui per intero, affinché si sappia che non tutti sono indifferenti.

 

 

Autore

  • Enzo Siviero

    Già ordinario di Tecnica delle costruzioni presso l'Università IUAV di Venezia e vicepresidente del Consiglio Universitario Nazionale, attualmente rettore dell'Università telematica eCampus di Novedrate (Como). Vicepresidente di SEWC (Structural Engineers World Congress), vicesegretario generale di EAMC (Engineering Association of Mediterranean Countries) e direttore responsabile della rivista "Galileo" del Collegio degli Ingegneri di Padova

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