Una e divisibile. Il nodo dei musei

Una e divisibile. Il nodo dei musei

 

Terza puntata dell’inchiesta sulle autonomie regionali. Le mosse del ministro Franceschini tra remore sulla proprietà, scelte gestionali e il caso “precoce” della Sicilia

 

LEGGI LE ALTRE PUNTATE DELL’INCHIESTA

 

Di regionalismo differenziato torna a parlare il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, marcando proprio in questo ambito la “diversità di impostazione”, per usare le sue parole, rispetto alla professata linea di continuità generale col suo predecessore Alberto Bonisoli. L’ex ministro, infatti, non aveva fatto mistero di una sua forte contrarietà all’autonomia, definendola “un casino”. Un’apertura, invece, quella di Franceschini, nei confronti di bozze d’intesa coperte dal segreto, che non sorprende poi molto. L’avvio del negoziato con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna era infatti avvenuto sotto il Governo Gentiloni, e anche la revisione costituzionale del 2001, quella che ha riformato il Titolo V prevedendo che le regioni possono chiedere forme e condizioni particolari di autonomia in diversi ambiti, è avvenuta sotto un governo di centrosinistra. In continuità, dunque, nel programma sottoscritto da PD e 5 Stelle l’autonomia differenziata è confermata, anche se in qualche modo corretta dalla richiesta di approvazione dei livelli essenziali delle prestazioni, dal fondo perequativo e da una “ricognizione ponderata” delle materie e competenze.

 

Proprietà statale o regionale?

Francheschini, in audizione l’8 ottobre di fronte alle commissioni riunite Cultura di Camera e Senato, ha detto che «Il Governo sta lavorando e lavorerà sul tema dell’autonomia con un’interlocuzione molto aperta e non ideologica soprattutto con le Regioni che hanno avviato questo percorso». E ha aggiunto: «Mentre dal punto di vista delle attività culturali, ad esempio una parte del Fondo unico per lo spettacolo, sono aperto, sono molto più prudente sul trasferimento dei singoli beni culturali alle Regioni. Perché il problema è piuttosto la gestione e la valorizzazione, ma non capisco perché trasferire la proprietà di un bene dallo Stato a una singola Regione. Ma è un tema da approfondire». Dunque, interpretando questo indirizzo del ministro, da una parte apertura nei confronti dell’Emilia Romagna che intende costruire un sistema museale regionale integrato, anche se nella bozza non vi è alcun riferimento a come dovrà raccordarsi col Sistema museale nazionale (di cui al decreto ministeriale del 21 febbraio 2018), e freno a mano tirato, dall’altra, con la Lombardia che chiede il trasferimento di 24 istituti e luoghi della cultura appartenenti allo Stato, tra cui il Palazzo Ducale di Mantova e il Museo della Certosa di Pavia [foto di copertina], o la Pinacoteca di Brera e il Cenacolo Vinciano. Proprio questi ultimi, al centro di passaggi nodali della riorganizzazione Bonisoli, sono stati fortemente contestati da Tomaso Montanari: «Come giustificare, per esempio, gli accorpamenti dei poli museali di regioni diverse (umiliata Matera, che si vede sottoposta a Bari proprio nell’anno che la doveva vedere protagonista), o la costruzione di piattaforme sensate solo sul piano commerciale (il Cenacolo di Leonardo dato a Brera!)? Per non parlare della scelta di creare una rete museale etrusca che fa capo a Villa Giulia, a Roma: demenziale sia per le tantissime cose etrusche che rimangono fuori (si pensi a Vetulonia o a Montefortino; o ai tanti siti emiliani…), sia per lo slabbramento che porterà in territori che si vedono sottrarre fette di patrimonio che sono parti vive di sistemi locali».

 

Chi gestisce i musei autonomi?

Franceschini è intervenuto anche su un’altra questione inerente l’autonomia, ma in riferimento a quella gestionale dei musei autonomi: intende ripristinare nei musei i consigli d’amministrazione (organi di governance, insieme al comitato scientifico e al collegio dei revisori dei conti), «Una delle condizioni per garantire l’autonomia, sennò viene tutto troppo centralizzato», che la precedente riforma avevano eliminato. Intende, poi, salvaguardare l’autonomia di tre musei – Appia Antica, Museo Etrusco di Villa Giulia e Accademia di Firenze – soppressa «Sostanzialmente per ragioni di recupero di dirigenti di II fascia da utilizzare poi in altre funzioni nel ministero. Sto cercando di fare in modo che quelle funzioni vengano affrontate con ruoli di dirigenti». Dal canto suo, Bonisoli, nella lettera inviata al Collegio romano ai primi di settembre per fare chiarezza sui cambiamenti organizzativi introdotti, precisava che «La riorganizzazione non altera, né poteva alterare, il numero delle posizioni di livello dirigenziale generale del Ministero, che sono rimaste 25«. Quanto all’eliminazione dei cda, l’ex ministro l’aveva motivata con la necessità di “snellire e semplificare”, sottoponendo centralmente bilanci e consuntivi dei singoli musei all’approvazione della Direzione generale musei. Tra i più critici nei confronti della creazione dei musei autonomi l’associazione “Mi riconosci? Sono un professionista dei Beni culturali”, che il 6 ottobre scorso ha protestato in diverse città, tra cui Pompei, Venezia, Roma, Lecce, Taranto, Bologna, Torino, Campobasso e Pescara, contro una riforma che avrebbe aperto la porta alla trasformazione dei più importanti musei statali italiani in fondazioni di diritto privato.

 

Il “modello siciliano”

Vale la pena ricordare che i due passaggi qualificanti della riforma del 2014 – soprintendenze uniche, musei e parchi archeologici autonomi – sono esemplati sul “modello siciliano”. Non tutti sanno però che la novità più importante introdotta da Franceschini in ambito museale, in Sicilia risale addirittura a fine anni ’70. I musei regionali siciliani è da decenni che sono autonomi amministrativamente, gestiscono in proprio la programmazione, insomma non sono uffici delle soprintendenze, diretti da un funzionario che doveva occuparsi sia di tutela che di valorizzazione come lo erano i musei statali prima del dicembre 2014, quando è entrata in vigore la riforma Franceschini. Uno status sancito dalla lontana legge regionale 80/1977 (art. 19). È poi con la l.r. 116/80 (art. 6) che la loro direzione è affidata ad uno dei dirigenti dell’Amministrazione dei beni culturali, diverso, appunto, dal soprintendente. Nel 1991 si ha, quindi, un’ulteriore definizione giuridica dell’assetto: i principali musei dell’isola, come l’Abatellis di Palermo o il Bellomo di Siracusa, sono trasformati in musei interdisciplinari, cui se ne aggiungono altri (tra cui la Casa-Museo Verga di Catania, il Museo Palazzo Mirto di Palermo e la Villa imperiale di Piazza Armerina), mentre vengono predisposti interventi ad hoc per altre realtà, come i musei di Gela e di Mozia.

Tra le linee che hanno guidato il suo precedente mandato, Franceschini ha riconfermato anche l’esperienza dei poli museali, che riconosce, però, “non aver funzionato come doveva”. Nuovo obiettivo, “migliorare la valorizzazione dei musei più piccoli”. Proprio i poli, trasformati in “Direzioni territoriali delle reti museali”, sono tra le modifiche introdotte in agosto col Dpcm 19 giugno 2019, n. 76, a crisi politica già avviata, e per questo il nuovo ministro ne ha fermati, in via cautelativa, i decreti di applicazione. In Sicilia i poli museali sono stati istituiti nel 2016. Se nello Stato sono 17, uno per ogni Regione, nella sola Sicilia erano 13. “Erano”, perché con la riorganizzazione del Dipartimento BBCC, avvenuta come quella del Mibact nello scorso agosto, i musei (archeologici) sono stati fatti afferire ai nuovi “servizi” parchi archeologici. Da questi raggruppamenti restano fuori le maggiori realtà regionali: il museo interdisciplinare di Messina, i palazzi Abatellis, Riso e Salinas a Palermo, il Bellomo a Siracusa e il Pepoli a Trapani. Col caso clamoroso del museo Orsi che non fa più storia a sé ma è stato, appunto, inglobato nel nuovo parco di Siracusa.

E proprio i parchi archeologici siciliani hanno fornito il “modello” organizzativo per quelli statali. Un modello contraddittorio e carente, perfezionato e razionalizzato da Franceschini. Almeno in teoria, perché nella pratica le funzioni dei diversi organi che compongono musei e parchi autonomi non sono chiaramente distinte, creando sovrapposizioni e conflitti. In Sicilia bisogna distinguere tra il Parco della Valle dei templi, il primo a nascere nel 2000, e (tranne qualche precedente) gli altri istituiti, con dubbie modalità peraltro, solo quest’anno. In questi ultimi non esiste il Cda, ma il comitato tecnico-scientifico, che stando al nomen iuris dovrebbe essere un organo consultivo esclusivamente tecnico e che, invece, stando alla legge regionale 20/2000, fornisce pareri sia sugli interventi (sostituendo l’autorizzazione ex artt. 21 e 146 del Codice dei beni culturali del 2004), sia a integrazione dell’efficacia degli atti amministrativi, oltre ad essere chiamato ad adottare il rendiconto di gestione. Il Cda, invece, è un organo di gestione. O almeno così è nei parchi del Mibact. Quello della Valle dei Templi si configura, invece, come un organo ibrido, tecnico-scientifico e di gestione amministrativa, mentre per tutti gli altri parchi siciliani non è nemmeno previsto, così come non è previsto un Collegio dei revisori dei conti. Se nello Stato l’autonomia dei musei funziona tanto da essere fonte di preoccupazione, vedendola come il gradino che precede una paventata privatizzazione, in Sicilia, invece, se non si rimette mano alla legge regionale, dotando i nuovi parchi degli imprescindibili organi di governance, sarà la paralisi.

Autore

  • Silvia Mazza

    Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e  dal compianto Folco Quilici  nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Dal 2019 collabora col MART di Rovereto e dallo stesso anno ha iniziato a scrivere per il quotidiano “La Sicilia”. Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale. Ha collaborato con il Centro regionale per la progettazione e il restauro di Palermo al progetto europeo “Noè” (Carta tematica di rischio vulcanico della Regione Sicilia) e alla “Carta del rischio del patrimonio culturale”. Autrice di saggi, in particolare, sull’arte e l’architettura medievale, e sulla scultura dal Rinascimento al Barocco, ha partecipato a convegni su temi d’arte, sul recupero e la ridestinazione del patrimonio architettonico-urbanistico e ideato conferenze e dibattiti, organizzati con Legambiente e Italia Nostra, sulle criticità dei beni culturali “a statuto speciale”, di cui è profonda conoscitrice.

    Visualizza tutti gli articoli