Tra instabilità e progressiva urbanizzazione, l’Africa offre soluzioni globali
Il direttore regionale di UN-Habitat racconta le esperienze e le sfide dei progetti sviluppati in oltre 30 Paesi
Published 16 gennaio 2024 – © riproduzione riservata
Oltre 200 progetti sviluppati nella regione subsahariana dal 2014, in 33 diversi Paesi, per un valore totale di circa 200 milioni di euro. UN-Habitat è un attore importante nelle strategie urbane e architettoniche che ambiscono ad una trasformazione strutturale e ad un’urbanizzazione equilibrata. Oumar Sylla è il direttore dell’Ufficio regionale per l’Africa nel Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (UN-Habitat), sito a Nairobi, Kenya.
Il continente più urbanizzato del mondo
Il fenomeno più impattante nell’Africa contemporanea è senza dubbio il rapido trend di urbanizzazione. È un processo intenso, rafforzato dagli effetti del cambiamento climatico: recentemente abbiamo assistito a inondazioni e ad anomale condizioni meteorologiche in Mozambico e in Malawi. Ma anche molte parti dell’Africa occidentale sono state colpite negli ultimi mesi, oltre che dai conflitti che si allargano, da eventi climatici estremi. Di conseguenza, registriamo flussi molto forti di persone che si spostano dalle aree rurali a quelle urbane. Rivisitare i modelli progettuali delle nostre città (non solo quelle grandi, ma anche quelle secondarie) è un impegno che la cultura architettonica deve affrontare con urgenza, con l’ambizione di accogliere le persone raggiungendo un buon equilibrio che sappia garantire insediamenti sani, infrastrutture sostenibili, sviluppo economico equo. Per fare questo, dobbiamo dotarci di norme che sappiano indirizzare la costruzione e la protezione delle città. È un punto delicato, non possiamo ignorare il fatto che oggi più della metà della popolazione urbana africana vive in insediamenti informali, che risultano più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Sicuramente una pianificazione degli spazi deve tenere conto della specificità dei siti e delle attività insediate. Non possiamo applicare un approccio europeo della progettazione: in Africa la dimensione collettiva è più intensa e significativa. Le aspettative e le abitudini delle comunità sono fondamentali. Attraverso la regolamentazione e la governance dobbiamo controllare la crescita e l’espansione urbana, proteggendo contemporaneamente l’ambiente.
Senza pace non c’è sviluppo
Davanti a noi abbiamo due sfide, a livello globale. Non solo in Africa, in tutto il mondo. La prima riguarda il cambiamento climatico, la seconda guerre e conflitti. L’Africa ha purtroppo molti luoghi sollecitati sia dai conflitti che dai cambiamenti climatici. E questo produce intensi movimenti di popolazioni. Come puoi pensare di progettare quando vivi in rifugi precari? Però penso, in positivo, che dobbiamo concentrarci sulle opportunità che queste condizioni limite stanno offrendo: paradossalmente proprio le migrazioni possono stimolare un cambiamento nella giusta direzione. Ci sono infatti diverse opportunità per riflettere sui possibili modelli abitativi innovativi. Come UN-Habitat stiamo sviluppando esperienze importanti in Burkina Faso, in Somalia, in Mozambico, ricercando e diffondendo modelli di abitazioni resilienti. Con caratteristiche che si possono applicare anche ad edifici per scuole, ospedali, centri comunitari e a tutti quelle strutture capaci di rispondere ai bisogni delle comunità.
Modelli urbani e materiali da costruzione
Le nuove visioni per le città possono anche stimolare le persone a rinnovare i propri alloggi, inserendo sistemi solari così da raggiungere un adeguato livello di prestazione ecologica. Non possiamo costruire come abbiamo fatto in passato, non possiamo fare business as usual. Insieme all’obiettivo di progettare quartieri resilienti e meno inquinati, è molto importante anche sperimentare i materiali da costruzione, nella direzione dell’adattamento e della decarbonizzazione. Questo, in Africa più che altrove, significa concentrarsi profondamente sulla specificità dei contesti, in termini culturali, climatici, anche religiosi.
Ci sono soluzioni africane che possono essere esportate nel mondo: ad esempio le tecnologie del bambù, così utilizzate in Kenya o in Tanzania tra gli altri Paesi, che possono diventare un fattore anche nelle industrie delle costruzioni europee e occidentali. Il bambù può essere impiegato in diversi prodotti da costruzione, e come sappiamo è molto sostenibile. Ma il mondo può imparare approcci africani anche nei confronti dell’architettura vernacolare. Ci sono casi studio di successo in Marocco o in Mali, al di là dell’emergenza che vive ora il Paese. Possono insegnare a raggiungere un’ottima salvaguardia del patrimonio culturale anche in situazioni critiche, fondando la propria consistenza sugli elementi identitari. Si basano su una forte conoscenza delle tradizioni costruttive locali, soprattutto nella capacità degli edifici di adattarsi alle particolari condizioni climatiche.
Architetti e cooperazione
Per arrivare ad un buon livello di sostenibilità e resilienza delle città e degli edifici, il ruolo degli architetti è fondamentale. In Africa ci sono molti architetti stranieri che lavorano con e nelle istituzioni internazionali. Soprattutto nel settore urbano, la cooperazione è sempre una buona cosa, perché è l’occasione per condividere esperienze. Penso che l’architettura sia una scienza e che, come tale, sia uguale in tutto il mondo. Le città italiane, ad esempio, molto più antiche di quelle africane, sono riferimenti utili e stimolanti su diversi punti: come costruire, come pianificare, come gestire. Ma è fondamentale una personalizzazione delle pratiche, calandole nel contesto. È importante “africanizzare” i modelli e gli approcci. E questo passaggio a volte manca. UN-Habitat sostiene le attività di progettazione generando il dibattito tra le popolazioni e gli organismi internazionali.
(Testo raccolto da Michele Roda)
Immagine di copertina: Kigali, Ruanda (foto di Ilaria La Corte)
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Dal gennaio 2020 è direttore dell’Ufficio Regionale per l’Africa nel Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (UN-Habitat). In precedenza, è stato coordinatore del dipartimento di legislazione urbana, territorio e governance presso UN-Habitat e, dal settembre 2015, capo dell’unità Land and GLTN. In precedenza, ha lavorato come consulente senior presso l’Ufficio regionale e focal point per l’Africa per sostenere lo sviluppo delle politiche urbane e l’urbanizzazione sostenibile nei paesi francofoni. Dal 2009 al 2014 è stato consulente tecnico capo per il programma fondiario di UN-Habitat nella Repubblica Democratica del Congo e ha anche esperienza nell’Unione Europea, maturata come consulente per le politiche fondiarie in Sud Sudan e Burkina Faso (2006-2008). Dal 1999 al 2005 è stato ricercatore presso il Laboratorio di Antropologia Giuridica della Sorbona Parigi 1, occupandosi principalmente di politiche fondiarie e di decentramento in Africa occidentale. In Senegal ha operato come ricercatore junior nel quadro di cooperazione istituzionale ILRI/ISRA (1998-1999) occupandosi di territorio e risorse naturali