Rimettiamo i borghi nella giusta prospettiva
Uno sguardo lontano dagli stereotipi: dalle azioni precedenti all’attuale politica (distorcente) del PNRR, passando per i casi virtuosi
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Published 16 febbraio 2022 – © riproduzione riservata
La pandemia ha cambiato le nostre vite, ha alterato la nostra percezione nell’abitare i territori metropolitani. Così, durante il primo lockdown nel 2020, con la fuga dalle città per raggiungere le seconde case in montagna, al lago, al mare, gli italiani hanno riscoperto quelle aree marginali meglio note come “aree interne”. Complice lo smart working, territori un tempo relegati solo allo svago e alla siesta estiva hanno assunto una nuova dimensione.
Negli ultimi due anni abbiamo assistito alla nascita dal nulla di profeti e discepoli delle aree interne, solamente per un elementare, quanto ingenuo, processo di sottrazione: non posso più occupare le città, allora vado a occupare altri territori semi-vergini con le mie idee smart, senza conoscere quali fattori, per lo più negativi e di sistema, le caratterizzano. Ed ecco sorgere dibattiti totalmente privi di basi sociologiche e culturali in contrapposizione con altri utili ed esito di ricerche approfondite. Atteggiamenti che rappresentano bene un’Italia fatta d’improvvisazione e superficialità, dove ogni volta è una gara a chi si appropria della parola più mediatica, la parola del momento: aree interne.
La Strategia nazionale di Fabrizio Barca e Sabrina Lucatelli
Per la verità nessuno si era accorto di questa parte periferica del Paese, finché l’economista Fabrizio Barca, prestato alla politica nelle vesti di Ministro per la coesione territoriale del pessimo governo Monti, non aveva costituito insieme a Sabrina Lucatelli la Strategia nazionale aree interne (SNAI), con l’obiettivo d’investire nei territori per recuperarli sia in termini di servizi alle popolazioni, sia come opportunità di sviluppo.
La nascita dell’associazione culturale Riabitare l’Italia, un think tank transdisciplinare voluto fortemente da Barca e Lucatelli, con il sostegno dell’editore Carmine Donzelli, ha consentito di rimettere al centro del dibattito la politica territoriale. Fin dall’inizio, Riabitare l’Italia si è collocata come un laboratorio di ricerca, dapprima con il primo volume omonimo a cura di Antonio De Rossi che, coerentemente, teneva nel sottotitolo due temi: l’abbandono e le riconquiste; per proseguire nel 2021 con la ricerca “Giovani dentro”, coordinata dal sociologo Andrea Membretti, che analizza i bisogni di donne e uomini tra i 18 e i 29 anni che vivono nelle aree interne. Un’analisi utile per attivare politiche calibrate sui loro bisogni, con il “67% degli intervistati”, scrive Membretti, “orientato a rimanere nel comune delle aree interne in cui vive. In particolare, il 50% degli intervistati è orientato a restare pianificando lì la propria vita e il proprio lavoro (ciò è vero soprattutto per le donne, 52%) e circa il 15% è orientato a partire, anche se preferirebbe restare”.
Il caso di Ostana
Restare o, meglio, ritornare è il tema che De Rossi, acuto osservatore dei fenomeni dell’arco alpino, a partire dal 2006 ha posto al centro del suo impegno, insieme agli architetti Massimo Crotti e Marie-Pierre Forsans, per il recupero di Ostana (Cuneo), paese occitano dell’alta valle Po che nel tempo ha subito un forte spopolamento. Era dunque imprescindibile un’azione tangibile, non solo per il recupero architettonico degli edifici ma soprattutto per la preservazione della memoria culturale occitana. Così, grazie alla lungimiranza dello storico sindaco Giacomo Lombardo, inizia il recupero del capoluogo e delle borgate: un’operazione ininterrotta a partire dal 1985 fino a oggi. Il caso studio più significativo in Italia, dove architettura e politica hanno determinato il recupero edilizio e sociale di una serie di frazioni sparse, attraverso un progetto mirato a rivitalizzare un luogo. Grazie al lavoro sapiente dei progettisti si è manifestato il recupero delle singole porzioni del paese differenziandone le funzioni, riattivando sia la condizione demografica sia un’economia di sussistenza.
Alla fine la questione è sempre quella, ovvero la capacità politica di amministrare i territori rinunciando all’ego personale in funzione di un “ego” collettivo che consente a luoghi abbandonati di ritornare alla vita grazie al contributo di un’eccellente progettazione architettonica, della quale si sente il bisogno anche in contesti metropolitani.
Selucente alla Borgata Alpisella di Garessio
Indubbiamente, le aree interne non sono attrattive per gli architetti, anche se esistono realtà interessanti come lo studio Officina82 (fondato da Lara Sappa e Fabio Revetria) che operano nell’alta Val Tanaro, a Garessio (Cuneo), innovando attraverso una rilettura delle tipologie architettoniche vernacolari, trasformate in manufatti contemporanei. È accaduto recentemente con il recupero della borgata Alpisella di Garessio con il progetto Selucente. Qui, in quella che era la piccola chiesa della frazione, è stata ricavata l’accoglienza dei turisti, mentre nella restante parte dell’area sono state allestite la Glam Box, un modulo abitativo in legno e vetro che richiama la tipologia del capanno di caccia, a stretto contatto con la natura, e la Starbox, una micro-architettura immaginata come una sorta di tenda in legno, adattabile a diversi contesti orografici. Il progetto finale prevede ancora il recupero della stalla e del fienile, al fine di completare l’offerta ricettiva. Una dimensione, quella di Selucente, microscopica rispetto a Ostana, ma che dimostra quanto sia fattibile per i piccoli borghi italiani una possibilità di rinascita sociale ed economica, soprattutto ora che il Ministero della Cultura ha promosso il tanto criticato Bando borghi.
Il Bando borghi, basato su un presupposto sbagliato
Il bando parte infatti da un presupposto culturale errato: la percezione dell’Italia come una costellazione di borghi medievali. Non è così. La struttura dei piccoli comuni italiani, entro i 5.000 abitanti, non è costituita solo da borghi storici e di eccellenza. I “borghi” sono considerati quelli che hanno una struttura morfologica compatta. Tuttavia si denota da una parte una serie di comuni che hanno una ristretta porzione con un micro centro storico, a fronte di altri che, invece, sono totalmente costituiti da insediamenti abitativi medievali o di epoche successive, connessi a quartieri frutto di speculazioni selvagge.
Se leggiamo i dati delle aree interne capiamo molte cose. 35 milioni di abitanti vivono in aree più dotate di servizi, mentre 10 milioni ne soffrono la carenza e, infine, 16 milioni vivono in province molto deficitarie. Politiche sbagliate hanno favorito l’abbandono delle aree alpine e appenniniche, senza ricambio generazionale, senza una vera innovazione che passa dalla formazione di funzionari pubblici competenti soprattutto nei comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, senza risolvere i problemi legati alle infrastrutture di base (strade, ospedali di primo soccorso, scuole).
In questo contesto il PNRR, così come concepito per i borghi, sottopone i sindaci a serie difficoltà senza strumenti e risorse economiche necessarie a cofinanziare i progetti, come prevede proprio il bando. Insomma, se da una parte il governo inonda con milioni di euro i territori tramite bandi complessi e fuori dalla loro capacità amministrativa, dall’altra c’è un’indisponibilità dei comuni, tranne rare eccezioni a macchia di leopardo, a fare rete, condizione imprescindibile per recuperare tempo nel complicato processo di riqualificazione delle aree interne. Processo in cui l’architettura può avere un ruolo determinante.

Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra “Radical City” all’Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra “Sottsass Oltre il design” allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra “Paolo Soleri. From Torino to the desert”, per celebrare il centenario dell’architetto torinese, nell’ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l’opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro “Giancarlo De Carlo: l’architetto di Urbino”