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Ricostruzione in Emilia: la sofferenza delle chiese

Ricostruzione in Emilia: la sofferenza delle chiese

 

Bilancio dei danni e dello stato dei restauri

 

Tra i beni culturali, le chiese si sono mostrate particolarmente vulnerabili all’azione del sisma che ha avuto come epicentro Finale Emilia (Modena) nel maggio 2012. Complici successivi restauri e rifacimenti, talvolta più attenti ai rinnovamenti del gusto liturgico che alla congruità strutturale con le precedenti fasi costruttive, le chiese sbriciolate dal sisma hanno rivelato un panorama fragile di scenografie talvolta in pietrinfoglio realizzate sulla scorta delle disposizioni del Concilio di Trento (1545-1563) in mattoni malcotti, ben lungi dalle sezioni sovradimensionate basso medievali, o dalla sapienza geometrico-costruttiva del Rinascimento.

Delle oltre 500 chiese danneggiate, la gran parte appartiene ad edifici re-instaurati tra il XVII e il XIX secolo in un bacino territoriale che coinvolge 8 diocesi. Passato il terremoto, Bologna contava 184 chiese lesionate e 3 assolutamente inagibili, Ferrara-Comacchio 128 chiese danneggiate, Modena-Nonantola 110 edifici lesionati e 12 crollati con un danno stimato in 121 milioni, Reggio Emilia-Guastalla circa 80 chiese danneggiate e una trentina di edifici inagibili, infine la piccola diocesi di Carpi presentava il 93% delle strutture lesionate e solo 3 chiese aperte su 43. Inoltre, oltre i confini dell’Emilia-Romagna e del cratere del sisma, in Lombardia, Mantova denunciava una cinquantina di chiese chiuse e Cremona una decina, mentre in Veneto, l’antica diocesi di Adria-Rovigo soltanto tre.

Complice la geometria degli edifici di culto, con ampi volumi vuoti e fazzoletti di muratura liberi, l’immagine del terremoto è divenuta quella delle chiese che esso ha distrutto, come il duomo di Finale Emilia, la chiesa di Camposanto o quella di Medolla, di cui questo Giornale si è già occupato (n.115/2013). Le chiese in macerie sono state immediatamente riconosciute come l’icona più efficace alla comunicazione del dramma post-sisma: anche in tempo di secolarizzazione un’efficace sineddoche vede nel loro collasso la sofferenza di tutto un paese.

All’indomani del sisma, come testimonia l’ingegner Fabio Cristalli (Responsabile unico di procedimento per la diocesi di Bologna), la preoccupazione è stata quella di salvaguardare le opere d’arte, di valutare spazi alternativi per la liturgia e soprattutto di approntare la messa in sicurezza degli edifici lesionati, realizzata per la gran parte con ponteggi di puntellamento costosi e in alcuni casi ancora presenti come sculture a scala paesaggistica, qui ritratte nelle foto di Ettore Moni (collezione After Earthquake, © www.ettoremoni.com)

Nel Bolognese, laddove non si è potuto operare diversamente, si è provveduto con nuovi edifici provvisoriamente dedicati al culto e prossima eredità delle comunità locali (cfr. Il Giornale dell’Architettura, n. 107/2012). A Poggio Renatico, comune in provincia di Ferrara ma compreso nell’arcidiocesi felsinea, l’emergenza ha avuto il merito di recuperare all’abitare lo scheletro di una scuola mai terminata, oggi riconfigurata da NO-Gap progetti in aula liturgica multifunzionale. Nel dicembre 2012, poi, con l’ordinanza 83 la Regione sbloccava 15 milioni per garantire la continuità dell’esercizio del culto nelle chiese inagibili per danni più lievi, ai margini del cratere sismico.

Anche per gli edifici di culto, però, il decreto legge fondamentale è il 74/2012, poi legge 122/2012: lo stesso che riconosceva il ruolo di commissari delegati ai presidenti della Regione, fondava per le chiese e i beni degli enti religiosi ad uso pubblico l’equiparazione agli edifici pubblici tanto nella possibilità di accesso ai finanziamenti, quanto nell’ottemperanza alle medesime norme cogenti in materia di appalti. Se un anno c’è voluto per il censimento dei danni, il cui quadro definitivo si è ottenuto solo a metà 2013, altrettanto richiede l’approntamento dei cantieri così soggetti a tre diverse autorizzazioni: quella della Soprintendenza e, per parte della Regione, l’autorizzazione sismica e il visto di congruità di spesa. Se nel 2015 sono state relativamente poche le chiese riaperte, di molte si sono però avviate le pratiche, sicchè i cantieri arriveranno come un’onda e nel 2016 saranno numerose le comunità che potranno celebrare il Natale nelle loro sedi.

Nonostante la lentezza talvolta lamentata dai parrocchiani, l’emergenza ha avuto l’importante merito d’istituire collaborazioni tra gli uffici della Conferenza ecclesiastica Emiliano-Romagnola e la Soprintendenza regionale, con nuovi protocolli d’intesa per la condivisione dei dati a partire dalle nuove possibilità che si aprono con la loro georeferenziazione, già avviata per parte ecclesiastica con il «Censimento delle chiese delle diocesi italiane» e per parte del Segretariato regionale per l’Emilia-Romagna con il preziosissimoWebGIS del patrimonio culturale regionale. E così, finalmente, il consolidamento preteso dal sisma, dall’architettura si estende alle istituzioni.

 

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Per approfondire

 

Tutte le puntate dell’inchiesta (a cura di Matteo Agnoletto, Luigi Bartolomei e Paola Bianco)

Emilia, a che punto è la ricostruzione? (di Matteo Agnoletto, Luigi Bartolomei e Paola Bianco)

Ricostruzione in Emilia: i numeri e le procedure (di Paola Bianco)

“Spaesati a casa nostra”: glossario della ricostruzione in Emilia (di Sandra Losi)

Ricostruzione in Emilia: occasione persa di riassetto territoriale (di Paolo Campagnoli)

La ricostruzione in Emilia, un affare per le mafie (intervista di Paola Bianco a Federico Lacche)

Ricostruzione in Emilia: il ruolo della partecipazione (di Monia Guarino)

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Mauro Frate: così ricostruisco in Emilia i paesaggi del welfare (di Sabina Tattara)

Ricostruzione in Emilia: cultura teorica vs vita reale delle persone (di Valentina Baroncini)

Ricostruzione in Emilia: il contributo della didattica (di Giulia Nobili con Sofia Nannini)

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