Quando l’arte si prende cura dei luoghi
Alcuni esempi di progettualità artistiche, esperienze anticipatrici di un rinnovato rapporto con i territori
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Published 22 febbraio 2022 – © riproduzione riservata
Topolò (Udine) è un paese di circa venti abitanti sulle montagne al confine tra Italia e Slovenia. Alcuni giovani residenti sono i fondatori dell’associazione Robida e della rivista omonima, “selvaggia e discreta” come il rovo che dà loro nome. Vida Rucli, cofondatrice di Robida, dice che a Topolò “ogni gesto è un gesto di cura verso il paese”, proprio perché è spopolato.
Il piccolo abitato ha una storia d’iniziative culturali, perché qui nasce nel 1994 Stazione di Topolò, non-festival performativo, quando ancora l’attenzione non era puntata su geografie considerate a margine. Oggi la luce si accende spesso con la retorica del ritorno al borgo, ma le progettualità artistiche che da anni lavorano con i territori rigettano sia ogni idealizzazione sia il pessimismo dell’abbandono. Alcuni aspetti consentono d’identificarne le prospettive, in un affresco non uniforme di pratiche che rispondono alle diversità territoriali dell’Italia.
Residenze per artisti, progetti pionieri ma nomadi
Progetti pionieri nati dieci anni fa o poco più nei contesti non metropolitani hanno fondato spesso residenze per artisti. Sono stati precursori di un fenomeno: la diffusione negli ultimi anni di residenze per artisti in ambienti rurali e montani, ma non tutte hanno una compiuta vocazione territoriale. Una critica al proliferare delle residenze si è focalizzata sul fatto che incentivano una figura di artista nomade da un posto all’altro, vanificando l’attecchimento dei processi. Il dubbio arriva da artisti che hanno scelto di radicarsi, esercitando una forma di restanza nel vivere stabilmente o tornare con regolarità in luoghi che hanno subito un’erosione ma che custodiscono risorse spesso sopite o inascoltate. Risiedere nel tempo, un tempo non a termine, è una condizione avvertita come necessaria per generare alleanze affettive e critiche con il contesto e le cittadinanze, mettendo in campo un abitare pieno che si manifesta in un fare diretto a molti aspetti del quotidiano.
Sono un esempio le esperienze di Luigi Coppola con la Casa delle Agriculture a Castiglione d’Otranto (Lecce), del collettivo Giuseppefraugallery a Iglesias, dell’associazione Vincenzo De Luca con gli artisti Bianco-Valente e Pasquale Campanella a Latronico (Potenza), di Stefano Boccalini in Valle Camonica (Brescia), di Chiara Trivelli con Contenuto Rimosso a Lorenzago di Cadore (Belluno), di Liminaria in Campania, di GAP – Guilmi Art Project a Guilmi (Chieti), della già citata Robida a Topolò. Non tutti questi progetti propongono residenze per artisti; talvolta, la residenza è parte di una progettualità più ampia. Lavorare con il territorio comporta un’azione sistemica dell’abitare. Questi progetti la mettono in atto, in vario modo.
Progetti per una crescita di responsabilità collettiva
I concetti di interdipendenza e di coevoluzione sono chiavi di lettura di queste progettualità: richiamano il rapporto di reciprocità che ci deve essere tra progetto e contesto, di tensioni adattive e sviluppo correlato tra condizioni che non sono né fisse né predefinite. Questo porta a figurare il progetto (artistico) come sistema aperto in cui “a ogni stadio, avviene qualcosa che modifica il lavoro previsto” (Richard Sennet, Costruire e abitare, Feltrinelli, Milano 2020, p. 220). Conseguentemente, l’interdipendenza con un contesto specifico conduce il progetto ad accogliere risposte, reazioni, esiti non previsti e anche dissonanze.
Scrivo progettualità al posto di opera, perché indica la tessitura di un quadro di significati e di valori condivisi tra le persone che vivono il luogo, attraverso una produzione culturale. Nella valle alpina dove Boccalini lavora dal 2013, gli artigiani e le artigiane, la Comunità montana di Valle Camonica, il Comune di Monno e altre realtà locali vanno a costituire con l’artista una grana di scambi transdisciplinari e intergenerazionali di saperi e risorse, che ha portato nel 2021 all’apertura di CàMon – Centro di Comunità per l’Arte e l’Artigianato della Montagna. CàMon nasce da una visione condivisa, esito del dialogo dell’artista con la Comunità montana che nel 2011 ha lanciato il programma di arte pubblica “aperto_art on the border” (Boccalini vi ha realizzato il progetto “La ragione nelle mani”, tra i vincitori della VIII edizione dell’Italian Council, 2020).
Questo modo di operare mette in gioco un’idea di partecipazione che si allontana dal “chiamare le persone a fare qualcosa con l’artista”, ai limiti dell’intrattenimento. La progettualità dell’artista contribuisce a dare vita, piuttosto, alla prospettiva che definisce una “comunità di eredità”, sulla scorta della Convenzione di Faro. Il progetto è lo spazio connettivo e politico della crescita di una responsabilità collettiva nei confronti di luoghi, patrimoni, socialità.
Tanti luoghi mortificati da narrazioni marginalizzanti hanno bisogno di nuovi immaginari per ricuciture sottili, non estrattive. Richiede tempo, però, processi lunghi e spesso imprevedibili, non lineari o subito percepibili. C’è bisogno di fiducia e d’investimento a lungo termine nei processi o, ad ogni modo, nel “giusto” tempo che ogni correlazione progetto-contesto richiede.
Critica d’arte e curatrice. Dal 2010 al 2021 è stata direttrice dell’Accademia di belle arti Carrara a Bergamo. È docente di Storia dell’arte contemporanea, Storia dell’architettura e Critica d’arte presso la stessa accademia, di Arte pubblica al Master in economia e management dell’arte e della cultura (24Ore Business School). Ha pubblicato L’arte nello spazio urbano. L’esperienza italiana dal 1968 a oggi (Johan&Levi, 2015). Fa parte del gruppo di lavoro del progetto “Arte e spazio pubblico, a cura di DGCC-Direzione Generale Creatività Contemporaea (MiC) e Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali.