Ognuno ritroverà la città del proprio immaginario

Ognuno ritroverà la città del proprio immaginario

 

Ogni “dopo” della città epidemica è segnato dall’immaginazione, dote oggi assai poco diffusa. Ognuno immaginerà una città propria e diversa, costruita sulle memorie e sull’esperienza personali

 

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La grande letteratura si è spesso occupata delle epidemie, da quella del V secolo a.c. di Atene sino a quelle della contemporaneità. Ho perciò ripreso in mano Tucidide, Boccaccio, Manzoni, Defoe, Camus, solo per fare alcuni nomi, trascurando le numerose opere dedicate al colera e alle epidemie del periodo vittoriano. Ciò che mi ha colpito in queste narrazioni è che nessuna affronta il problema del dopo. Probabilmente perché l’epidemia e la paura inchiodano nel presente e non si riesce a immaginare con lucidità un dopo. È la storia che ci ha narrato il “dopo”. La peste – la morte nera – che decimò la popolazione europea nel Trecento ebbe come “dopo” il Rinascimento, reso anche possibile dall’alleggerimento demografico e dalla ripresa delle città. È in questo “dopo” che appare la città ideale, rappresentata nelle grandi tele di Urbino e Baltimora [immagine di copertina]. Per la prima volta la città è pensata e immaginata prima di essere costruita, diversamente da ciò che avveniva nel Medioevo, quando essa cresceva per inerzia senza regole o progetti.

Il “dopo” della peste che decimò nel Seicento Londra e dell’incendio del 1666 che la distrusse fu segnato dalla nascita della nuova capitale progettata da Christopher Wren il quale, non a caso, dedicò particolare attenzione al progetto del grande Chelsea Hospital. Il “dopo” del colera che nell’Ottocento colpì gran parte delle città europee fu segnato dalla medicina, dalla scienza e, per la prima volta, dall’idea della città sana. Nel 1857, il medico inglese Benjamin Richardson pubblica Hygeia: un libretto, diventato poi famoso, in cui illustra le caratteristiche della città sana. L’epidemia e le malattie, è la sua tesi, si combattono innanzitutto con una città diversa in cui tutto – dalle strade alle case – è realizzato secondo i principi dell’igiene. Alcune indicazioni sono ancora oggi valide. Lo stesso tema è ripreso circa un quarto di secolo dopo, nel 1874, da Jules Verne nel romanzo I 500 milioni della Begum. Qui si narra di un’enorme eredità lasciata a un tedesco e a un francese. Il primo destina i propri milioni alla costruzione di Stahlstadt, la città dell’acciaio fitta di fabbriche e ciminiere che ricorda la Coketown di Charles Dickens ma è in più animata dallo spirito guerriero tedesco (i segni dell’amara sconfitta francese di Sedan sono forti). L’erede francese, non a caso un medico, destina la propria parte di eredità alla costruzione, sulla costa statunitense del Pacifico, di Franceville: modello d’igiene, qualità della vita e buon governo. Per molti aspetti simile all’Hygeia di Richardson.

Ciò che lega tutti questi “dopo” è l’immaginazione. Dote preziosa ma oggi poco diffusa; tranne che nel mondo degli economisti, i quali sembrano sapere tutto sulle proiezioni del PIL, sui tempi di recupero del mercato del lavoro, ecc. Ovviamente, virus permettendo. Qualcuno, sensibile alle invocazioni dei giovani, prova a immaginare per il futuro città più sostenibili. Pochi, però, sembrano disposti a condividere questa previsione, vista la crisi dell’occupazione e la corsa alla ripresa delle industrie. Una nuova Coketown non la immaginano ma la prevedono. Pensare al nostro “dopo” riporta alla mente alcuni straordinari versi dei Four Quartets di Thomas Stearns Eliot: «We shall not cease from exploration / And the end of all our exploring / Will be to arrive where we started / And know the place for the first time».

Oggi, chiusi in casa, il nostro rapporto con la città è ridotto al minimo. C’è quindi da chiedersi che città troveremo quando potremo nuovamente uscire e ritornare a una quotidianità probabilmente mutilata. E se la riconosceremo. Eppure, proprio nel momento in cui la reclusione forzata ci ha privato della città, cominciamo a immaginarla e a pensare cosa troveremo quando potremo tornare in strada. Probabilmente, ognuno immaginerà una città propria e diversa, costruita sulle memorie e sull’esperienza personali. Ognuno ritroverà non la città fisica consegnataci dalle immagini – che probabilmente non cambierà -, bensì quella filtrata dal proprio immaginario. La propria città.

Usciremo, probabilmente con la mascherina, e lentamente, un po’ felici e un po’ spaventati, supereremo il limite dei duecento metri fissato dalle ordinanze. Non potremo più sentire il rumore dei passi come nelle settimane precedenti ma avvertiremo il brusio delle conversazioni. La prima emozione, probabilmente, l’avremo quando incontreremo persone che non vedevamo da mesi e potremo con loro scambiare parole e racconti come mai avevamo fatto prima. Poi sarà la volta dei negozi che prima frequentavamo e che vedremo riaperti. Ritrovarli sarà come cominciare a ricomporre una quotidianità frantumata dal virus. Poi, finalmente, rincontreremo la città. «Conosceremo quel luogo per la prima volta», scrive Eliot. Anche noi vedremo la nostra città per la prima volta. Saremo come turisti, nuovi flâneur, che arrivano per la prima volta in una città sognata e desiderata, guidati dall’immagine che ne hanno costruito. Nelle grandi mete, come New York o Parigi, a prenderci per mano e guidarci è l’immaginario costruito da romanzi, film e cronache. Ognuno perciò troverà e amerà la propria Parigi, su cui costruirà un proprio immaginario. Anche noi rivedremo la nostra città, la conosceremo per dirla con Eliot, attraverso un nostro immaginario fatto di ricordi e di esperienze di luoghi e di persone. Sarà la città del nostro personale “dopo”.

Autore

  • Giandomenico Amendola

    È stato professore ordinario di Sociologia urbana nella Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze, dopo avere occupato la stessa cattedra al Politecnico e all’Università di Bari. Ha insegnato e svolto ricerche in numerose università statunitensi tra cui, soprattutto, il Massachusetts Institute of Technology. Già presidente dell’Associazione italiana di sociologia, è autore di numerosi volumi, diversi dei quali tradotti, di cui i più recenti sui temi della città sono Le retoriche della città tra politica, marketing e diritti (2016) e Sguardi sulla città moderna. Narrazioni e rappresentazioni di urbanisti, sociologi, scrittori e artisti (2019)

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