© Laurian Ghinitoiu | Axel Springer Campus, Oma

Nuovi uffici in Germania: iconici e monumentali ma permeabili

Nuovi uffici in Germania: iconici e monumentali ma permeabili

Tre opere-manifesto suscitano una riflessione critica sulla funzione che assumeranno i luoghi di lavoro, in rapporto alla vita urbana e alla digitalizzazione

 

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Published 16 aprile 2021 – © riproduzione riservata

Se la Great Workroom creata negli anni Trenta da Frank Lloyd Wright per gli stabilimenti Johnson Wax a Racine, Wisconsin, è stata l’antesignana dei moderni spazi di lavoro, sono passati molti anni prima che l’architettura per uffici rinunciasse alla progettazione di oscuri “pensatoi” per proporre invece luoghi emozionali, in grado di rappresentare l’identità di un marchio, ma anche d’influenzare in modo positivo lo spirito degli occupanti.

Ambienti open space, spazi fluidi e facilità di comunicazione contraddistinguono le architetture più recenti nelle quali i progettisti hanno profuso ideali di benessere, socialità e trasparenza. Ma se le aree comunitarie sono la grande evoluzione della progettazione moderna, questi principi sono ancora validi nell’era della pandemia? E soprattutto saranno ancora necessari spazi lavorativi di grandi proporzioni, dopo la pervasiva diffusione del lavoro a distanza che il Covid ha imposto?

A detta di molti esperti, nel dopo pandemia gli uffici perderanno il loro ruolo di spazio dedicato al lavoro individuale, che potrà essere svolto a casa, per assumere quello di luogo della socializzazione e dell’incontro in occasioni specifiche, quali formazione, riunioni ed eventi sociali. L’ufficio del futuro sarà dunque un luogo ibrido, improntato alla flessibilità intesa come libera scelta di dove e quando lavorare, ma anche come capacità d’interpretazioni variabili degli spazi e della loro configurazione.

 

Axel Springer Campus Berlino, OMA (2020)

Ha dichiarato Rem Koolhaas a proposito del suo progetto: “Paradossalmente l’attuale pandemia e la contemporanea accelerazione digitale dimostrano la necessità di grandi spazi concepiti per l’interazione tra gli individui”. Tentativo di giustificare la presenza di un edificio che già rischia di apparire obsoleto o preveggenza sulle tendenze architettoniche del futuro? Qualunque sia la risposta, il nuovo campus della casa editrice Axel Springer a Berlino è nato tra le polemiche. Se da un lato le critiche si concentrano sulla qualità dell’architettura, considerata di livello inferiore ad altre opere dello studio olandese,  con particolare riferimento all’ambasciata d’Olanda realizzata da OMA sempre a Berlino, nel dibattito non viene risparmiata neppure la committenza, la Springer Verlag, editrice di giornali di grande tiratura e bassa qualità, primo fra tutti il quotidiano conservatore “Bild”.

A detta di molti il compito di OMA è stato proprio quello di “ripulire” l’immagine della compagnia e sottolinearne l’orientamento verso le più moderne forme di comunicazione. Situati nel quartiere popolare di Kreuzberg, i nuovi headquarters s’impongono all’attenzione per monumentalità e trasparenza. Il grande contenitore a pianta trapezoidale si presenta come un unico volume compatto, svuotato al suo interno per lasciare spazio a dieci piani terrazzati e tredici ponti di comunicazione affacciati su una grande cavea aperta. Pareti vetrate a tutt’altezza trasformano l’edificio in uno scrigno scintillante che dal suo interno offre suggestive e metaforiche vedute sulla vita della città, mentre dall’esterno permette una dettagliata visione delle attività interne. Chiaro riferimento all’esigenza di trasparenza dell’informazione, questo elemento si fa emblema del progetto insieme ad altri strumenti-simbolo: i ponti di rapida comunicazione fra i piani sono canali sempre attivi tra i lettori e gli addetti ai lavori, le piattaforme aperte delle varie postazioni rappresentano un invito all’interazione sociale. A tutto ciò fanno riscontro soluzioni spaziali diversificate, declinate dall’intimo al monumentale, mentre una terrazza in copertura con skybar rappresenta un’accattivante area d’interspazio comunicativo.

Progettato nell’era pre-Covid per ospitare 3.500 dipendenti e attrezzato con le più sofisticate tecnologie, il monumentale edificio domina lo skyline del quartiere e pone inquietanti interrogativi sul suo futuro, quale possibile vittima non solo della pandemia, ma anche della progressiva digitalizzazione del mondo dell’editoria dove il lavoro dei robot sta in molti casi già sostituendo quello dei redattori.

 

Suhrkamp Verlag, Berlino, Bundschuh Architekten e Studio Kinzo (2019)

Dotarsi di sedi di prestigio è da sempre prerogativa della grande editoria. Dal mitico grattacielo del Chicago Tribune al New York Times di Renzo Piano fino al recentissimo progetto di Snøhetta per il gruppo Le Monde a Parigi, ogni architettura diventa riscontro della qualità dei contenuti. Appare dunque obbligata la scelta di una sede iconica per Suhrkamp, storica casa editrice tedesca che, fondata a Francoforte nel 1945 e trasferitasi a Berlino subito dopo la Wende (la caduta del Muro), che conta tra i suoi autori le firme più prestigiose della letteratura moderna. Progettato dallo studio berlinese Bundschuh Architekten, il complesso occupa una posizione strategica in un contesto di forte valenza culturale, sul confine fra Prenzlauer Berg, il quartiere degli artisti della Berlino anni Venti e Mitte, cuore ritrovato della capitale. Prendendo ispirazione dall’architettura della vicina e bellissima Schaubuehne, famoso teatro d’avanguardia risalente ai primi anni del secolo scorso, il nuovo fabbricato rende omaggio stilistico al Modernismo, ma opera scelte di spazialità e ambientazione orientate al futuro.

L’edificio si articola in tre volumi di altezza variabile tra i sette e i due piani, disposti fra loro ad angolo retto. All’elevazione massima verso la Torstrasse, grande strada di collegamento, corrisponde la presenza di una facciata quasi continua in alluminio, interrotta da una serie di bucature vetrate. Sul lato sud i volumi si aprono e si proiettano verso la città attraverso una fitta griglia di finestre a tutt’altezza, mentre una serie di terrazze panoramiche favoriscono l’aggregazione e la socialità. A livello strada una galleria dedicata allo shopping e alla ristorazione si affaccia sulle aree verdi della vicina Rosa Luxemburg Platz, isola di quiete e di memoria, delimitata da alcune superstiti costruzioni Bauhaus. Portano freschezza e colore all’interno degli uffici open space migliaia di libri dal dorso variopinto, posizionati su scaffalature modulari che Studio Kinzo ha disegnato come un percorso continuo, lungo quasi cinque chilometri. Fissati a parete o a centro stanza, gli scaffali scandiscono gli spazi e li definiscono mentre si arrampicano ininterrotti lungo tutti i piani dell’edificio, in un arguto omaggio al mondo della letteratura.

 

IGZ Campus, Falkenberg, Baviera, Juergen Mayer (2020)

La ricerca instancabile di nuove forme di architettura sono i valori fondativi nelle opere di Juergen Mayer, nome noto ai più per il progetto del Metropol Parasol a Siviglia. Per la ditta di software e sistemi logistici IGZ di Falkenberg in Baviera, l’architetto berlinese ha realizzato un nuovo complesso di uffici. Situato accanto a preesistenti strutture della compagnia, esso è parte di un masterplan che, affidato al medesimo progettista, trasformerà il territorio designato in una vera a propria cittadella dell’alta tecnologia. Partita come piccola realtà locale, la ditta sta infatti vivendo un rapido sviluppo con clienti in tutta Europa, grazie al boom del lavoro digitale provocato dalla pandemia. La posizione del nuovo edificio alla sommità di una collina ne rivela il ruolo iconico richiesto dal committente. A tale desiderata, Mayer ha risposto con un’architettura fortemente caratterizzante per forma e dimensione, che coniuga l’alta tecnologia con la massima sostenibilità. Una scelta obbligata considerando il particolare contesto, un paesaggio a vocazione rurale nel quale l’ambiente è valore prioritario.

Mayer ha qui dunque intrapreso una coraggiosa operazione di green architecture con gli strumenti dell’edilizia corrente, il cemento e l’acciaio, e li ha combinati con il legno proveniente dai boschi della zona e la pietra naturale delle cave della regione. Simile allo scheletro di un dinosauro adagiato sulla collina, la monumentale struttura lascia a vista tutti gli elementi che la compongono: il parallelepipedo di vetro trasparente lungo 120 metri che contiene gli uffici poggia su un nucleo strutturale di cemento grezzo ed è racchiuso in un graticcio ligneo autoportante fatto di montanti, travi e puntelli. “Un sistema straordinariamente sofisticato ed ecologico”, afferma Mayer, che per realizzarlo si è ispirato allo stile Fachwerk degli edifici storici della regione.

Anche il design degli interni è originale ed ecosostenibile. Pannelli di vetro trasparente fungono da divisori, i pavimenti sono di travertino a km zero e gli elementi fissi sono realizzati in legno non trattato. Negli uffici a pianta aperta sedie e scrivanie su ruote permettono di ridefinire facilmente lo spazio, mentre stoffe e rivestimenti innovativi garantiscono proprietà antibatteriche.
Dotato di riscaldamento geotermico e di pannelli solari sul tetto, l’edificio è anche simbolo del rilancio del localismo a fronte della grande città. Al rapido successo della ditta è infatti corrisposto un incremento dei posti di lavoro in una zona fino a ieri votata all’agricoltura. Grazie alla presenza della IGZ invece, Falkenberg è oggi un vivace centro urbano e rappresenta un riuscito esempio di quella mixitè plurifunzionale promossa da tempo dagli ambientalisti e ora, nei tempi bui della pandemia, più che mai attuale.

 

* L’inchiesta “Workplaces XXI Century” è realizzata con il supporto di Open Project

Autore

  • Monica Zerboni

    Nata a Torino e laureata presso l’Università Statale di Milano, è giornalista pubblicista, svolge attività giornalistica per testate multimediali e cartacee di settore. È stata corrispondente dalla Germania per le riviste “Abitare” e “Costruire”. Ha maturato esperienze professionali nell'ambito della comunicazione ed in particolare ha lavorato come addetta stampa presso importanti studi di architettura. Ha svolto attività di redazione, traduzione e coordinamento per varie case editrici. Scrive articoli e approfondimenti in italiano, inglese e tedesco per diverse testate specializzate e non, italiane e estere (Abitare, Costruire, Il Sole 24 Ore, In Town Magazine, Frame, Mark, Architektur&Wohnen, HOME, Home Journal, Perspective, Azure, Interiors, Urbis, Urbis Landscape, Vogue Australia ecc.)

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