Notre-Dame a tre mesi dall’incendio: la Francia allo specchio

Notre-Dame a tre mesi dall’incendio: la Francia allo specchio

Questioni aperte e riflessioni provvisorie: il ruolo della politica, i rischi e le opportunità di un intervento trasformativo, la necessità e i limiti della ricostruzione fedele

 

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I tre mesi che ci separano ormai dall’incendio che, la notte del 15 aprile 2019, ha gravemente danneggiato la cattedrale di Notre-Dame consentono una disamina più lucida della vicenda. Spostando l’attenzione dalla drammaticità dell’evento in sé, e dalla sua spettacolarizzazione, emerge anche il suo carattere di passaggio (traumatico e forse evitabile) ad un nuovo capitolo della storia della cattedrale. Al di là dell’ingente ferita all’eredità materiale, e simbolica, causata dalle fiamme, l’evento può (e deve) diventare un’occasione di confronto collettivo, in cui ridiscutere il rapporto tra la società civile e il patrimonio culturale, il suo uso da parte della classe politica, riflettendo sul potere esercitato dal progetto di architettura, che si manifesta già dal momento in cui è preannunciato, e dalle sue possibilità trasformative. Del dibattito fitto e stratificato che ha costruito e poi animato il pubblico plurale di Notre-Dame, sono emersi, con il passare delle settimane, quei nodi critici, tuttora insoluti, attorno cui la discussione si è cristallizzata: le promesse della politica, i rischi e le opportunità di un intervento trasformativo, la necessità e i limiti della ricostruzione fedele.

 

Le promesse della politica

La dichiarazione del presidente della Repubblica Emmanuel Macron, all’indomani dell’incendio, di ricostruire la cattedrale «plus belle encore» in soli cinque anni, in vista anche dei Giochi Olimpici che Parigi ospiterà nel 2024, ha aperto un acceso dibattito sui modi e sui tempi della riabilitazione di questo monumento emblematico, per la cui ricostruzione è stato redatto un disegno di legge ad hoc.

In prima battuta è emersa la preoccupazione, manifestata anche da parte della classe politica, che un calendario così serrato potesse compromettere la qualità degli interventi, in un tentativo pericoloso di adattare i tempi lunghi delle cattedrali a quelli della politica. Qualche giorno dopo l’incendio, il 29 aprile, in una lettera aperta pubblicata sul quotidiano «Le Figaro», 1170 tra architetti e studiosi internazionali hanno infatti invitato il Capo di Stato alla prudenza, sottolineando il pericolo di una legge redatta in stato di emergenza e auspicando un dialogo con gli esperti affinché fossero svolte analisi preliminari accurate.

Il 16 luglio, a tre mesi dall’incendio, e dopo un iter piuttosto travagliato, il disegno di legge per la ricostruzione della cattedrale è stato approvato definitivamente dal Parlamento. Tra i suoi provvedimenti principali, oltre alla deduzione fiscale del 75%, nel limite dei 1.000 euro per i donatori privati, un punto particolarmente controverso riguarda la possibilità di derogare ad alcune norme di diritto comunerègles en matière d’urbanisme, d’environnement, de construction et de préservation du patrimoine (…), aux règles en matière de commande publique», si legge all’articolo 9) per accelerare i lavori di restauro. Contestualmente all’emanazione di un disegno di legge che, in parte, favorisce il controllo del cantiere da parte dell’Eliseo, è piuttosto significativa anche la nomina del generale Jean-Louis Georgelin per la supervisione dei lavori, ex capo di stato maggiore delle forze armate. Se, da un lato, questa immediata e risoluta assunzione di responsabilità da parte dei rappresentanti politici può essere considerata come il segno positivo di un interesse dello Stato al patrimonio culturale nazionale, dall’altro può essere letta come un’interferenza potenzialmente negativa con i lavori di recupero, anche a causa delle circostanze di emergenza da cui scaturisce. Inoltre, l’apertura a forme seppur minime di deregolamentazione rischia di costituire un precedente pericoloso.

 

Quale tipo di ricostruzione?

Un’ulteriore questione particolarmente delicata e dibattuta riguarda le modalità con cui intervenire sull’edificio che, una volta cessate le fiamme, ha da subito visto il contrapporsi di due posizioni antitetiche: da un lato la necessità riportare la cattedrale allo stato di fatto antecedente il rogo, dall’altro la volontà di riprogettarne alcune parti, con un’ambizione addirittura migliorativa. Il primo ministro francese Édouard Philippe, a pochi giorni dall’incendio, aveva annunciato, infatti, la possibile indizione di un concorso internazionale di progettazione per la ricostruzione della flèche ottocentesca disegnata da Viollet-le-Duc e della copertura, andate distrutte.

La possibilità di un intervento trasformativo ha innescato una discussione pubblica su scala globale che ha coinvolto rappresentanti delle istituzioni, privati cittadini e professionisti, i quali hanno auto-promosso competizioni informali, in luogo di quello ufficiale mai bandito. Accanto a proposte creative più o meno chiaramente provocatorie (come la piscina sulla copertura dello studio svedese UMA, la serra dello studio parigino NAB o la copertura-base di lancio dei missili ironicamente proposta dall’artista cileno Sebastian Errazuriz) non sono mancate le dichiarazioni più ponderate (e interessate?) degli architetti che, come Dominique Perrault, vedono nel recupero di Notre-Dame un’occasione preziosa per guardare al futuro della città, intervenendo su un’area cittadina strategica per il suo sviluppo (per cui peraltro Perrault, nel 2016, aveva elaborato un piano di sviluppo su incarico del precedente presidente della Repubblica François Hollande).

Il 4 giugno, l’attuale architecte en chef di Notre-Dame, Philippe Villeneuve, intervistato da «Le Figaro», ha messo in luce, invece, l’esigenza di ricostruire à l’identique la flèche, appellandosi alla Carta di Venezia del 1964, che subordina le operazioni di restauro dei monumenti storici all’obiettivo del ripristino dell’ultimo stato di fatto conosciuto. La questione ha visto schierarsi anche i non addetti ai lavori, che secondo un sondaggio YouGov realizzato tra il 26 e il 29 aprile su un campione di 1.010 francesi, ha restituito una situazione inequivocabile: il 54% degli intervistati è a favore di una ricostruzione à l’identique, contro un 25% che sostiene un geste architectural contemporain e un 21% che non esprime un’opinione.

Tuttavia, la ricostruzione dello stato di fatto antecedente all’incendio, nel rispetto di un simbolo dell’immaginario collettivo che ha visto alterati i suoi aspetti iconici, e la rinuncia ad un concorso internazionale (e ad una potenzialmente straordinaria mobilitazione di competenze e risorse), potrebbero costituire un’occasione mancata, in primis per l’Île de la Cité e per Parigi. La discussione sui modi del restauro rimane quindi tuttora aperta, lacerata tra la restituzione di un’autenticità consegnataci dal passato, che in un certo senso sembra appartenere ad una costruzione collettiva più che alla collettività stessa, e il progetto di una nuova cattedrale, un tassello che si aggiunge ad una storia stratificata, con i suoi eventuali pericoli, tra cui l’appropriazione di un simbolo da parte dell’architetto che potrebbe firmare il progetto.

Intanto, è recente la notizia di una, seppur timida, proposta progettuale ancora in attesa di approvazione definitiva. L’architetto giapponese Shigeru Ban ha firmato infatti il progetto di una struttura temporanea da costruire accanto alla cattedrale, in materiali riciclati e facilmente smontabile, per accogliere turisti, fedeli e cerimonie religiose durante lo svolgimento dei lavori: una lunga navata coperta, con tanto di piattaforma sospesa per l’osservazione del cantiere.

Mentre sono in corso i lavori di messa in sicurezza della cattedrale, procede anche la raccolta fondi necessari a finanziare il restauro. Alla questione è stata dedicata grande attenzione mediatica: si pensi allo scalpore suscitato dai 100 milioni promessi da François-Henri Pinault, in parte già versati. La prima parte dei lavori è costata 4 milioni, provenienti dall’associazione Friends of Notre-Dame che aveva raccolto, già prima dell’incendio, 3,8 milioni. A fronte delle donazioni annunciate, sono finora stati effettivamente versati, nelle casse delle quattro fondazioni incaricate della raccolta fondi, solo 38 degli 850 milioni promessi, ha dichiarato l’arcivescovo di Parigi Michel Aupetit, che il 15 giugno, alla presenza di una trentina di persone, con le teste protette da caschi bianchi, ha celebrato la prima messa dopo l’incendio. Una prima riappropriazione, perlomeno simbolica, della “nuova” cattedrale.

 

Immagine di copertina: interno della cattedrale dopo l’incendio del 15 aprile (© AMAURY BLIN/AFP/Getty Images)

 

Autore

  • Francesca Favaro

    Laureata in architettura, è dottoranda presso il Politecnico di Torino in "Architettura. Storia e Progetto", dove studia l'architettura e la professione di architetto nel Settecento. È interessata ai temi connessi alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio architettonico e artistico

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