Tecnologie digitali e abitare: notizie da nessun luogo
La pandemia ha accelerato bruscamente la diffusione e lo sviluppo di device tecnologici nella quotidianità. Spetta alla progettazione ristabilire gli equilibri tra vita reale e vita virtuale
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Published 30 marzo 2021 – © riproduzione riservata
La pandemia ha determinato una brusca accelerazione nella diffusione e sviluppo delle tecnologie digitali nei differenti scenari in cui si sviluppa il processo abitativo. I device tecnologici sono oggi strumenti di lavoro, scena dei rapporti sociali, strumenti di svago attivo (giochi) e passivo (film e fiction), strumenti formativi e informativi, terminali del commercio, sistemi di fornitura di servizi, palestre virtuali e quanto la creatività open source e quella a pagamento continuerà a proporci. La piazza virtuale è sempre più contenitore di rapporti ma allo stesso tempo di mondi immaginari che alimentano, ma anche passivizzano, la nostra fantasia. Lì dove abbiamo cercato di proteggerci dall’esterno, di rifugiarci dai pericoli al di fuori dell’abitare, le tecnologie hanno consentito all’esterno di penetrare nell’interno domestico e renderlo immediatamente pubblico senza che potessimo avviare forme di protezione della nostra privacy. Reale e virtuale si sono alternati in una scena quotidiana nella quale ci siamo trovati ad essere allo stesso tempo qui e altrove.
Tutti questi processi hanno coinvolto lo spazio abitativo dilatandone i tempi d’uso, introducendo attività che prima erano svolte in gran parte altrove e innescando, tra i membri di una famiglia o tra gruppi conviventi, forme di competizione per l’uso dello spazio o delle dotazioni in uso comune.
La facilità e l’immediatezza con le quali ci siamo abituati a traslare dal tavolo della colazione alla classe o all’ufficio virtuale ci è sembrata in un primo momento il miglior contributo che le tecnologie potessero dare al nostro quotidiano. Nel procedere si è però palesato il lato opposto della medaglia: quello di una crescente dipendenza dal virtuale che già presenta il suo conto nel moltiplicarsi di patologie legate all’abuso di internet. Oggi ci sono sempre più evidenze sulle conseguenze che uno sviluppo squilibrato basato sulle tecnologie produrrà sul nostro cervello e sul nostro intero sistema ormonale.
Una tendenza esasperata all’uso e abuso delle tecnologie era stata d’altronde sufficientemente anticipata dall’immaginario distopico del Novecento. L’onnipresenza della tecnologia che si concretizza nella corrente del Cyberpunk e soprattutto nel romanzo Neuromante, prima opera nota di William Gibson, disegna scenari in cui il cyberspazio sostituisce progressivamente lo spazio reale. Pervasiva e invasiva, la tecnologia tende infatti ad avvicendarsi al reale lavorando sulle nostre necessità e debolezze.
La riscoperta dei rituali
Se da un lato la tecnologia ha assunto una dimensione egemonica, dall’altro essa ha certamente determinato positivi vantaggi riconducibili alla dimensione dell’abitare. Il sistema delle connessioni, ad esempio ha, in una prima fase, favorito un dilatarsi dei tempi personali dovuto alla scomparsa del “tempo di mezzo”; i tempi degli spostamenti, i tempi dell’attesa, i tempi dell’imprevisto hanno lasciato il campo a un tempo recuperato che è stato tempo del piacere singolo o condiviso dello stare in casa.
La riscoperta di una dimensione percettiva dell’abitare (che è uno dei punti cardine dello Spatial Design), probabilmente favorita dalla “passività” sviluppata nello spazio virtuale, ha guidato una progressiva riconquista dello spazio domestico. Uno dei primi elementi che emerge dalle analisi sui comportamenti durante il lockdown è la riscoperta dei micro-rituali. Come evidenziato dalle scienze sociali, il rito ha la capacità di venire in soccorso dell’individuo nei momenti conflittuali che ne minacciano l’integrità fisica o psicologica. I micro-rituali quotidiani (dai riti del cibo, alla cura del verde, al fai da te) sono pratiche consolidate nelle quali la processualità dei gesti scandisce il tempo dell’abitare determinando le connessioni tra spazi e oggetti e restituendoci un rapporto esperienziale fisico e creativo.
L’abitare che verrà
Se la vita di tutti noi è oggi cadenzata dal perpetuarsi di micro-rituali che scandiscono l’abitare e da tecnologie che egemonizzano il tempo rimanente, compito del progettista è quello di lavorare sugli equilibri. La pandemia ha sviluppato una nuova cultura dell’abitare in chiave digitale che deve ancora definire i termini del confronto tra spazio fisico e spazio virtuale. Se il progetto è visione in quanto capacità di prefigurare i cambiamenti, sta alle discipline progettuali il compito di ricostruire il sistema di relazioni fra spazi, oggetti e tecnologie. Rendere invisibili le tecnologie – essere consapevoli che possono essere incorporate nell’ambiente e sempre a disposizione – potrebbe aiutare a rafforzare i rituali giornalieri, aumentando il tempo e l’intensità che lo schermo ruba di continuo.
Leggere un libro, cucinare, fare un bagno, riconnettersi con la natura, con gli oggetti e con gli spazi dell’abitare si può ottenere eliminando dal campo visivo la presenza tecnologica. Un abitare nel quale la dimensione virtuale si alterna e si compenetra con quella reale dove i recuperati rituali, alimentati da nuovi oggetti, giocheranno un ruolo strategico.
Un abitare, quindi, che si muoverà nel delicato equilibrio tra le ore trascorse in virtuale e le ore che possiamo dedicare alla vita reale. Nella terra ideale di Utopia gli utopiani lavoravano sei ore al giorno e nel resto della giornata si dedicavano ad attività culturali. I classici, la musica, l’astronomia e la geometria erano il fulcro della loro attività ricreativa e costituivano le basi di una civiltà avanzata, serena e ben governata. Gli abitanti della Città del Sole di Tommaso Campanella lavoravano quattro ore al giorno, nelle quali riuscivano a far coincidere lavoro intellettuale e pratico. Il resto del tempo era dedicato ad attività finalizzate all’apprendere. Lo stato di calma prefigurato dalle utopie è lo stato ideale in cui proiettiamo le nostre aspettative di futuro. Come il William Guest del romanzo di William Morris (Notizie da nessun luogo) vorremmo risvegliarci in una società futura che vive nel piacere della natura, nella bellezza e nel proprio lavoro.
Ricercatore presso il Dipartimento DIDA dell’Università degli Studi di Firenze e professore di Interior Design e Product Design. È direttore del Laboratorio Design degli Spazi di Relazione e Coordinatore Didattico del Master in Interior Design. Ha pubblicato saggi, volumi e articoli sui temi di ricerca legati al rapporto tra oggetti e spazi. Visiting professor presso università internazionali (NUAA University/Nanjing (China), Alzhara University/Teheran (Iran), ha partecipato a convegni nazionali e internazionali e coordinato workshop progettuali in Italia e all’estero. È co-direttore della collana editoriale Design Innovazione Territorio, Editore Franco Angeli, per il quale ha pubblicato, con Francesco Armato, L’abitare sospeso. Come cambierà il nostro rapporto con gli spazi (2020). È ambasciatore per il design italiano nel mondo su nomina del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.