Filippo Taidelli Architetto, campus Humanitas University

Milano torna a scuola

Milano torna a scuola

 

Il rinnovamento dell’architettura destinata alla formazione di livello universitario rappresenta uno degli scenari più promettenti

 

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Nella Milano che cambia, l’aggiornamento e il rinnovamento dell’architettura destinata alla formazione di livello universitario rappresenta uno degli scenari più promettenti. Le università, i campus – in tutto il mondo – tendono a rispettare due tradizioni: la prima è legata all’essere universi in movimento, mai finiti, sempre costretti a crescere o comunque ad aggiornarsi e a cambiare; la seconda riguarda l’utilizzo di architettura di qualità e di taglio sperimentale.Così è stato in passato a Milano (cfr. box al fondo) e così continua a essere, con i lavori in corso o appena terminati. Nel campus storico del Politecnico è in cantiere il progetto ispirato da Renzo Piano e disegnato dallo studio milanese di Ottavio Di Blasi: i 4.200 mq ospiteranno un laboratorio di modellistica architettonica, tecnologie digitali e di progettazione, aule per la didattica e aree per lo studio. Mentre buona parte dei laboratori sono ancora in costruzione, alcune aule sono già in funzione e lo spazio davanti al Trifoglio, opera magistrale di Gio Ponti, mostra già un assetto quasi definitivo, col nuovo lastricato, le alberature, le nuove connessioni visive e fisiche tra i vecchi e i nuovi edifici del campus di via Bonardi.

L’altro intervento, ormai praticamente concluso, che innova in modo rilevante la scena milanese, è l’addizione dell’Università Bocconi a opera dello studio Sanaa, guidato da Kazuyo Sejima (che è anche docente ordinaria del Politecnico) e Ryue Nishizawa. Tre grandi volumi liberi ospitano uno studentato, gli uffici della School of Management e spazi collettivi, per una superficie totale di ben 84.000 mq. La Bocconi di taglio giapponese è una discontinuità forte, rispetto ai precedenti edifici delle Grafton, di Ignazio Gardella e di Giuseppe Pagano; l’idea di un inserimento forte ma anche contestuale, praticata con successo dalle architette irlandesi nell’edificio di viale Bligny, lascia il passo a un’autonomia della forma che punta tutto sulla leggerezza e sull’unità materica e formale dell’intervento. I volumi cilindrici sono interamente rivestiti da una pelle in lamiera stirata che conferisce al nuovo campus uno status extraterritoriale, stabilendo nuove coordinate spaziali, materiche e cromatiche.

Appena fuori città – ma ben dentro l’area metropolitana – lo Human Technopole sta sorgendo sulle ceneri di Expo 2015, e potrebbe essere l’intervento più significativo del decennio, virtualmente capace di spostare definitivamente il baricentro della Milano degli studi. Un po’ come accadde con l’EUR a Roma, dopo la seconda guerra mondiale, il tecnopolo potrebbe oggi essere una versione aumentata di Milano, ben connessa al centro ma anche separata e proiettata in una dimensione futuribile. Il concorso internazionale per la sede è stato vinto, nell’aprile 2020, dallo studio Piuarch, con una proposta che punta tutto sulla seduzione della leggerezza, della trasparenza e di tantissimo verde piazzato ovunque, ma che sugli aspetti architettonici appare ancora a uno stadio decisamente preliminare. Dichiarano i progettisti che il nuovo edificio «Avrà una superficie complessiva di 35.000 mq, sarà alto, nel suo punto più elevato, 61 metri, e vi troveranno posto laboratori di biochimica e biologia molecolare, strumentazioni scientifiche d’avanguardia tra cui microscopi ottici, spazio per un ampliamento della facility di microscopia crio-elettronica e fino a 800 postazioni di lavoro per ricercatori». Quello che si può immaginare, per ora, è che insieme al riconvertito Palazzo Italia e agli edifici limitrofi, costituirà il punto di partenza per l’attuazione del masterplan per l’intera area Expo, disegnato da Carlo Ratti Associati, dove dovrebbe sorgere anche il nuovo campus dell’Università statale. Il progetto, ancora in divenire, sarà collocato nel Milan Innovation District, nella parte orientale di Expo, e dovrebbe prevedere, «Spazi per la ricerca e la didattica, ambienti di studio e ricerca attrattivi e competitivi e di un’ampiezza adeguata alla realizzazione di tutti i servizi di supporto necessari, come alloggi, e spazi per la socialità, lo sport e il volontariato».

Su scala minore, anche altri atenei stanno rinnovando i propri spazi: l’Università Cattolica ha affidato allo studio Beretta Associati la realizzazione di un edificio con sette nuove aule tra le vie Lanzone e San Pio V. A Pieve Emanuele, si è materializzato nel 2017 il nuovo Humanitas University Campus, disegnato da Filippo Taidelli secondo criteri sobriamente high tech. In pieno centro, in zona Garibaldi, Fabbricanove ha costruito nel 2018 un nuovo Innovation Hub per l’Università Luiss, mentre nello stesso anno si è inaugurato il nuovo campus della St. Louis School in via Colonna, con un intervento firmato da Tetris Design and Build.

Le due scuole – che dovrebbero essere presto costruite da Modus Architects nel sito di Scialoja e da MiR-architettura in via Pizzigoni – saranno una verifica importante su un campo dove le risorse sono inferiori, rispetto a quello universitario, e le esigenze anche più stringenti e urgenti a fronte di un patrimonio edilizio che, a Milano come nel resto del paese, ha urgente bisogno di riconoscersi in ragioni architettoniche profondamente rinnovate.

Milano, città degli studi: tra passato e futuro

L’architettura degli spazi dell’educazione è stata sempre un interessante banco di prova. Già l’affresco della “Scuola di Atene” di Raffaello (1510 circa) proponeva la doppia esigenza di ordine e di libertà: una duplicità che sembra radicata nel codice genetico dei progetti per lo studio, l’educazione e la formazione. Nelle stanze raffaellesche si trovano equilibrio, tranquillità, una solennità moderata e lo scorrere di un sapere che, apparentemente, ha come unica dimora le menti dei sapienti e non ha bisogno di null’altro che di un luogo degno per radunare i maestri del pensiero.

Oggi, a Milano, queste stesse esigenze s’integrano con altre dinamiche che mettono in relazione lo sviluppo degli atenei cittadini con le prospettive urbanistiche dell’area metropolitana, la sua vocazione internazionale, una cultura architettonica disponibile e orientata all’innovazione. La formazione rappresenta un settore di primaria importanza, economica e culturale, come evidenziato, da Alessandro Balducci, Francesca Cognetti e Valeria Fedeli nella ricerca Milano, la città degli studi (2010), che tratteggia una città universitaria di rilevanza mondiale per qualità e quantità dei suoi istituti. Da allora il tema ha acquisito un’attualità ancora maggiore: il settore universitario è un attore sempre più presente nello scenario immobiliare, come dimostrano il trasferimento dell’Università statale nelle aree Expo, lo sbarco delle università cinesi (come Tsinghua a Bovisa), i progetti per l’area della cosiddetta goccia, sempre in Bovisa.

Parallelamente si è rafforzata una cultura specifica sul tema. Nell’ambito della XXI Triennale (2016) il Politecnico ha promosso “Campus & Controcampus”, 3 mostre (con altrettanti cataloghi): Universitas / Architecture Schools in the World (a cura di Marco Biraghi e Simona Pierini) con esempi storici delle scuole di architettura; Ultra / Beyond Città Studi. Projects for Politecnico di Milano (Gennaro Postiglione e Alessandro Rocca) con i progetti in corso nell’ateneo milanese; Buildings for studying in Milan (Roberto Dulio), con le vicende dei luoghi delle università, dalle sedi storiche della Statale e della Cattolica fino alla rinnovata Bicocca.

La storia milanese dell’architettura universitaria è costellata di successi, di progetti coraggiosi, di ardite sovrapposizioni tra il lavoro di architetti come Giovanni Muzio, Gio Ponti, Ignazio Gardella e Vittorio Gregotti, e l’intervento di studi internazionali (come, recentemente, Grafton e Sanaa) che hanno portato visioni radicalmente diverse in grado di dialogare con il contesto accademico e spaziale consolidato. Su questo sfondo specifico l’interrogativo ricorrente riguarda la discesa in campo di molti attori che occupano frazioni consistenti di un mercato internazionale sempre più destinato a percorrere le strade di una globalizzazione pervasiva. Per contro, l’emergenza pandemica ha frenato la mobilità di studenti e docenti, riducendo la presenza straniera. Ma la risposta operativa messa in campo dagli atenei ha anche aperto un campo di nuove possibilità legate alla didattica a distanza: soluzioni e tecnologie che, necessarie oggi, serviranno ad intraprendere modalità formative rinnovate, con integrazione tra azioni in presenza e in remoto.

Un simile quadro pone dunque la questione rispetto a quali spazi immaginare per la didattica di domani. Le forti sollecitazioni della digitalizzazione hanno portato a ripensare le aule da disegno e i laboratori per modelli, ma non ci avevano ancora portato a ragionare sulla possibilità che i canali di comunicazione digitale potessero essere usati in modo ampio, sistematico e istituzionale. La sfida di oggi chiede di attrezzarci sul fronte delle risposte immediate – per scongiurare la riduzione o addirittura il blocco delle attività – così come su quello delle azioni di più lunga portata, orientate a riconsiderare gli spazi per la didattica, lo studio e la socialità nei campus delle nostre università.

Autore

  • Alessandro Rocca

    Architetto, è professore ordinario di Progettazione al Politecnico di Milano dove dirige il Programma di Dottorato AUID. Collabora con università italiane e internazionali sui temi del progetto e del paesaggio, anche attraverso l’organizzazione di master e seminari, ambiti nei quali ha pubblicato numerosi libri e saggi, oltre a numerose pubblicazioni su riviste di settore

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