Fondazione Prada (© Arianna Panarella)

Milano continui a coltivare l’ossessione per il nuovo e il cambiamento, ma senza lasciare indietro nessuno

Milano continui a coltivare l’ossessione per il nuovo e il cambiamento, ma senza lasciare indietro nessuno

 

Nella foga del demolire e ricostruire, la città più europea d’Italia sembra non aver ancora piena consapevolezza del proprio ruolo

 

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Architetto, scrittore, milanese (o “terrone di seconda generazione”, come dice con gusto per il paradosso): Gianni Biondillo (che sta lavorando al libro Lessico Metropolitano, in uscita per Guanda a febbraio 2021, con un capitolo dedicato proprio a Milano) ha chiacchierato con Il Giornale dell’Architettura.com sui temi del Ritratto di città.

Milano ha sempre avuto un’ossessione per il mutamento: fin dai tempi di Bonvesin de la Riva ha demolito per ricostruire. C’è stata un’Esposizione internazionale in cui ha deciso di fare i conti con il mondo: non quella del 2015, ma nel 1906. In quel periodo è cambiato tutto: le fabbriche, le centrali elettriche, la manifattura e l’artigianato della Brianza. Poi è arrivata la guerra, durante la quale i bombardamenti hanno distrutto circa il 60% del centro: un impatto pazzesco che la città subisce ancora oggi. Se cammini in qualsiasi città italiana orientandoti con una vecchia guida del Touring Club Italiano non ti perdi. A Milano sì, perché a Milano è cambiato tutto e tutto continua a cambiare.

È qualcosa d’insito nella sua natura, anche sociale: più della metà dei milanesi non è originaria di Milano. Non per caso il Futurismo è nato qua, non poteva succedere altrove: di quell’avanguardia continuiamo a nutrire il gusto e la passione per la città che sale. Al contrario di quanto succede altrove (penso alle infinite polemiche che ci sono state a Torino intorno alla torre di Renzo Piano), a Milano nessuno eccepisce alcunché quando si costruiscono grattacieli.

Anche se poi, a furia di trasformare, qualche volta cadiamo nella nostalgia. Prendiamo i Navigli: in nome della Modernità li abbiamo chiusi, ora qualcuno propone di riaprirli. Personalmente non capisco bene per quale motivo e per farci cosa. È del tutto evidente che Milano oggi stia puntando le sue fiches su luoghi con implicazioni ben più grandi, come gli scali ferroviari: sono aree con una dimensione regionale, capaci di by-passare notevolmente i limiti comunali. Oggi più che mai dobbiamo tutti capire che Milano non finisce a Milano. Quando 10 anni fa, insieme a Michele Monina, ho fatto e pubblicato (Tangenziali, Guanda, 2010) il cammino lungo le tangenziali autostradali, anticipavo proprio questo: Milano non è racchiusa dalla circonvallazione della 90-91 [la linea di trasporto pubblico che percorre l’anello del centro; n.d.r.] come invece qualcuno ancora crede. Ma è una città ben più grande, caotica, complessa, mutevole, piena di contrasti, abitata per il 90% al di fuori del suo centro.

Questa prospettiva ci aiuta a comprendere che cosa stia succedendo oggi, con continui cambiamenti, anche quando non sono così necessari. Qualche volta sembrano avvenire per il semplice gusto di essere all’avanguardia. Milano è, insieme a Napoli, credo l’unica metropoli italiana (“la città più città d’Italia”, scriveva Giovanni Verga). Ma mentre Napoli rappresenta quello che l’Italia è (nel bene e nel male), Milano rappresenta ciò che l’Italia vorrebbe essere. È sicuramente la città più europea d’Italia, ma al tempo stesso mi piace ricordare che è anche la più italiana d’Europa. In un gioco di paradossi continui, Milano sembra confrontarsi con le altre capitali europee, ma senza essere capitale.

Qui c’è stato, e c’è tuttora, il più grande cantiere urbano in Europa del 21° secolo, dobbiamo tenerlo presente. Ma forse tra tanto costruire non abbiamo realizzato abbastanza l’identità e la consapevolezza del nostro ruolo. E così finiamo con il comportarci come fossimo una città-stato, rendendoci antipatici come sono antipatici i primi della classe, drenando risorse ed energie agli altri. Non agli altri stati concorrenti (come dovrebbe succedere) ma alle altre regioni d’Italia. E infatti quando l’emergenza Covid-19 ci ha colpito più di altri, si è visto da più parti un senso di rivalsa.

Proprio la pandemia è stata un’esperienza incredibile, anche per me personalmente. Vivo vicino a piazzale Loreto, dalla mia finestra osservo tutti i giorni la città che diventa macchina. Vederla completamente ferma è stato spettrale, davvero impressionante. Ripartire oggi vuol dire lavorare per cambiare la strategia urbana, modificando il rapporto tra città e territorio, ragionando sul punto in cui un equilibrio si rompe per sempre. E allora Milano deve fare uno sforzo su tre aspetti prioritari: pandemia, cambiamenti climatici, invecchiamento della popolazione.

Chiudo sull’eredità di Expo 2015: è stata una riuscitissima operazione di marketing urbano, ha fatto di Milano il posto dove tutti dovevano essere. Ora il progetto per trasformare l’area in un centro propulsore d’innovazione e digitalizzazione (connesso con il mondo, grazie alle reti e alle infrastrutture) mi sembra di grande prospettiva. A Milano, e torno a quello che scrivevo all’inizio, tutto ciò che è nuovo diventa cool, e la gente tende ad apprezzarlo e a frequentarlo. In queste dinamiche non è un caso che il sindaco venga proprio dall’esperienza di Expo e da quel modo d’intendere la città. Non lo dico come fosse un fatto negativo, anzi: credo ci sia bisogno di marketing urbano. La città si sta muovendo su livelli di attrattività molto alti, aprendosi al mondo. Credo debba continuare in questa direzione, senza però dimenticare che bisogna muoversi tutti insieme. Perché è sbagliato dire che non esistono più le classi sociali, la pandemia lo ha dimostrato plasticamente. Quindi il mio auspicio è che Milano continui a coltivare l’ossessione per il nuovo e per il cambiamento: facciamolo però senza lasciare indietro nessuno.

(testo raccolto da Michele Roda)

Immagine di copertina: Fondazione Prada (© Arianna Panarella)

Autore

  • Gianni Biondillo

    Milanese, ha una formazione da architetto e un’intensa attività di autore e scrittore, che sfocia spesso nel campo della progettazione, dell’urbanistica e del paesaggio. Come docente di Psicogeografia e narrazione del territorio all’Accademia di Mendrisio ha sperimentato modi nuovi di conoscere e scoprire le città. Tra i suoi molti libri figurano quelli che raccontano le indagini dell’ispettore Ferraro, ambientate proprio a Milano (Guanda Editore). Per la stessa casa editrice ha pubblicato nel 2016 Come sugli alberi le foglie, che racconta la vita di Antonio Sant’Elia. A febbraio 2021 è prevista l'uscita di Lessico metropolitano, raccolta di saggi d'architettura. Scrive per il cinema e la televisione, collabora regolarmente con quotidiani e riviste nazionali

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