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Maran: dobbiamo conciliare i grandi piani con la Milano policentrica degli 88 quartieri

Maran: dobbiamo conciliare i grandi piani con la Milano policentrica degli 88 quartieri

 

Pierfrancesco Maran, assessore comunale all’Urbanistica, al verde e all’agricoltura del Comune di Milano, interviene sul dibattito sul futuro della città

 

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Le parole di Pierfrancesco Maran concludono il “Ritratto” che il Giornale dell’Architettura ha dedicato alla “Milano che cambia”, in una fase delicata in cui piani e progetti ambiziosi si confrontano con le conseguenze della pandemia. In 13 diversi articoli, tra racconti e testimonianze, abbiamo affrontato i temi che stanno segnando il dibattito degli ultimi anni, descrivendo le nuove e più recenti architetture. Ma anche i tanti progetti in cantiere, che non si sono fermati nonostante Covid e svariati Dpcm.

Pur con molti aspetti critici e anche paradossali, è emerso un quadro di ottimismo di una città che guarda al domani, non rinnegando la propria apertura internazionale. Ne è prova, tra le notizie più recenti, l’annuncio dei 6 team selezionati da Coima per l’elaborazione del masterplan dell’ex scalo ferroviario di Porta Romana (che ospiterà anche il Villaggio Olimpico 2026): BIG – Bjarke Ingels Group; Cobe; John McAslan + Partners; Outcomist con Diller Scofidio + Renfro e Carlo Ratti Associati; Skidmore, Owings & Merrill con Michel Desvigne Paysagiste; Studio Paola Viganò con Inside Outside e F&M Ingegneria.

Procede, intanto, il “Piano quartieri”, con l’annuncio dell’ampliamento dell’area pedonale nel cuore della città: con l’apertura nel 2022 della nuova fermata metropolitana della linea M4, verrà infatti esteso il lungo percorso che da San Babila/Corso Europa arriverà fino a Piazza Castello. Progetti che rappresenteranno terreno di dibattito per le prossime elezioni, con il sindaco Beppe Sala pronto a ricandidarsi per il secondo mandato. Con un programma che punterà su cultura e creatività: l’immagine della “Milano dei quartieri”, con distretti culturali diffusi, è la carta su cui la maggioranza di centrosinistra a Palazzo Marino intende confermare la capitale lombarda come metropoli internazionale.

 

Assessore Maran, la pandemia in corso sta contribuendo a ridefinire necessità e aspettative di un grande centro urbano come Milano. La città sembra aver puntato con decisione su azioni a breve termine, “tattiche”, legate a percorsi e spazi pubblici. Come pensa l’amministrazione di ricalibrare le politiche urbane nel medio-lungo termine?

Dal punto di vista urbanistico la pandemia ha accelerato e incrementato azioni che l’amministrazione stava già mettendo in pratica, incentrate sulla valorizzazione dello spazio pubblico e su forme di mobilità sostenibile. Gli interventi “tattici”, ad esempio per ridisegnare le piazze, sono nati nel 2018 con il progetto “Piazze aperte”. I primi due esempi sono stati Dergano e Angilberto, dove ora, dopo due anni di sperimentazione, stiamo avviando una riqualificazione strutturale e permanente. Abbiamo creato in pochi mesi oltre 30 km di piste ciclabili, cosa impensabile appena un anno fa. Abbiamo fatto spazio, ben 64.000 mq, a tavolini e dehor, consentendo a tanti locali di proseguire la propria attività nel rispetto delle norme anti-Covid. L’esigenza, accentuata in questi mesi, di avere quartieri in cui a 15 minuti da casa ogni cittadino possa trovare verde, servizi, spazi pubblici di qualità, sarà una tendenza delle grandi città nei prossimi anni, ed è in questa direzione che bisogna insistere, con interventi più strutturali di quelli visti in questi mesi di emergenza ma altrettanto compatibili con le sfide ambientali che siamo chiamati ad affrontare. Non vuol dire limitarci a vivere in uno spazio ridotto, né rinunciare ai grandi progetti urbanistici. Vuol dire intercettare e rispondere a esigenze che prima erano meno evidenti.

 

È forse questa la condizione per “sdoganare” definitivamente una sorta di diffidenza di Milano ai grandi piani urbanistici e ad un lavoro “per parti” autonome che sembra aver dato risposte più efficaci, anche negli ultimi anni?

Il Piano di governo del territorio approvato un anno fa, da un lato punta molto alla valorizzazione degli 88 quartieri della città, con l’obiettivo di migliorare la qualità degli spazi e della vita trasformando ogni quartiere in un nucleo potenzialmente autonomo, pur in dialogo con gli altri, dall’altro delinea i grandi piani che cambieranno Milano nei prossimi anni, a partire dalla trasformazione degli scali ferroviari. Gli interventi mirati a livello locale e i grandi piani non sono inconciliabili, anzi, rappresentano due modalità di ricucitura sociale e territoriale ugualmente indispensabili.

 

Da più parti, soprattutto nella scorsa primavera, si è parlato di fine del “modello Milano”, ovvero di una città che vive di attrattività, di densità, di pendolarismo giornaliero, di continua rigenerazione. Pensa che effettivamente la Milano dei prossimi 5 anni dovrà ridefinire linee guida e modalità operative?

Il momento impone a ognuno di noi di pensare in modo diverso rispetto a prima. Come tutte le metropoli europee, abbiamo sempre lavorato pensando a ritmi definiti e ben chiari della città, che questa pandemia ha messo in discussione. È difficile avere certezze sul futuro, ma abbiamo opportunità di sperimentare nuove soluzioni. Dovremo lavorare in una logica sperimentale, come abbiamo fatto quest’estate.

 

Abbiamo già detto che la grande scommessa sulla città “pubblica” sembra essere legata principalmente agli scali ferroviari. Come valuta i progressi nella progettazione? Non pensa che questa focalizzazione su un tema possa “lasciare indietro” altre aree, su cui i privati lavorano con una mano pubblica meno “forte”?

Indubbiamente la rigenerazione degli scali ferroviari è uno dei progetti più importanti a livello europeo dei prossimi 20 anni. Si tratta di togliere dall’abbandono e dal degrado oltre un milione di mq di aree, portando verde, housing sociale, servizi. I masterplan di Farini e San Cristoforo e il progetto per Greco sono già approvati e si sta svolgendo la gara per il masterplan di Porta Romana; presto avremo nuovi progetti per Rogoredo e Lambrate. Non vediamo l’ora di vedere questi interventi realizzati, nell’interesse della collettività. Detto questo, non sono le uniche aree in trasformazione nei prossimi anni. Pensiamo a Mind, alla Goccia, a Piazza d’armi, all’area di San Siro, a Rogoredo e al completamento di piani come Santa Giulia e Porta Vittoria: su tutte queste aree c’è grande attenzione da parte dell’amministrazione, affinché agli interventi privati siano affiancate importanti opere di riqualificazione dello spazio pubblico. Dobbiamo lavorare a una città policentrica.

 

Infine, tra 5 anni Milano ospiterà una versione – pur diffusa e quindi potenzialmente meno impattante – delle Olimpiadi invernali. Può essere l’occasione proprio per ridiscutere il modello del “fare città”?

Non bisogna demonizzare tutto quello che è accaduto finora. Gli ultimi 10 anni per Milano hanno rappresentato una rinascita, suggellata a partire da Expo, e sono convinto che le Olimpiadi potranno segnare allo stesso modo un nuovo punto di partenza. La Milano del 2026 sarà indubbiamente diversa da oggi, e questa scadenza ci dà lo stimolo per rendere più rapidi i processi sperimentali di cui parlavamo prima.

 

Immagine di copertina © Arianna Panarella

Autori

  • Arianna Panarella

    Nata a Garbagnate Milanese (1980), presso il Politecnico di Milano si laurea in Architettura nel 2005 e nel 2012 consegue un master. Dal 2006 collabora alla didattica presso il Politecnico di Milano (Facoltà di Architettura) e presso la Facoltà di Ingegneria di Trento (Dipartimento di Edile e Architettura). Dal 2005 al 2012 svolge attività professionale presso alcuni studi di architettura di Milano. Dal 2013 lavora come libero professionista (aap+studio) e si occupa di progettazione di interni, allestimenti di mostre e grafica. Dal 2005 collabora con la Fondazione Pistoletto e dal 2013 con il direttivo di In/Arch Lombardia. Ha partecipato a convegni, concorsi, mostre e scrive articoli per riviste e testi

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  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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