Lo sport come infrastruttura urbana diffusa
Lo sport veicola la dinamica evolutiva della città contemporanea per mezzo dei codici della solidarietà, della conoscenza, dell’innovazione
Published 23 giugno 2021 – © riproduzione riservata
I luoghi sportivi identificano, nella storia delle civiltà, un fondamentale elemento di manifestazione intellettuale in grado di trasmettere il significato che la cultura dello sport e del tempo libero rivestono nel rappresentare l’identità dei popoli. La relazione tra le attività fisiche e la definizione degli spazi dedicati nei contesti antropizzati – in altre parole il rapporto città-architettura-sport – rappresenta il barometro dell’espressione culturale e dell’anima di una collettività.
L’architettura dello sport, primario elemento d’infrastrutturazione urbana, delinea l’ossatura del sistema territoriale, rappresentando uno dei più efficaci collanti sociali endogeni all’organismo urbano, vero e proprio motore propulsore e ordinatore della città di ieri, oggi e domani. Lo sport veicola la dinamica evolutiva della città contemporanea per mezzo dei codici della solidarietà, della conoscenza, dell’innovazione: tra valore dell’accoglienza e multi-direzionalità di obiettivi, tra ricchezza delle diversità e interpretazione del contesto.
Tra infrastruttura e terzo spazio
Le infrastrutture non possono essere concepite esclusivamente come teatri di gesta sportive, ma elementi attivi all’interno di un tessuto sociale, economico e culturale.
Lo sport ora esce dai volumi, dagli edifici, dai manufatti architettonici per contaminare lo spazio pubblico della quotidianità: il vero palazzetto dello sport non è, quindi, uno spazio confinato e definito, è la città con i suoi vuoti e i suoi valori. L’infrastruttura sportiva va intesa dunque quale prodotto urbano allargato, teso a favorire relazioni in grado di contribuire attivamente alla valorizzazione dei luoghi e delle persone.
L’ambito dell’architettura esprime, altresì, fenomeni di trasformazione e insediamento di strutture multi-scalari e sportive che assumono ruoli determinanti, primari, strategici nella configurazione dei contesti abitati, nel tentativo di perseguire una nuova e rinnovata bellezza. L’architettura dello sport, infatti, è luogo per antonomasia. Presenza tipologica forte e riconoscibile interna al tessuto urbano, contenitore di molteplici dinamiche emotive e icona della città rete, identifica un elemento soggetto a profonde riflessioni e sperimentazioni all’interno del dibattito e delle azioni che coinvolgono i sistemi urbani e il loro assetto. Lo sport e il tempo libero, attualmente e a pieno titolo, personificano quel terzo spazio del nostro vivere, complementare alla sfera privata e alla funzione lavorativa, in grado di rigenerare fisicamente e civicamente i contesti diffusi, connesso a una nuova cultura del tempo, maturata progressivamente in epoca post-moderna. Una valorizzazione di matrice spaziale e temporale che induce, promuove e favorisce una simultanea azione di rigenerazione sociale, evidenziando come lo sport sia detentore di valori, al contempo, materiali e immateriali, fisici e virtuali. A volte è lo sport a plasmare e supportare la struttura della città e dei suoi spazi; altre, è la città medesima a suggerire forme sportive innovative, uniche, assolute, irripetibili per forma, materiali, cultura e tradizione.
Lo sport riesce a rendere eccezionale il quotidiano e, specularmente, rende quotidiana l’eccezionalità dell’evento, per mezzo dei suoi attori e dei teatri spontanei o artificiali atti ad ospitarlo, in una logica sia codificata, sia informale. L’evento sportivo, infatti, esige un profondo rinnovamento e un radicale disassamento di approccio a favore di una concezione d’infrastruttura sportiva meno oggettuale e più nodale, volta a stimolare energia, sostenibilità, positività territoriale, iconicità di sostanza.
Approcci (non sempre) olimpici
L’ideazione, la progettazione e la realizzazione della grande manifestazione offre l’occasione, spesso unica e irripetibile, di trasformazione e rivalutazione strategica dei luoghi, definendo priorità, alimentando potenzialità e sconfiggendo le contraddizioni dei campi d’applicazione.
Le ultime Olimpiadi sono in questo senso un utile momento di confronto, anche nella successione di approcci. Juan Antonio Samaranch (per oltre 20 anni presidente del Comitato Olimpico) definì Sydney 2000 “l’Olimpiade migliore di sempre”. Flessibilità, trasformabilità, adattabilità erano i paradigmi per un sistema organico d’infrastrutture fisse ed elementi removibili con architetture plasmate nel tempo e nell’evoluzione degli stili di vita.
Nel 2004 tocca ad Atene: gran parte degli edifici, delle strutture e degli spazi costruiti per ospitare i Giochi sono oggi abbandonati e in rovina: nessun piano di utilizzo post-evento ha accompagnato tale processo di costruzione.
Quelli di Pechino 2008 furono definiti i “giochi della trasformazione urbana”. L’intervento sviluppò 37 strutture sportive, delle quali solo 6 collocate fuori Pechino: molte, ancora oggi, risultano attive e utilizzate, altre versano in totale abbandono.
Il degradato quartiere East-end, bonificato e riqualificato, ha accolto il Villaggio olimpico di Londra 2012: Queen Elisabeth Park, a conclusione dei Giochi, è stato trasformato e mantenuto in vita, con la realizzazione, ancora in corso, di 11.000 nuove abitazioni. Definite dalla BBC “imperfettamente perfette”, le Olimpiadi di Rio 2016 sono il manifesto delle criticità, prima e dopo l’evento, tra inquietudini, violenze e inquinamento: tutti problemi che si sono moltiplicati al termine della manifestazione.
La via italiana
Infrastrutture sportive, intese quali risorse culturali volte al benessere, rappresentano una concreta opportunità di valorizzazione del territorio, promuovendo la socialità, favorendo lo sviluppo economico e stimolando la ricerca progettuale verso tipologie, morfologie e tecnologie innovative e integrate. Le strutture destinate all’attività sportiva, e più in generale alle pratiche per il benessere e la salute, traducono le istanze contemporanee in una piattaforma di socialità in grado di produrre un diffuso consenso culturale e politico, rappresentando un’opportunità di esperienze di relazione e un veicolo di contenuti etici, sociali ed economici.
L’accelerazione d’interessi, la reperibilità di risorse, le trasformazioni sociali hanno eletto il settore del tempo libero il comparto economico a maggior crescita, a livello mondiale, tanto da rientrare nei bisogni preminenti della collettività. Ciò vale ancor più nel contesto italiano, luogo di turismo, beni culturali, storia, memoria. La terza via italiana può, in tale scenario, identificare un’alternativa convincente di approccio al tema del potenziamento e valorizzazione delle infrastrutture sportive, contrastante una dinamica sostanzialmente indifferente ai valori identitari e alla memoria dei luoghi.
Un atteggiamento culturale diffuso in molti contesti stranieri, che si contrappone all’altrettanto perniciosa logica di passiva conservazione e musealizzazione dell’esistente, spesso riconducibile proprio al contesto culturale locale. Il paradigma italiano, altresì, è in grado di proporre una visione che assume valore dalle peculiarità storico-sociali e paesaggistiche del nostro paese, evitando l’acritica adozione di modelli stranieri, spesso virtuosi nei loro contesti di afferenza, ma difficilmente applicabili nel nostro territorio, per ragioni culturali, orografiche, memoriali. Anche per tale presupposto il modello italiano non può essere declinato in modo univoco dal punto di vista tecnico-progettuale e morfo-tipologico. Interattività, condivisione e realtà virtuale: in un clima d’ibridazione delle tecnologie dell’informazione e comunicazione, l’architettura dello sport è volta a divenire fornitrice, oltre che consumatrice, delle nuove necessità. Tali strutture identificano potenziali utili contenitori di funzioni innovative, da analizzare in una riformulata logica di fruizione sia del mondo dello sport, sia di una politica di salute pubblica e di risposta all’emergenza. Le infrastrutture sportive, altresì, costituiscono ambiti privilegiati di sperimentazione architettonica, strutturale, semantica, per dimensione, collocazione, integrazione con il tessuto consolidato della città. Il tema è aperto e dagli indistinti orizzonti, oggi quanto mai attuale e stimolante. La città dovrà porsi come sistema attivo, non come contenitore passivo di oggetti delegati a ospitare eventi eccezionali, destinati a esaurirsi nell’ombra del tempo: non, quindi, impianti sportivi per la città, bensì sport come infrastruttura urbana diffusa. Questa l’alchimia per il futuro.

Architetto e dottore di ricerca, è professore ordinario presso il Politecnico di Milano, di cui è prorettore delegato dal 2017. Ha organizzato convegni, corsi e seminari internazionali. Ha presieduto e coordinato i corsi di studio in Scienze dell’Architettura e Progettazione dell’Architettura, ed è direttore del Master di II livello in Progettazione costruzione gestione delle infrastrutture sportive. E’ autore di numerose pubblicazioni sul tema delle architetture sportive (tra le quali il recente Sport Architecture, LetteraVentidue, 2020).