Li Xinggang e la prospettiva cinese

Li Xinggang e la prospettiva cinese

 

Intervista al giovane architetto impegnato nella progettazione dei siti olimpici e nella ricerca di una teoria del progetto che combina tradizione e linguaggio contemporaneo

 

L’intervista a Li Xinggang, già giovanissimo protagonista, all’ombra di importanti partner, della realizzazione dell’icona dei Giochi Olimpici del 2008 permette di approfondire il nostro sguardo su quanto separerà i due eventi olimpici del 2008 e del 2022. Inoltre ci dà la possibilità  di vedere come nella Cina di oggi, a differenza di quanto descritto da molte narrazioni mediatiche, sia possibile svolgere l’attività di progettazione basando il proprio lavoro sulla ricerca e lo studio della tradizione combinati ad un linguaggio contemporaneo. 

(Filippo Fiandanese, curatore dell’inchiesta)

Li Xinggang è un giovane architetto cinese di talento con importanti esperienze di collaborazioni internazionali. Nel 1998 è stato selezionato per il programma “50 architetti cinesi in Francia”, promosso dalla Presidenza della Repubblica Francese. Quindi ha collaborato con Herzog & de Meuron alla progettazione del Bird’s Nest, lo stadio olimpico dei Giochi Olimpici di Pechino del 2008, e con il gruppo francese AREP al progetto della stazione di Xizhimen, sempre a Pechino. Attualmente è vice-presidente dell’istituto statale di progettazione China Architecture Design and Research Group al cui interno dirige Atelier Li Xinggang. Contrariamente ad alcuni pregiudizi che fanno pensare alla produzione architettonica cinese caratterizzata dalla sola necessità di efficienza e velocità di costruzione, il lavoro di Li Xinggang si basa su una costante ricerca e su una particolare attenzione alla tradizione locale, soprattutto quella dei giardini.

In questa intervista abbiamo parlato con Li Xinggang dei suoi lavori di grande e piccola scala e della situazione del mercato dell’architettura in Cina in prospettiva dei Giochi olimpici invernali di Pechino 2022. Li Xinggang ha infatti un ruolo chiave nella progettazione dei siti olimpici ed ha recentemente visitato le “montagne olimpiche” che hanno ospitato le competizioni di Torino 2006.

 

La prima volta che in Cina ci siamo incontrati, Lei mi è stato presentato come uno degli autori, con Herzog & de Meuron e Ai Weiwei, del Bird’s Nest, lo stadio che ha ospitato le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi olimpici di Pechino 2008. Un progetto di grande scala, disegnato da uno dei maggiori studi mondiali, divenuto presto un’icona globale. A quell’epoca, dopo l’ingresso della Cina nel WTO nel 2001, molti grandi studi occidentali apparvero sulla scena cinese. Come è stata la sua esperienza di architetto in quel momento storico? Ed, in particolare, cos’ha appreso dal lavoro con la celebre coppia di architetti svizzeri?

È stata una grande esperienza. Allora avevo partecipato a quasi tutti i primi concorsi internazionali in Cina. Ho lavorato alle competizioni per la National Opera House (1998), il China Film Museum (2000), la torre CCTV (2001) e, infine, con Herzog & de Meuron per il National Stadium (2002). Ho avuto la possibilità di competere con i maggiori architetti al mondo e di vincere il progetto per lo stadio in collaborazione con uno degli studi più importanti sulla scena globale. L’aspetto più rimarchevole di lavorare con Herzog & de Meuron è la loro ferma attenzione per lo spazio architettonico e la ricerca di integrare forma e struttura dell’edificio. Loro pensano ed operano come artigiani. Insieme dovevamo comprendere come costruire un edificio senza precedenti nel mondo. Certamente da allora ho iniziato a pensare alla questione dell’interazione e della simbiosi tra fattori artificiali e naturali. Quella fu una grande possibilità d’imparare attraverso la collaborazione e di trovare quindi una mia personale modalità di studio e di progetto.

 

Oggi le politiche di mercato in Cina stanno cambiando. L’attenzione si sta spostando da edifici iconici, a volte dalle forme bizzarre, verso nuove tendenze che possano rappresentare la Cina del “new normal”. Come pensa questo orientamento possa concretizzarsi in prospettiva dei Giochi olimpici invernali di Pechino 2022 in confronto alle Olimpiadi del 2008?

Attualmente sto lavorando come architetto responsabile per l’area di Yanqing (una delle due aree fuori Pechino che ospiterà le gare olimpiche outdoor nel 2022). Rispetto a Pechino 2008 sarà enfatizzata la questione della sostenibilità delle strutture olimpiche, così come il rispetto e la protezione della cultura e dell’ambiente locali. Un’attenzione speciale sarà riservata al dialogo tra architettura e paesaggio. Inoltre nel progetto terremo in considerazione l’uso a lungo termine degli edifici per il post-Olimpiadi e vogliamo incrementare lo sviluppo dell’area. In sintesi, se l’evento del 2008 si svelò al mondo scintillante e grandioso come il suo Bird’s Nest, Pechino 2022, ed in particolare l’area di Yanqing, sarà a basso profilo, modesta ed armoniosa, quasi nascosta, con la natura. Il progetto cui ora sto lavorando è infatti inserito in un parco in zona montuosa. Cercheremo di non modificare molto l’ambiente naturale ma di integrare il nostro progetto nel paesaggio circostante.

In occidente conosciamo spesso ancora poco dell’architettura cinese oltre ai grandi progetti iconici, come il Bird’s Nest o la torre della CCTV di Koolhaas. Il suo studio, Atelier Li Xinggang, invece preferisce oggi lavorare a progetti alla piccola scala ed è specializzato nella progettazione di giardini cinesi. Quale dei suoi recenti lavori potrebbe rappresentare la condizione attuale dell’architettura in Cina?

È difficile per me scegliere un progetto che possa pienamente raccontare l’architettura cinese al mondo esterno. L’architettura cinese contemporanea è molto eterogenea ed appaiono eccellenti lavori, sempre più interessanti, disegnati da una giovane generazione di architetti cinesi. Personalmente mi sono a lungo interessato a come migliorare un’architettura contemporanea che si basi sullo studio della cultura e della tradizione cinese, che può essere rintracciata nei suoi insediamenti, città e giardini. Ho chiamato la mia pratica progettuale Shengjing-Jihe, che può essere tradotto come “il paesaggio poetico e la geometria integrata” . Tra i miei progetti il Jixi Museum potrebbe essere il più rappresentativo di questa mia personale ricerca.

 

Nel 2008 Lei ha partecipato alla Biennale di Venezia, quindi ha progettato le ambasciate cinesi a Madrid ed in Nuova Zelanda. Se negli anni 2000 la Cina importava progetti stranieri ora qualche architetto dalla Cina inizia a lavorare fuori dal Paese. Come è stata la sua esperienza di lavoro all’estero e come è stata differente dal lavorare in patria? Quale potrebbe essere il futuro degli architetti cinesi impegnati in progetti in Occidente?

Sicuramente operare all’estero è abbastanza differente rispetto al contesto cinese. Luoghi, persone, cultura, storia, natura, geografia, clima, regolamenti di costruzione, procedure di approvazione e soprattutto la velocità di costruzione sono diversi. In realtà non sono particolarmente interessato a lavorare all’estero, preferisco anzi concentrare la mia attività in Cina. Non solo perché ho familiarità con la situazione cinese, dove credo si possano realizzare interessanti progetti, ma perché qui c’è una maggiore urgenza di migliorare la realtà. Benché lavorare in Cina come architetto possa essere persino più difficile che altrove, desidero affrontare le sfide della trasformazione cinese e prendere parte al processo in corso; inoltre, tutta l’umanità sta affrontando situazioni simili, problemi e crisi. Credo infatti che le mie ricerche ed i miei lavori non si limitino a confrontarsi soltanto con realtà, cultura e tradizione cinese, ma possano avere elementi in comune e possano avere interesse anche in altri contesti, incluso il mondo occidentale. Abbiamo tutti bisogno di essere adattabili al tempo presente ed anche al futuro.

 

Immagine di copertina: Jixi Museum

 

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