L’horror vacui dei musei

L’horror vacui dei musei

 

Le prospettive della riapertura, tra numeri contingentati, precariato lavorativo e spinte alla digitalizzazione

 

LEGGI GLI ALTRI CONTRIBUTI DELL’INCHIESTA “LE CASE E LA CITTA’ AI TEMPI DEL CORONAVIRUS”

 

La pandemia da Covid-19 ha toccato il mondo. Tocca, però, a ogni Paese imboccare in modo personalizzato la strada della risalita. Quella del Bel Paese non può non passare dai suoi musei, parchi archeologici e monumenti. È, invece, dalle librerie che “riapre” il sofferente ecosistema cultura. “È il riconoscimento che anche il libro è un bene essenziale”, ha detto il ministro Dario Franceschini. Solo quelli in vendita, però, e non quelli nelle biblioteche, che restano chiuse. Come i musei. Benché fosse stato proprio Franceschini, durante il suo primo mandato (governo Renzi) a volere la legge del 2015 che li ha riconosciuti servizi pubblici essenziali.

Fuori da ogni retorica, i musei sono luoghi che non nutrono solo l’anima, ma danno (o meglio, dovrebbero dare) lavoro a una delle categorie più altamente specializzate quanto altrettanto mortificate da una precarietà a cui questa emergenza ha inferto un colpo durissimo. Eppure, evitare gli assembramenti sarebbe più agevole che in altri settori. Organizzando il contenimento dei visitatori, si potrebbero pure evitare le file dei supermercati, con prenotazioni online vincolate a una fascia oraria e al nominativo di chi effettuerà la visita, come al Cenacolo di Leonardo, per fare l’esempio di un museo così regolato già prima dell’emergenza virus. Contingentare i visitatori non dovrà, però, comportare una riduzione dei tempi di visita per mantenere i numeri del pre crisi. Una visita slow, in pochi, può essere utile a favorire un nuovo approccio meno distratto, un’immedesimazione nelle collezioni museali. Per i grandi musei, favorire il ritorno, più volte in un anno, significa, in previsione del fermo che subirà il turismo dall’estero, rivolgere nuova attenzione a un bacino di visitatori a km zero: per i residenti, invece che mete lontane migliaia di chilometri, la possibilità di godere come mai prima del patrimonio sotto casa e per chi viene da più lontano percorsi “intelligenti” selezionati. Ma più che dalle grandi realtà museali che incentivano il turismo di massa, è dai musei a dimensione locale che si potrebbe ripartire.

Riaprire subito i musei “A numeri contingentati, con le persone a un metro di distanza, nel massimo rispetto delle norme di sicurezza”, è l’appello lanciato da Vittorio Sgarbi su change.org. “Va riaffermato con forza il primato della cultura, commenta per noi, e non perché porta Pil, ma perché è vitale come la salute”. Per Tomaso Montanari su “Emergenza cultura” è l’occasione per “Riprendersi anche ciò che lo Stato ha affidato a sue società strumentali (come Ales) o ha appaltato a concessionari”.

Aprire significa anche calibrare modi e tempi sulle singole realtà territoriali. Se gli Uffizi e i dodici istituti che fanno capo alla Fondazione Musei Civici di Venezia si dicono pronti, grazie a una flessibilità che gli permetterà di gestire in tutta sicurezza il limite di compresenze, nella Sicilia dei ben 18 parchi archeologici istituiti dal Governo Musumeci è da qui, prima ancora che dai musei, complice un clima già tiepido, che si potrebbe riannodare il discorso con i visitatori: migliaia di mq di natura e storia per passeggiate che consentono distanze non ravvicinate. Il direttore del Museo regionale di Messina, Orazio Micali, ha predisposto un dossier sulle misure preventive per la sicurezza di lavoratori e visitatori, in funzione non solo della fase 2 ma anche di quella intermedia. Rappresenta, però, un’eccezione nell’assenza di una regia regionale unica.

Così come in modo diverso hanno reagito al lockdown i musei in tutto il mondo. Dai dati raccolti in un sondaggio NEMO (Network of European Museum Organisations), la rete delle organizzazioni dei musei degli Stati membri del Consiglio d’Europa, su 650 musei di 41 Paesi durante l’emergenza da Covid-19, è emerso che il 92% dei musei è chiuso e che il 30% sta perdendo fino a 1.000 euro a settimana. Grandi musei, come il Kunsthistorisches Museum di Vienna o il Museo Stedelijk e il Rijksmuseum di Amsterdam perdono tra i 100.000 e i 600.000 euro a settimana. Anche se la maggior parte non ha ancora dovuto licenziare il personale, in molti hanno sospeso i contratti con i liberi professionisti. Come il MoMA di New York, che ha tagliato i contratti dei collaboratori esterni del Dipartimento Educazione, mentre al Whitney sono stati lasciati a casa 76 dipendenti, 97 al MOCA di Los Angeles. La Fondazione Musei Civici di Venezia, che si autofinanzia al 100%, ha un gruppo di dipendenti in solidarietà e ha dovuto sospendere i collaboratori.

Una cosa li accomuna tutti: la spinta alla digitalizzazione, per mantenere viva e dinamica la “connessione” del pubblico a un patrimonio culturale inaccessibile come non lo era mai stato nella storia. Oltre il 60% dei musei ha aumentato la propria presenza on-line, specialmente sui social (l’80% su Facebook e il 20% su Instagram), registrando un incremento delle visite online del 40%. Risultati di cui i governi dovrebbero tener conto per incrementare in futuro gli investimenti in infrastrutture digitali. In Italia, Franceschini pensa a una Netflix della cultura, per offrire, ma a pagamento, i contenuti culturali online anche oltre questa fase di emergenza in cui il MiBACT ha lanciato un viaggio digitale lungo tutta la Penisola, il “Gran virtual tour”. In concreto, negli emendamenti al Dl Cura Italia sulle materie turismo e cultura, in esame da lunedì 20 aprile, nessun sostegno a chi lavora secondo modalità contrattuali altamente “atipiche”, in particolare nei musei. Ripartenza sì, dunque, ma senza un reale ripensamento del sistema.

 

Immagine di copertina: la Galleria grande alla Reggia di Venaria Reale (Torino)

Autore

  • Silvia Mazza

    Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e  dal compianto Folco Quilici  nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Dal 2019 collabora col MART di Rovereto e dallo stesso anno ha iniziato a scrivere per il quotidiano “La Sicilia”. Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale. Ha collaborato con il Centro regionale per la progettazione e il restauro di Palermo al progetto europeo “Noè” (Carta tematica di rischio vulcanico della Regione Sicilia) e alla “Carta del rischio del patrimonio culturale”. Autrice di saggi, in particolare, sull’arte e l’architettura medievale, e sulla scultura dal Rinascimento al Barocco, ha partecipato a convegni su temi d’arte, sul recupero e la ridestinazione del patrimonio architettonico-urbanistico e ideato conferenze e dibattiti, organizzati con Legambiente e Italia Nostra, sulle criticità dei beni culturali “a statuto speciale”, di cui è profonda conoscitrice.

    Visualizza tutti gli articoli