Le retoriche del waterfront di Levante
Gli interrogativi su un processo che sembra attrattivo più per la griffe di Renzo Piano che per gli obiettivi di rigenerazione urbana
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Published 26 gennaio 2021 – © riproduzione riservata
Con l’apertura dei cantieri e la demolizione dei primi edifici nell’area della Fiera ha preso materialmente avvio l’attuazione del progetto di trasformazione del waterfront di Levante. Per il valore simbolico che negli ultimi decenni hanno assunto i progetti di trasformazione dei waterfront urbani, si tratta di uno degli interventi più importanti della città a distanza di circa trent’anni dal recupero del Porto antico, realizzato per le celebrazioni colombiane del 1992.
In continuità con il Porto antico
Il nuovo waterfront si pone in continuità spaziale con l’area del Porto antico, andando a completare il disegno del tratto di litorale compreso tra il Molo vecchio e la Fiera del mare. Operando in uno spazio storicamente di confine tra il mare e la città – in cui il segno chiaramente percettibile delle mura storiche è ribadito in epoca moderna da un denso paesaggio infrastrutturale – il nuovo waterfront permette di collegare fisicamente due centralità: quella del Porto antico spazialmente relazionata al centro storico e quella della Fiera che costituisce l’episodio terminale di un progetto moderno di sistemazione del tratto finale del torrente Bisagno.
Nell’area della Fiera il progetto prevede una radicale riqualificazione del complesso espositivo attraverso la demolizione di alcuni padiglioni e il riutilizzo parziale delle volumetrie, con la previsione di un nuovo mix funzionale ricettivo/residenziale, terziario, commerciale, ad integrazione di una quota mantenuta di funzioni fieristiche. Muovendosi sulla soglia che separa il porto e la città, il progetto stabilisce una nuova connessione tra queste due centralità urbane poste sul mare, isolando un’area intermedia in cui vengono mantenute le funzioni portuali. Non si tratta dunque di un progetto di dismissione di funzioni portuali e di riuso di tali spazi a fini urbani, come avvenuto nel 1992, ma della riqualificazione spaziale e funzionale dell’area della Fiera, con lo sgretolamento della monofunzionalità fieristica a favore di un più appetibile mix funzionale, e del ridisegno complessivo dello spazio aperto, attraverso la previsione di nuove darsene e canali navigabili (con consistenti operazioni di sbancamento e risagomatura dei moli) che costituiscono gli elementi attorno ai quali si organizza la sequenza degli spazi pubblici, del loisir, del tempo libero e degli spazi destinati alla nautica da diporto.
Dal Blueprint di Piano alle… scadenze elettorali
La seduzione del disegno è accompagnata dalle potenzialità del progetto, inteso come elemento generatore di condivisione tra differenti attori urbani e di attrattività di capitali privati. Il progetto donato da Renzo Piano alla città nel 2015, con il suggestivo nome di “Blueprint”, come “apporto libero e gratuito per il futuro urbanistico, portuale, industriale e sociale di Genova”, ha avuto il merito di stimolare il dibattito tra gli enti pubblici, superando la logica delle progettazioni separate, e di sollecitare la formalizzazione di una convenzione tra Comune e Autorità portuale, per allineare il progetto ai rispettivi strumenti urbanistici.
Sulla base di quel primo progetto era stato bandito un concorso internazionale d’idee promosso dal Comune e da Spim (Società per la promozione del patrimonio immobiliare comunale) per la riqualificazione dell’area della Fiera, che non aveva individuato nessun progetto vincitore. L’utilità del concorso è comunque stata quella di sollevare alcune criticità relative alle alte densità edilizie derivanti dal recupero delle volumetrie degli edifici e dei padiglioni in demolizione.
La revisione del progetto, presentata nel 2017 da Renzo Piano Building Workshop, riduce le quantità edificabili e prevede una diversa disposizione delle volumetrie, con un miglioramento del disegno d’insieme. In attuazione del progetto l’amministrazione comunale ha optato per la cessione in proprietà dell’area della Fiera a soggetti investitori che si facessero carico dell’intervento di trasformazione. Il ritiro della società francese EM2C, che si era aggiudicata la prima fase del bando per la valorizzazione dell’intero comparto, ha portato l’amministrazione a una riformulazione del bando, attraverso la suddivisione dell’area in lotti, con l’aggiudicazione da parte della società CDS Holding del lotto relativo alla valorizzazione del palasport, destinato a diventare un grande contenitore con una nuova miscela funzionale ad integrazione di quella fieristico-sportiva.
Le vicende relative alla cessione dell’area Fiera aprono un interrogativo sulla sostenibilità economica dell’intervento in una fase in cui al perdurare della contrazione del mercato immobiliare si affiancano le incertezze determinate dalla crisi pandemica (per una valutazione delle condizioni di fattibilità economica del progetto cfr. Rosasco P., Lombardini G., Riqualificazione urbana e sostenibilità economica: il caso del Waterfront di Levante di Genova, Valori e Valutazioni, n. 27, 2020). Il rischio è quello che l’operazione di valorizzazione si trasformi in saldo promozionale pur di vedere realizzato il progetto di waterfront entro la fine di mandato dell’attuale giunta. Il richiamo di Piano alla prudenza e alla parsimonia è invito da raccogliere, soprattutto in un momento in cui l’entusiastico canto della fisicità si fa sempre più rumoroso e insistente all’approssimarsi dell’appuntamento elettorale.
Oggi, le sirene del progetto griffato
Oggi, in un contesto sociale ed economico profondamente mutato rispetto a quello degli anni novanta – in cui il progetto di recupero del Porto antico era sostenuto da consistenti finanziamenti pubblici in ragione dell’evento delle Colombiane – la riproposizione del tema del waterfront sembra affidare la sua attrattività in termini di marketing territoriale principalmente alla capacità di seduzione esercitata dal progetto griffato, che insiste sulle retoriche identitarie della città e del porto per innescare processi di rigenerazione urbana.
Un esercizio retorico, sedimentato nelle forme della città, che Piano ha coltivato nel tempo, talvolta in posizione dialettica con Giancarlo De Carlo, a partire dal progetto pilota per il recupero del centro storico nell’area del Molo, che anticipa in parte luoghi e temi del progetto per l’Expo, fino al grande scenario rappresentato nell’Affresco donato alla città nel 2004, che ridefinisce la relazione fisica tra città e porto lungo la linea di costa compresa tra la Foce e Voltri, per arrivare ai più recenti doni della Torre piloti e del Blueprint. Un’azione ostinata e costante capace di spostare il dibattito su alcuni temi e di accelerare alcuni processi. Un’azione che a partire dal 2007 aveva conosciuto una sua parziale istituzionalizzazione con la creazione di Urban Lab e l’avvio dei lavori del nuovo PUC. Un processo rimasto interrotto dalla drammatica alluvione del novembre 2011.
La vicenda del waterfront di Levante si pone come atto conclusivo di questo processo di lunga durata che ha come elemento di continuità la definizione fisica di un tema collettivo inscritto nelle forme della città e per questo capace di attraversare differenti stagioni politiche, nella prospettiva della rigenerazione urbana.
Architetto, dottore di ricerca presso la Facoltà di Architettura Valle Giulia dell’Università La Sapienza di Roma, professore a contratto del corso Fondamenti di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Design (dAD) della Scuola Politecnica dell’Università di Genova. Ha pubblicato articoli e saggi su riviste di settore e su opere collettanee e le seguenti monografie “La costruzione della periferia. La città pubblica a Genova 1950-1980” (Gangemi, 2015), “Viaggio su territori altrui. Le Corbusier a New York e Reyner Banham a Los Angeles” (plug_in, 2018).