Le città della prossimità aumentata

Le città della prossimità aumentata

 

Occorre progettare città policentriche e resilienti, con un più adeguato metabolismo circolare di tutte le funzioni, con una maggiore vicinanza delle persone ai luoghi della produzione e ai servizi

 

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Il Covid-19 non è stato un “cigno nero” (un imprevisto), ma il “rinoceronte grigio” (un pericolo ben noto che vogliamo ignorare) che correva verso di noi annunciando il salto di livello della crisi dell’Antropocene. Da urbanista, da progettista, sono convinto che serva una riflessione competente per imparare dalla crisi, per rivoluzionare i nostri comportamenti una volta superata la pandemia, e per evitare – o mitigare – la prossima crisi di sistema. Significa trasformare le città perché non ci facciano ricadere nella trappola di una distopia, ma che riaccendano l’audacia della fiducia nel futuro. Ripartire da comunità urbane in equilibrio con le altre specie viventi, ma soprattutto luoghi privilegiati della salute pubblica, come è stato alla nascita dell’urbanistica moderna, alimentata proprio dalla matrice igienista: si pensi ai piani innovativi di Barcelona (1859) e Londra (1944).

Significa tornare – come abbiamo fatto storicamente in Italia – a progettare città policentriche e resilienti, con un più adeguato metabolismo circolare di tutte le funzioni, con una maggiore vicinanza delle persone ai luoghi della produzione e ai servizi. Sono quelle che io chiamo “città aumentate”, capaci di amplificare la vita comunitaria senza divorare risorse: città più senzienti per capire prima e meglio i problemi, più creative per trovare risposte nuove, più intelligenti per ridurre i costi, più resilienti per adattarsi ai cambiamenti, più produttive per tornare a generare benessere, più collaborative per coinvolgere tutti e più circolari per ridurre gli sprechi ed eliminare gli scarti.

Dobbiamo usare la creatività del progetto, imparando dalla natura che si evolve per innovazioni, per adattamenti creativi e per inedite cooptazioni. Nel concreto, dobbiamo progettare la rigenerazione delle nostre città perché siano antifragili, capaci di usare le crisi per innovare, luoghi mutaforma capaci di adattarsi alle diverse esigenze delle città postpandemiche (ma anche di quelle prepandemiche, se tutti le avessimo ascoltate con maggiore attenzione). Non più il tradizionale elenco di funzioni separate, ma un fertile bricolage di luoghi che siano insieme case, scuole, uffici, piazze, parchi, teatri, librerie, musei, luoghi di cura, interpretando ruoli differenziati, come nel pionieristico Fun Palace di Cedric Price.

La sfida per le città aumentate sarà quella di recuperare il loro naturale policentrismo, la diversità dei loro quartieri che, smettendo di essere fragili periferie, tornino ad essere luoghi di vite e non solo di abitazioni, colmando il divario educativo, lavorativo, culturale, digitale, dotandosi di micro-presìdi di salute pubblica e di comunità energetiche autosufficienti. Immagino città fondate su una nuova prossemica che riduca la forsennata mobilità centripeta, garantendo la risposta a molti bisogni entro un raggio di 15 minuti a piedi (lo stanno già facendo Parigi, Barcelona e Milano). Città dello spazio domestico/urbano aumentato attraverso dispositivi pop-up e spazi intermedi che possano consentire una vita di relazioni in sicurezza: allargare i marciapiedi e prevedere pedonalizzazioni temporanee per ampliare gli spazi per l’educazione, il gioco e l’attività fisica, realizzare interventi di urbanistica tattica per il ripensamento dello spazio pubblico e per nuove modalità di fruizione della cultura e del tempo libero. Distribuire teatri, cinema, musei, scuole nello spazio pubblico e riutilizzare edifici dismessi per accogliere funzioni condivise. Una sorta di fascia osmotica che dia forma a quel concetto di “nei pressi della propria abitazione” che ha caratterizzato la quarantena e che potrebbe diventare un progetto di città, riempiendo questi pressi di orti, attività produttive e spazi per una vita relazionale più sicura perché distribuita. Non propongo una città di tribù recintate, ma un fluido arcipelago di prossimità differenziate, connesso da una rete di parchi, giardini, vie pedonali, ciclovie, strade per auto elettriche a guida assistita, vere e proprie arterie di una mobilità sostenibile alternativa alla riduzione di capienza dei mezzi pubblici e all’esplosione di un inaccettabile ritorno all’automobile, che connettano in sicurezza i quartieri attraversando parchi e giardini, riutilizzando ferrovie in disuso, persino usando cortili e vicoli. Una vera e propria “domesticità aumentata” dallo spazio pubblico, definito da una fascia di prossimità che consenta di usufruire di attività che non siano solo individuali ma anche collettive, entro un limite di sicurezza e autosufficienza in caso di pericolo. Una sorta di rielaborazione laica dell’Eruv, la recinzione rituale degli ebrei ortodossi che circonda Manhattan e che estende di fatto il domicilio privato anche agli spazi pubblici.

La pandemia c’insegna che dobbiamo tornare a progettare per rigenerare. Non è il tempo di manutenzioni e piccoli adattamenti, ma è venuta l’ora del salto dalla città del Novecento alla città del Neoantropocene, la città della prossimità aumentata.

 

Immagine di copertina: disegno di Maurizio Carta

Autore

  • Maurizio Carta

    Professore ordinario di urbanistica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo. È stato assessore al Centro storico del Comune di Palermo. Esperto di pianificazione strategica e rigenerazione urbana. Per le sue ricerche è invitato a tenere lezioni e conferenze in numerose università e istituzioni italiane ed estere. Dirige l’Augmented City Lab, centro internazionale di ricerca-azione dedicato alle città del futuro prossimo. Nel 2015 la Biennale internazionale di Architettura di Buenos Aires gli ha conferito un premio per i suoi studi sulla rigenerazione urbana. Nel 2019 è stato Italian Design Ambassador per il Ministero degli Esteri. È autore di oltre 300 pubblicazioni scientifiche; tra le più recenti, Augmented City (Listlab, 2017), Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino, 2019).

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