Las Condes e Ronchamp, due lezioni imperiture di architettura religiosa
Le influenze di due opere paradigmatiche: la chiesa del monastero benedettino dei monaci Martín Correa e Gabriel Guarda, in Cile, e la cappella di Notre-Dame du haut di Le Corbusier
Published 10 giugno 2021 – © riproduzione riservata
Di recente mi hanno chiesto quanto l’architettura religiosa abbia influenzato la mia formazione di architetto. Per rispondere, mi sono trovato a soffermarmi su due opere religiose paradigmatiche della modernità che rappresentano due lezioni straordinarie di architettura.
La prima è la chiesa del monastero benedettino di Las Condes, costruita in Cile nel 1960 ad opera dei monaci Martín Correa e Gabriel Guarda. La seconda è la cappella di Notre-Dame du haut a Ronchamp, costruita da Le Corbusier a metà del XX secolo. Entrambe costituiscono una fonte inesauribile di apprendimento, a cui ricorro costantemente per abbeverarmi.
A differenza della cappella di Le Corbusier, la chiesa benedettina di Santiago trova la sua origine nella dimensione mistica dello spazio religioso. In essa la liturgia e la sua incarnazione fisica nascono da un processo di studi approfonditi, lunghe riflessioni e dalla preghiera dei monaci-architetti. Questa ispirazione non è stata un ostacolo a un impegno radicale per un linguaggio che ci rimanda inequivocabilmente al Movimento Moderno. L’accostamento di cubi bianchi che si allineano all’esterno contro le montagne, lascia il posto, all’interno, ad una rampa ascendente che termina all’intersezione di due spazi cubici, in un’area di geometria complessa dove un’atmosfera luminosa e diafana inonda il luogo, facendo della luce il principale veicolo all’esperienza del sacro. I monaci benedettini fecero della preghiera e della liturgia lo stimolo per una forma impregnata di trascendenza e al contempo una forma memorabile, ricordandoci quei momenti eroici dell’arte religiosa dove fede, materia e spazio formavano un unico amalgama consacrato a Dio.
Se per gli architetti mistici il “materiale” per costruire lo spazio religioso era la preghiera e la liturgia, per Le Corbusier l’argomento religioso era subordinato all’architettura. In questo caso, le scelte materiche e formali con cui dare luogo al sacro dovevano essere interpreti e riflesso di una nuova era nella storia dell’umanità. E di fatto c’è stato un significativo impegno ideologico nelle scelte costruttive. Ma dobbiamo riconoscere che in Le Corbusier le funzioni liturgiche erano gestite con sorprendente sensibilità, pur avendo come obiettivo principale il suo irriducibile impegno per l’architettura moderna.
“Non conosco”, ci ha detto il maestro, “il miracolo della fede, ma vivo costantemente alla ricerca dello spazio ineffabile, coronamento dell’emozione plastica”. L’architettura religiosa, nelle mani di Le Corbusier, è divenuta un’opportunità con la quale il suo genio e la sua intuizione sono stati messi al servizio della sua dottrina intellettuale. A Ronchamp la densità plastica e materiale, sia dell’interno che dell’esterno, conferiscono all’edificio una forza straordinaria e commovente. All’interno, la luce che filtra nel muro di fori casuali, crea un’atmosfera diffusa e avvolgente che rimanda all’esperienza mistica delle chiese romaniche, straordinaria testimonianza del passato, per me sempre rilevanti. Mentre la chiesa benedettina di Santiago trovava nella liturgia e nella preghiera lo stimolo per una forma impregnata di trascendenza, aderendo al contempo all’Architettura moderna, Le Corbusier, con ragione poetica, ha portato il tema del culto al culto della forma. Tuttavia, ha saputo fare della forma un luogo in cui la ricerca ostinata di uno “spazio dell’ineffabile” permea ogni angolo dell’architettura.
Considerati questi due diversi approcci all’origine del progetto di architettura religiosa, mi chiedo se sia possibile separare il programma e il carattere liturgico dell’edificio dalla sua architettura, o diversamente: è possibile leggere l’edificio religioso a prescindere dalla liturgia che lo ha originato, concentrandosi solo sull’autonomia della sua architettura? Quegli ideali monolitici di materia, spazio e fede che hanno caratterizzato il cristianesimo e particolarmente i movimenti monastici d’Europa tra X e XIII secolo, facendo del gotico il paradigma della mediazione tra Dio e gli uomini, oggi sono definitivamente storia.
In un contesto secolarizzato, come quello in cui viviamo, è particolarmente difficile interpretare il sacro. La religione si è spostata verso la periferia culturale, diluendo la propria rilevanza. Questa disaffezione per il sacro e il conseguente declino del religioso ha portato con sé un progressivo nichilismo. In questo contesto, l’architettura religiosa è vista come un contenitore la cui rilevanza è diversa dal contenuto che contiene.
Credo fermamente che l’architettura abbia leggi proprie e ciò le consenta un’autonomia disciplinare; il che tuttavia non significa rinunciare alle specificità imposte dal programma. Questa possibilità di scindere, nell’architettura religiosa, il piano mistico dalla sua espressione fisica permette altrettanto di separare la lezione e le letture che possiamo trarre da ciascuno di questi piani. Questa comprensione razionale, che ci permette di separare il materiale dallo spirituale, non implica imposizione o antagonismo.
Il desiderio di trascendenza accompagnerà l’uomo finché esisterà e, al di là del ciclo nichilista che ci accompagna, l’architettura religiosa continuerà ad essere una fertile vena di creatività e una lezione imperitura.
Cristian Undurraga (Santiago de Chile, 1954). Già primo premio tra i giovani architetti nel 1977 alla Biennale di Venezia, nel 1978 ha fondato con Ana Luisa Deves lo studio Undurraga Deves Arquitectos con un’attenzione precipua all’architettura sociale e alla committenza pubblica, in un’attenzione peculiare ai contesti geografici e culturali dell’architettura. Nei suoi 40 anni di attività, lo studio ha ricevuto premi in contesti nazionali e internazionali, tra i quali il premio Andrea Palladio (1991), il Pan American Biennial of Quito (2004), la Medaglia d’Oro della biennale internazionale di Miami (2005), il premio della Biennale Latino-Americana (2010), il premio internazionale della Fondazione Frate Sole (2012) per la Capilla del Ritiro (Cile). Oggi lo studio Undurraga Deves sta consolidando la sua esperienza internazionale lavorando alla costruzione del distretto abitativo della università di Los Andes, Bogotà. I lavori dello studio Undurraga Deves sono stati pubblicati in numerose riviste internazionali e in tre monografie “Undurraga Deves Arquitectos” (Somosur, 2008), “Undurraga Deves – work and project” (Ediciones Universidad Católica of Chile, 2000), and “Undurraga Deves” (Pro Arquitect, South Korea, 2006). Cristian Undurraga è stato docente invitato e relatore in molte scuole d’architettura in Cile e all’estero. Più volte tra il 1985 e il 2016 è stato professore di architettura all’Università Cattolica del Cile. Nel 2009 è stato nominato membro onorario dell’American Institute of Arts. Nel 2006 è stato Presidente della Biennale di Architettura del Cile, organizzato dal Collegio degli Architetti.