Immagine di copertina: What is Church? (Tino Grisi + AI Midjourney, 2022)

L’architettura è la vera maestra

L’architettura è la vera maestra

Tra ricerca e didattica, alcune riflessioni sul ruolo dell’architettura liturgica, ricordando monsignor Giancarlo Santi

 

Published 12 dicembre 2022 – © riproduzione riservata

Il 24 novembre, in una fredda ma luminosa mattina milanese, abbiamo salutato monsignor Giancarlo Santi. Nato nel 1944, architetto, è stato il motore, partecipe e discreto, di ogni autentica riflessione sull’architettura liturgica in Italia e ha incarnato la seria possibilità di un approccio aperto e progressivo al tema. Con rammarico non ho potuto dargli la notizia che, qualche giorno prima, la Scuola di Architettura Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano aveva attivato, su proposta del professor Marco Bovati e di chi scrive (partner la Fondazione Frate Sole) il workshop “Church for the Future: architetture spirituali e innovazione urbana”. L’appoggio costante dato al mio lavoro e alla mia ricerca da don Giancarlo aveva sempre individuato nella didattica sulla costruzione di chiese un obiettivo qualificante da raggiungere e sviluppare. Ora, mentre s’accendeva un semaforo verde accademico, lui non c’era più; ma risuona il suo pensiero su cosa significhi “imparare” il progetto di un edificio per il culto: “Non uso l’espressione «architettura sacra» se non in senso convenzionale. La considero pregiudicata e distorcente… A mio parere, il miglior modo per interessarsi di architettura sacra oggi consiste nel favorire in tutti i modi la documentazione e la ricerca… L’architettura è la vera maestra. L’architettura, in concreto, è il fatto decisivo… Perciò è l’architettura che va conosciuta a fondo e studiata incessantemente nella sue molteplici valenze, comprese quelle rituali” (Architettura e teologia, 2011).

Nel 2019, presentando il vocabolarietto Architettura liturgica, indicavo come quel testo volesse approssimarsi alla conoscenza essenziale d’un fenomeno, la progettazione di chiese, invece di tentare l’analisi di suoi estemporanei scopi e influssi. Un passo, dunque, “dalla parte” dell’architettura per lo spazio celebrativo, con il convincimento, base di ogni riflessione scientifica sull’architettura cultuale, per cui lo spazio architettonico della liturgia è “in sé” azione liturgica. Contro ogni assunto di conservazione, per cui non varrebbe la pena agire sulla “liminalità”, e anche “improprietà”, dell’edificare per il rito, poiché un “segno”, comunque pre-assemblato e “sacralizzato”, sarebbe valido a giustificarne la presenza.

Non è l’alone di mistero da perseguire, ma l’osservazione del mistero stesso. Il workshop previsto per il 2023, prima esperienza didattica di questo tipo su tale argomento presso il Politecnico di Milano, si pone l’obiettivo d’introdurre gli studenti alla riflessione sul ruolo dell’architettura liturgica nel produrre opportunità di uso urbano sostenibile nella metropoli contemporanea. Affronterà il tema di una presenza dell’“invisibile” nei processi di espansione e riqualificazione delle città, in considerazione dell’idea per cui, non vivendo più in un mondo univoco e inclusivo, le architetture della fede non sono meri elementi simbolici d’una comunione tra umano e divino che non si riesce più a percepire, bensì possono diventare nodi accoglienti e raccolti di nuova spiritualizzazione umana e ambientale. L’abitato intero e la vita che in esso si svolge, divenendo fonti di esperienze percettive, emozionali e comunicative in continua evoluzione, non possono dimenticare la rappresentazione spirituale dell’uomo. Bisogna, perciò, stimolare nello studente una visione aperta e non conformista dell’edificio liturgico e presentare la possibilità, all’architetto, di comprendere le esigenze autentiche dei credenti e dei non ancora credenti d’oggi, in modo da farle diventare, nel tempo, un vero insieme vivente.

Metodologicamente, per il raggiungimento dell’obiettivo cognitivo, si procederà considerando liturgia e architettura come dei flussi in continuo movimento, dove la genesi del luogo-celebrazione non è il frutto di un’imposizione funzionalista o di un ilomorfismo, bensì della loro corrispondenza trasduttiva. Vi sono aspetti comunicativi e spaziali che lo studio dell’architettura per il culto cristiano può disvelare attraverso una vigorosa ricerca di radicali immagini significanti le quali, consce del passaggio transeunte della grazia divina, si rivelano null’altro che quanto esse sono: monumento in grado di offrire spazio alla vita (Rudolf Schwarz). La comprensione delle “figure di chiesa” aiuta, non a cogliere una vaga eco simbolica ma, invece, ad afferrare la disponibilità reale di “immagini veritiere” quali archetipi dello stare-insieme della comunità che le percorre e le ricrea, ogni volta, come “immagini abitabili”.

Scopo di un’esercitazione condotta con gli studenti del corso di “Caratteri tipologici” (professor Filippo Orsini) è stato, per esempio, verificare la comprensione dell’articolazione spaziale di un’architettura di rilievo urbano come il centro parrocchiale nel quale si configurano, allo stesso tempo, il distanziamento dall’intorno e la prossimità tra i fruitori. Studiando la pianta e la collocazione urbana di alcuni complessi chiesastici progettati e costruiti da Emil Steffann, veniva richiesto di predisporre diagrammi interpretativi dello spazio architettonico in modo da distinguere: limite di relazione con l’intorno urbano, zone intermedie di comunicazione e preparazione, passaggi di attraversamento, ambiente per la celebrazione. È così possibile valutare il “gradiente spaziale”, cioè la progressività degli spazi conducente dall’aperto cittadino, attraverso porzioni intermedie, fino all’interno della chiesa, distinguendo altresì, in quest’ultimo, gli ambiti di soglia e le eventuali sfere di servizio.

L’architettura liturgica è frutto di un processo di “ritorno” ed “elevazione” nella disponibilità del soggetto a retrocedere dalla sua idea, affidandola alla comunità e lasciandola vivere nel tempo. È un momento in cui bisogna eliminare il pregiudizio e quasi “disimparare” i canoni. In questa maniera anche il costruire per la Chiesa può dichiarare il nuovo e riconoscerlo, metterlo in campo, crearlo mentre lo manifesta: fare arte nuova per il mondo nuovo, senza distaccarsi da quello arrivato finora. Si deve, in qualche modo, “neutralizzare” la cultura dell’abitare la chiesa, in modo che lo spazio nasca per assemblaggio, accostamento, movimento, sostenedo la forza della liturgia senza suscitare nostalgie. Bisogna inventarne di nuovo la vita per riprenderla ogni volta in presa diretta (Ettore Sottsass). Proprio qui la ricerca e la didattica possono innestarsi e porre un vivo punto di ripartenza.

 

 

Autore

  • Tino Grisi

    Nasce nel 1964 e si laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna e il Master di II livello in Progettazione e adeguamento di chiese alla Sapienza di Roma. Nel corso degli ultimi vent’anni ha svolto attività professionale e di ricerca occupandosi di progettazione dell’architettura per il culto cristiano, documentata nella sua ultima pubblicazione Mystical Body (2022). Ha tenuto interventi, lezioni e corsi nelle università Hochschule Anhalt di Dessau, Technische Universität di Dresda, RWTH di Aquisgrana e al Politecnico di Milano

    Visualizza tutti gli articoli