La natura virtuale, un analgesico per i luoghi di cura
I principi del design biofilico rappresentano un ancoraggio per agire sullo spazio affinché possa diventare ambito di gestione del disagio psicofisico
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Nei contesti ospedalieri, in tempo di Covid-19, le strategie di progetto per favorire il benessere e la gestione dello stress di pazienti e operatori diventano temi d’intervento cruciali anche per facilitare la predisposizione di ambienti in grado di sostenere i cambiamenti in corso nel modo in cui si opera, si comunica, s’interagisce, si cura. In tal senso, i principi del design biofilico rappresentano un ancoraggio per agire sullo spazio affinché possa diventare ambito di gestione del disagio psicofisico ma anche di resistenza alle strettoie vitali che il virus ha imposto e continua a imporre.
Il Mount Sinai Hospital a New York, in collaborazione con lo Studio Elsewhere, ha introdotto la Frontline Strong Relief, una sorta di cordone di ammortizzazione dello stress a supporto dell’area della terapia intensiva, dove è possibile sostare in “recharg rooms” biofiliche frutto della riconversione di alcuni ambulatori e sale d’attesa in spazi multisensoriali con grandi schermi che proiettano video di ambienti naturali. La personalizzazione del tempo e dello spazio “di ricarica” prevede anche la scelta dello smellscape e del soundscape preferito. Il progetto si è poi esteso ad altri due ospedali, il Beth Israel e il Mount Sinai West, ed è prevedibile che si espanda in altri contesti.
Il contributo in termini di benessere e di gestione dello stress e del dolore, legato all’inserimento di elementi di verde e/o di forme, pattern, immagini mutuate dal mondo vegetale e animale, così come il ricorso ai suoni e agli odori della natura, è un dato consolidato già a partire dalle ricerche condotte nei primi anni ’80 da Edward O. Wilson, padre del design biofilico, e da Roger Ulrich sul verde “analgesico”. Guardare la natura, toccarla, ascoltarla, sentirne l’odore può ridurre lo stress di pazienti e operatori e migliorare il tempo di recupero post operatorio, anche quando lo stimolo è solo un’immagine su uno schermo, come sta avvenendo nella recente esperienza newyorkese.
Il beneficio dato da questa natura virtualizzata si concretizza anche in un ambito – apparentemente molto diverso – che si riconnette in modo inedito e sempre più pressante sia al benessere lavorativo sia alla capacità del comfort ambientale d’incidere nell’esperienza di relazione medico-paziente: quello della videovisita. Il consulto via web con il medico sta sostituendo molte prestazioni in presenza, con alti livelli di soddisfazione da parte di operatori e pazienti. La trasposizione del proprio “essere” lavorativo in prodotto audiovisivo sta comportando una velocissima socializzazione degli smart workers a temi quali la giusta inquadratura, la corretta illuminazione, la gestione dei rumori ambientali, gli equilibri estetici delle pareti. Tutti ambiti che, se in una fase di accelerazione delle prassi di digitalizzazione delle relazioni lavorative sono stati elaborati “real time”, sono già diventati istanze ineludibili nell’orientare il design degli spazi di lavoro collettivi e privati. La quinta virtuale che c’incornicia durante una videochiamata diventa un nuovo e potente ambito per veicolare l’immagine personale e professionale e si offre come piattaforma ideale per la comunicazione di corporate identity. Gli scenari naturali risultano essere fra i preferiti, se si considera il volume di download d’immagini scaricate allo scopo, anche grazie alla caratteristica che gli è propria di essere piacevoli alla vista ma non distraenti rispetto al contenuto dell’informazione verbale veicolata. Nella videovisita si può ipotizzare che posizionare le postazioni di lavoro a favore di fonti di luce naturale in grado di aumentare la qualità dell’immagine in video, o introdurre elementi di verde sul fondo, rendano l’interazione fra medico e paziente più efficace e meno ansiogena.
Durante le videovisite effettuate nell’Ospedale Fatebenefratelli sull’isola Tiberina a Roma [immagine di copertina], alcune pazienti della Breast Unit hanno osservato divertite il verso dei gabbiani che proveniva dalle finestre aperte dell’ambulatorio da cui si stava effettuando la prestazione online, suono che caratterizza il soundscape dell’Ospedale e che già in passato era stato indicato dai pazienti come elemento di valore in termini di distrazione e riconnessione con il mondo esterno, insieme alla vista sul fiume Tevere.
Negli spazi della futura “città aumentata” del Neoantropocene, così come auspicata da Maurizio Carta, anche l’organizzazione degli ambienti indoor dovrà aumentare le proprie potenzialità di trasformazione e di polifunzionalità, al fine di sviluppare una capacità di rispondenza degli spazi, in particolare di quelli di lavoro, alle esigenze di rimodulazione delle dinamiche alla base della nostra interazione con l’ambiente, che vanno da quelle prossemiche, a quelle percettive, a quelle legate alla capacità del sistema fisico e relazionale che ci circonda di aiutarci ad assorbire lo stress e a gestire le nostre performance lavorative. E proprio in tal senso il mondo naturale, ancora una volta, può continuare a essere un bacino di stimolazioni creative in grado di migliorare lo spazio interattivo reale e virtuale.
Fiammetta Pilozzi è ricercatrice presso l’UNIDA di Reggio Calabria, dove insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi. Si occupa di alfabetizzazione ecologica, di comunicazione visiva della salute e health literacy, studiando il ruolo del design biofilico e della bioempatia negli ambienti di lavoro e nei luoghi di cura.
Simona Totaforti è Professore associato di Sociologia urbana presso l’UNIDA di Reggio Calabria e dirige ReLab – Studies for Urban ReEvolution. Tra i suoi temi di ricerca: il design biofilico, la progettazione del paesaggio e la progettazione evidence-based.