Khartoum: costruzione e distruzione di una moderna città africana

Khartoum: costruzione e distruzione di una moderna città africana

Devastata dalla guerra civile che sta insanguinando il Sudan, Khartoum è città emblematica delle realtà africane. Un drammatico racconto della ricercatrice e attivista Amira Osman

 

Published 12 luglio 2023 – © riproduzione riservata

Khartoum è, era, una città che nella sua storia recente non aveva conosciuto scontri o conflitti. Ora è invece ostaggio di una guerra civile tra forze militari rivali. La città è sempre stata un centro di creatività. È stata insignita del titolo di Capitale araba della cultura nel 2005. Nonostante la sua cultura, araba appunto, la capitale del Sudan è anche molto africana: una tensione d’identità – coloniale britannica, africana, islamica – che ha fatto di Khartoum un unicum. Questa triplice eredità si riflette potentemente nella composizione di Greater Khartoum, composta da tre diverse città separate da fiumi e connesse con una rete di ponti. Omdurman è considerata la capitale nazionale, simbolo dei valori del popolo, mentre Khartoum è la capitale amministrativa e Bahri (o Khartoum Nord) la città industriale. Insieme, sono conosciute semplicemente come Khartoum.

In una stretta fascia della città, larga circa 20 km, tra i fiumi Nilo Azzurro e Bianco, si trovano l’aeroporto e il quartier generale militare. Intorno ci sono densi quartieri residenziali. Proprio qui, molti abitanti hanno dovuto evacuare le loro case poiché questa stretta striscia è stata tra le prime ad essere occupate. Il resto della città è adesso devastato, su vasta scala.

Sono una studiosa di architettura sudanese, nata e cresciuta a Khartoum da padre architetto. La distruzione della mia città natale mi ha fatto riflettere sulla sua costruzione. Ciò che si sta perdendo è molto più che “semplici” edifici. È anche la speranza delle persone in un futuro per il quale hanno lottato e sperato.

 

Città di speranza

Come molte città africane, Khartoum è infatti divisa in sacche di ricchezza e di povertà. Nell’ultimo secolo il divario si è notevolmente ampliato. La città ha caratteristiche geografiche uniche che possono diventare opportunità di sviluppo futuro. Le più significative sono al mughran (la confluenza), il punto d’incontro dei due tratti di Nilo, e l’isola di Tuti. Offrono molti affacci sul fiume, dando grandi opportunità ai cittadini. Attività formali e informali si sono sviluppate lungo i waterfront, così come occasioni di natura culturale e d’intrattenimento. Questo ha prodotto alcuni eventi innovativi come fiere del libro all’aperto e mercati d’arte, come anche iniziative più formali e ben finanziate, che a volte hanno portato a conflitti a causa degli interessi contrastanti.

Khartoum poteva essere vista come una realtà di speranza e di apertura. Uno studio del 2003 su sicurezza e criminalità in diverse città africane affermava che a Khartoum la religione funzionava da deterrente per le attività criminali. La Grande Khartoum vantava infatti un basso tasso di criminalità rispetto alle altre grandi città del mondo. Nonostante una dittatura e una rivolta popolare, il Sudan era più sicuro di quanto i visitatori si aspettassero. “Anche i suoi colpi di stato militari sono stati letargici e incruenti”, ha scritto un giornalista sudanese, parlando di una Khartoum “egoista” perché pacifica anche quando il paese le bruciava intorno.

Forse la città, situata nel centro del Sudan, non ha mai avuto davvero una possibilità di pace duratura considerando le sue tumultuose aree periferiche. Oggi ci appare come una città fantasma, fatta di case abbandonate, cecchini e cadaveri per le strade. La milizia ne sta occupando la grande parte, trasformando i residenti in scudi umani, mentre l’esercito li attacca dal cielo.

 

Paesaggio in cambiamento

Alla fine degli anni ‘80 e ‘90 molti sudanesi istruiti hanno lasciato il paese proprio a causa dell’instabilità politica, degli alti tassi di disoccupazione e delle difficoltà della vita quotidiana. Eppure, come molti africani della diaspora, non hanno mai perso il contatto con il paese d’origine. In questo periodo, i regolamenti edilizi sono cambiati e Khartoum è diventata più densa. I lotti precedentemente pianificati per edifici unifamiliari a un piano sono stati trasformati per ospitare blocchi edilizi di 3 o 4 piani, la città è cresciuta in altezza.

Il mercato immobiliare si è trasformato per accogliere i nuovi arrivati e importanti sono state le iniezioni di denaro dai sudanesi all’estero. Uno studio sulle migrazioni stimava che nel 2013 fossero stati inviati in Sudan dall’estero circa 424 milioni di dollari statunitensi, lo 0,65% del prodotto interno lordo. Gran parte di quei fondi è stato utilizzato per sviluppare proprietà immobiliari a Khartoum, sia per l’affitto che per l’uso familiare, ma anche per realizzare abitazioni di residenti all’esterno per le loro visite annuali in patria o in previsione del loro pensionamento e quindi di un ritorno definitivo.

In un paese con sistemi e istituzioni compromesse e poche opportunità per altre forme d’investimento, i sudanesi hanno investito molto nel “mattone”. Qui il reddito da locazione è per molti cittadini – o meglio, era – l’unica forma di finanziamento della pensione. Il contesto sociale e politico sudanese durante la formazione del Movimento moderno tra 1900 e 1970 ha influenzato in modo profondo lo sviluppo dell’architettura di Khartoum. Ha portato a un’identità precisa, basata su forme che si sono adattate alle condizioni climatiche, nonché alle esigenze socio-culturali degli abitanti. Fasce di cemento armato, profonde verande, ampi balconi e pannelli di mattoni faccia a vista si sono imposti come caratteri architettonici di molte abitazioni della città. Col passare del tempo, queste case sono diventate organismi edilizi a più piani, con processi che hanno portato anche a mix funzionali.

Un architetto sudanese, Omer Siddig, ha svolto un ruolo significativo nello sviluppo dell’identità architettonica della città. Omer è mio padre, con lui mi sono formata per molti anni, ora sta scrivendo un libro ricercando nel suo archivio sugli edifici di Khartoum. Dall’osservatorio della sua impresa (che per 20 anni ha fornito soluzioni edilizie per esigenze familiari dinamiche) mi spiega come sia emersa una forma così particolare di sviluppo residenziale: “Il modello che si è evoluto è stato adottato e replicato ampiamente; consentiva alla famiglia di occupare la parte del piano terra mentre i livelli superiori comprendevano appartamenti ad uso dei figli della famiglia in occasione del matrimonio. Questo sistema ha replicato il modello delle case delle famiglie allargate nelle aree rurali da cui proveniva la maggior parte dei residenti di Khartoum. Ciò ha permesso alle case di incorporare appartamenti destinati agli affitti ai piani superiori senza compromettere la privacy dell’abitazione principale”.

 

La perdita

Quindi, mentre la città viene distrutta, ci si deve anche interrogare sulla perdita di tutto ciò che le persone hanno acquisito nel corso della loro vita e su quali saranno le conseguenze di questo processo. Lasciare Khartoum significa abbandonare beni, opportunità di reddito, accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Significa una crisi umanitaria di enorme portata che interesserà non solo il resto del Sudan ma l’intera regione poiché oltre 6 milioni di persone stanno perdendo tutto quello che avevano. Una guerra a Khartoum non vuole soltanto dire persone sfollate ed edifici e infrastrutture distrutte, ma anche la perdita di un ricco patrimonio. Gli abitanti hanno perso vite, mezzi di sussistenza, comunità, innovazioni uniche, lo stesso senso di appartenenza al luogo e alla sua identità, e quella sensazione di rifugio che la città poteva offrire. È la perdita della speranza all’interno di un sogno di ciò che avrebbe potuto essere.

 

La versione originale di questo articolo (che l’autrice ci ha concesso di tradurre) è stata pubblicata il 22 maggio – con il titolo Khartoum: the creation and the destruction of a modern African city – sul sito theconversation.com 

 

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