Immagine di copertina: Giovanni Astengo e altri, quartiere INA-casa alla Falchera, Torino (1951-60)

Italia, 2024: famiglie senza casa e case senza abitanti

Italia, 2024: famiglie senza casa e case senza abitanti

Paradossi, colpevoli dimenticanze e mano libera al mercato. Da oltre mezzo secolo la casa è scomparsa o quasi dalle politiche pubbliche. Con esiti che pregiudicano, oggi più che mai, la coesione sociale delle nostre città

 

Published 18 marzo 2024 – © riproduzione riservata

Nel secolo scorso la casa economica è stata un formidabile campo di sperimentazione e innovazione per i maestri del Movimento moderno. Quartieri di alta qualità urbanistica e architettonica ne sono stati gli esiti, proponendosi come strumenti di giustizia sociale. Attualmente questa fase sembra esaurita e il problema della casa, a distanza di quasi 180 anni dalla denuncia di Friedrich Engels (La situazione della classe operaia in Inghilterra, Londra 1845; trad. it. Editori Riuniti, Roma, 1975), non solo non è risolto, ma è sempre più attuale, sia nei paesi poveri, sia nelle ricche città del nord del mondo.

 

La casa popolare? Da 30 anni non esiste più

Si tratta di una situazione testimoniata da numerosi articoli recenti, dedicati agli Stati Uniti. Tra questi, Il lato oscuro degli Stati Uniti: l’esercito dei 600mila senza tetto nelle grandi città, pubblicato da Marco Valsania e Luca Veronese su «Il Sole 24ore» (30 agosto 2023), oppure, nello stesso frangente, un articolo di Elisabetta Grande. In Italia, i significativi interventi di edilizia popolare del dopoguerra e degli anni settanta e ottanta, si sono esauriti a seguito della ventata iper-liberista guidata da Ronald Reagan e Margaret Thatcher.

Tra il 1996 e il 1998 scompare dal bilancio dello Stato ogni finanziamento per l’Edilizia residenziale pubblica (ERP) ed è abrogata la legge sull’equo canone. Con il decentramento amministrativo, le competenze in materia di ERP (e del settore dell’assistenza sociale) sono demandate alle Regioni, senza trasferimento di risorse, lasciando che sia il mercato ad agire indisturbato. Sciolti gli Istituti Autonomi Case Popolari (IACP), i nuovi enti territoriali (ATER, Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale) devono trovare in autonomia i finanziamenti per le ristrutturazioni e per le nuove costruzioni. L’esito è l’aumento dei canoni di affitto, l’abbandono al degrado e la svendita di una cospicua parte del patrimonio immobiliare pubblico. Nonostante non esista una banca dati nazionale sul numero complessivo di alloggi popolari, si stima che gli alloggi ERP costituiscano circa il 4% dello stock abitativo complessivo del nostro Paese. Una percentuale che pone l’Italia agli ultimi posti in Europa, molto inferiore a quella di altre nazioni europee, come la Francia (16,8% del totale degli alloggi) e il Regno Unito (17,60% del totale degli alloggi), per non parlare dei Paesi del nord Europa, dove il patrimonio pubblico è intorno al 20%.

 

Fondi PNRR per l’housing, un’illusione

I dati reperibili alle stesse fonti giornalistiche sopra citate riportano circa 758.000 alloggi ERP, di cui 652.000 assegnati regolarmente. Le domande di case popolari da parte di famiglie in attesa, senza prospettiva di assegnazione, sono all’incirca lo stesso numero. Sarebbe quindi necessario almeno il doppio del numero di alloggi popolari esistenti. Il “disagio abitativo” coinvolge anche studenti, persone sole e famiglie che affittano sul mercato libero con canoni che pesano per il 40-50% del reddito, aggravati dall’aumento dei costi per l’energia.

Gli interventi sono ormai svolti prevalentemente da soggetti privati, imprenditori, gruppi immobiliari, organismi no-profit, banche e fondazioni, incentivati tramite riduzione di oneri di costruzione e di urbanizzazione, detrazioni fiscali, cessione di diritti edificatori (costruire in cambio del potere di costruire). Questo social housing è destinato a soddisfare le esigenze abitative di un settore sociale intermedio in grado di pagare affitti e mutui per valori di poco inferiori a quelli del libero mercato e di garantire quindi una redditività modesta, ma sicura.

Dopo la crisi del 2007-08 originata dallo scoppio della bolla del mercato immobiliare americano, si sono registrati interventi che hanno premiato costruttori e proprietari, ma che non hanno riguardato l’edilizia pubblica.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) finanziato dall’Unione Europea prevede un Programma innovativo nazionale di qualità dell’abitare (PINQUA) per il rafforzamento dell’housing sociale e per la rigenerazione urbana, tuttavia le complessità burocratiche e la debolezza degli uffici tecnici di molte amministrazioni rendono questi progetti difficilmente realizzabili. Il dibattito recente intorno alla revisione del PNRR non sembra porre il tema della riqualificazione delle periferie e la condizione abitativa al centro delle attenzioni del governo. Secondo documentazioni parlamentari della Camera dei Deputati del 28 luglio 2023, molti programmi sono stati parzialmente stralciati per allocare le risorse previste a favore di misure per il contrasto alla povertà energetica e per la riqualificazione energetica del patrimonio pubblico.

 

Servono nuove visioni, è un’emergenza sociale

Nel frattempo, la povertà è in aumento e tocca la cifra record di quasi 6 milioni di persone, di cui circa 100.000 sono in condizione di fragilità, che intreccia il disagio abitativo con il disagio sociale. Crescono anche gli sfratti, le abitazioni precarie e le occupazioni abusive. Gli incentivi all’acquisto della casa e la detassazione della proprietà portano l’Italia ad essere uno dei paesi europei con il più alto numero di proprietari di case, aspetto che contribuisce a sclerotizzare una società sempre più conservatrice: secondo uno studio di Nomisma/Federcasa (Dimensione del disagio abitativo pre e post emergenza Covid-19, Numeri e riflessioni per una politica di settore; maggio 2020), più del 70% delle famiglie italiane vive in casa di proprietà, solo il 20% in affitto.

Inoltre, una rilevante percentuale dello stock abitativo è inutilizzato. Nel 2019 a Roma era inabitato l’11,5% delle abitazioni, a Milano l’11,9%, a Napoli il 20,3%, a Torino il 18% e a Bologna il 12% (dati ISTAT, anni 2020, 2021, 2022). L’accesso alla casa per i settori sociali più deboli non è più una priorità politica. Ormai è esperienza comune vedere persone che dormono in giacigli di fortuna, per strada, sotto i portici.

Il problema della casa è un problema sociale e sistemico, per affrontarlo è necessario avviare una politica volta a riqualificare le periferie, a sanare il patrimonio pubblico degradato e ampliarne la consistenza, a promuovere e calmierare gli affitti, tutelando la piccola proprietà, come spiega efficacemente Sarah Gainsforth, nell’articolo Il problema della casa. Vincitori e vinti del mercato immobiliare. Le risorse possono venire dalla tassazione fortemente progressiva della proprietà privata e dall’acquisizione pubblica delle rendite urbane.

Non si tratta di utopia, ma di un percorso praticabile, come dimostra il caso di Vienna che ha saputo continuare una tradizione d’impegno sul tema della casa popolare, iniziata negli anni venti del secolo scorso [nell’immagine a fianco, il Karl Marx Hof, progettato da Karl Ehn, 1927-30]. Nella capitale austriaca il 43% degli alloggi è di proprietà pubblica e l’80% degli abitanti ha diritto ad un alloggio popolare, con affitti che incidono mediamente intorno al 20% del reddito degli assegnatari. I contratti sono stabili, con sussidi per studenti e persone in difficoltà, e sono rivolti anche alla classe media, migliorando così la vita nei quartieri di edilizia popolare. Una condizione ben descritta da Francesca Mari (Una casa per tutti, in «Internazionale», n. 1519, 7 luglio 2023).

Riconsiderare le vicende dell’architettura contemporanea nell’affrontare la questione delle abitazioni, discuterle e studiarle nelle scuole di architettura e ingegneria, sui giornali e sulle riviste è un contributo per tornare a considerare l’accesso a una casa decente, a costi contenuti, un diritto per tutti e una responsabilità per chi si occupa di progetto.

 

Autore

  • Guido Montanari

    Architetto Ph.D in Storia dell’architettura e dell’urbanistica, è docente di Storia dell’architettura contemporanea presso il Politecnico di Torino. Ha condotto ricerche e scritto sulla storia dell’architettura e della città. Già assessore all’urbanistica a Rivalta di Torino (2012-16) è stato vicesindaco e assessore alla pianificazione di Torino (2016-19). Un bilancio di questa esperienza si trova nel suo ultimo libro Torino futura. Riflessioni e proposte di un ex vicesindaco (Celid, 2021). Sul tema della casa popolare è in corso di stampa il volume La casa dei poveri. Breve storia dell’edilizia popolare dai quartieri operai alla crisi attuale (Rosenberg & Sellier, Torino 2024)

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