Georges Rouault, Christ et disciples

Il sacro non può essere insegnato, deve essere scoperto

Il sacro non può essere insegnato, deve essere scoperto

Il sacro non può essere oggettivato nella metodica didattica di tipo storico o progettuale che l’università è chiamata a fornire

 

LEGGI GLI ALTRI CONTRIBUTI DELL’INCHIESTA «SACRA DIDATTICA IN LAICA UNIVERSITA’»

 

Published 1 marzo 2023 – © riproduzione riservata

Con la copertina del numero 4-5 del 1947, l’«Art sacré» già indicava la necessità di una ricerca del sacro, ovunque, non solo nei luoghi ritenuti deputati in ambito cristiano.

Desidero sintetizzare qui la mia posizione sul tema, certamente parziale, come lo è del resto ogni offerta di esperienza vissuta, ma aperta al confronto. Un’esperienza d’insegnamento e ricerca ormai di 40 anni, nella quale sui due fronti ho tenuto vivo quanto più possibile quell’universo di fatti, sentimenti e comportamenti cui si dà il nome di sacro.

Per me, architetto di appartenenza cattolica, si è trattato soprattutto di architettura degli edifici per il culto, più in generale, in termini molto equivoci ma di un consolidato e pervicace uso comune – come hanno detto in molti, e particolarmente anni fa e con lucida precisione monsignor Crispino Valenziano (“Sei tesi sull’arte cristiana”, in Profezia di bellezza. Arte Sacra tra memoria e progetto. Pittura, Scultura Architettura, CISCRA, Città del Vaticano, 1996) – di arte sacra.

 

Il sacro: esperienza di una distanza

In senso etimologico, è sacro ciò che viene staccato, nello spazio e nel tempo, dallo scorrere “normale” del vivere di uomini e cose, qualcosa che questo scorrere non com-prende poiché se ne distingue come un’emergenza o una differenza, pur essendo esperienza percepita ed esplorabile. Pur oggettivandosi in cose e fatti, il sacro è infatti in senso stretto esperienza, personale e condivisibile, di una distanza tra lo scorrere di cui sopra e l’emergenza che si distingue come separatezza che può concretizzarsi in legami, cioè religio, o in loro anarchico rifiuto. Esso si comunica in simboli e immagini (e si vedano le opere imprescindibili di Mircea Eliade e di Julien Ries, per l’universo cristiano) che assumono nel tempo decisa valenza collettiva: i simboli infatti maturano in quanto condivisi e le immagini personali possono dar luogo a un immaginario collettivo.

Molte e distinte discipline hanno affrontato l’argomento nel corso del XX secolo. Approdiamo qui a problemi d’architettura e di arte che non possono essere affrontati, all’interno della nostra cultura di matrice “europea”, che entro ambiti disciplinari molto vari, come recentemente hanno sottolineato anche Stefano Biancu e Andrea Grillo in Il simbolo. Una sfida per la filosofia e per la teologia (edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2013).

 

“Sacra didattica in laica università”: uno slogan banale

Propriamente però, a mio parere, il sacro non può essere insegnato; deve essere personalmente scoperto e almeno tentativamente condiviso con altri. È fattore fondamentale della vita all’interno delle diverse confessioni religiose, il cui cuore è però sempre una credenza che lo “supera”. É fatto essenziale anche nelle più alte e lucide esperienze di cultura. Lo è ad esempio nella grande arte, che possiede la propria sacralità: non è per questo che abbiamo inventato, non da oggi, i musei e i processi di tutela, conservazione, restauro della migliore produzione della nostra civiltà?

Non ha senso a mio parere parlare di “sacra didattica in laica università”. Lo slogan è banale: l’università è istituzione pubblica che offre strumentazioni per attività professionali e di ricerca scientifica; la contrapposizione sacro e laico non ha fondamento, tantomeno retorico.

Una didattica seria, anche quando in una Facoltà di Architettura si affronta, ad esempio, l’edificio chiesa dal punto di vista storico o progettuale, non può sfuggire alla sua analogia con altri edifici, come la scuola, il teatro, il palazzo comunale. Si tratta sempre di uno spazio pubblico fondato su un accordo tra chiesa e stato. Il che vale per le chiese cattoliche, per quelle riformate, per le sinagoghe, per le moschee. Tutto ciò che l’edificio e la sua realizzazione chiedono, in termini di linguaggi e tecniche, è cultura socialmente condivisa. Questo insieme di argomenti non riguarda solo la sua costruzione ma, anche, tutto l’arredo e l’oggettistica connessa.

La specificità dei “significati”, come il senso del luogo chiesa e dei comportamenti ad essa connessi, non può essere certo scisso da questa grande premessa, ma quest’ultima costituisce sapere imprescindibile che l’università è chiamata a fornire. Il senso antropologico e sacro può e deve essere proposto con la discrezione di chi sa di toccare problemi di coscienza personale e di opzioni profonde e complesse. Esige a sua volta competenze specifiche se lo si vuole affrontare in modo più approfondito. Sto parlando di esperienze, di situazioni e rapporti con colleghi che ho positivamente vissuto in seminari, convegni, scambi interuniversitari come accaduto nel lavoro raccolto in particolare nel volume Cultura e socializzazione nelle città europee del terzo millennio (a cura di A. Piva, M. A. Crippa, P. Galliani. FrancoAngeli, Milano, 1977).

 

Il sacro non è astrazione concettuale

Il sacro può essere partecipato in quanto vissuto personalmente, ma non oggettivato in una metodica didattica di tipo storico o progettuale. Perché una didattica deve fornire conoscenze di base, scientificamente elaborate anche in esperimenti entro precisi contesti disciplinari, non imporre esperienze a carattere antropologico primario. La didattica seria non può uscire dagli orizzonti disciplinari se si vogliono, da parte di chi insegna, aprire spiragli al sacro. Questo perché il sacro sta dentro le civiltà e le culture come componente fondante, corrisponde inoltre a un modo preciso di concepirsi da parte degli uomini. Non è una astrazione concettuale.

Intendo così affermare con convinzione che il sacro è, nella coscienza umana, senso religioso nel quale si costruiscono le culture, i miti, i riti, i punti di riferimento o orientamento dei popoli. Dunque è essenziale coglierne i nessi con la propria attività, compresa quella d’insegnamento, e con le proprie ricerche per riversarvi la sua ricchezza umana.

 

Autore

  • Maria Antonietta Crippa

    Architetto e già professore ordinario di Storia dell’architettura al Politecnico di Milano, dirige più collane di volumi d’architettura ed è membro dei comitati scientifici delle riviste “Munera” e “Arte cristiana”. É direttore scientifico di ISAL e della sua rivista istituzionale. Accademico corrispondente dell’Academia de Bellas Artes Sant Jordi di Barcellona e accademico della Pontificia Insigne Accademia Belle Arti e Letteratura Virtuosi al Pantheon nella sezione Architettura, Roma. Autrice di circa 450 pubblicazioni. Tra i suoi libri più recenti: con F. Caussé, Le Corbusier, Ronchamp (Jaca Book, 2014); Avvicinamento alla storia dell'architettura (Jaca Book, 2016); con F. Zanzottera (a cura di), Fotografia per l’architettura del XX secolo in Italia (Silvana, 2018); con P. Cimbolli Spagnesi e F. Zanzottera, Arturo Danusso e il suo tempo. Intuito e scienza nell'arte, (Quasar, Roma 2020); La Sagrada Familia. Sfide di un cantiere in costruzione, Jaca Book, Milano 2021; Ornato e architettura per la liturgia 1 - Gaudì; Ornato e architettura per la liturgia 2 - Da Le Corbusier a Caccia Dominioni, in: D. Lisi (a cura di), L’ornato liturgico e l’architettura cultuale, Gangemi, Roma 2022. Antoni Gaudì Eladio Dieste, Semi di creatività nei sistemi geometrici, Torri del vento, Palermo 2022. Ha svolto saltuariamente anche attività professionale, in particolare nel campo del restauro.

    Visualizza tutti gli articoli