Il risveglio del designer incapsulato

Il risveglio del designer incapsulato

 

Il Covid-19 ha (forse) riabilitato l’umanità del designer, (sicuramente) ridimensionandone l’autocelebrazione: i cinque fattori riemersi nell’emergenza

 

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L’isolamento fa bene. Non solo per spezzare la catena dei contagi. L’isolamento innesca benefiche riflessioni e virtuose strategie per ripensare la professione. Siamo abituati a ricevere centinaia di comunicati. Abbiamo provato a cimentarci in un esercizio divertente: pescare e analizzare parole chiave da tutti i comunicati che avevano in oggetto o nel corpo degli allegati le parole “design” e “Covid-19”. Dal 21 febbraio ad oggi, almeno in Italia, il design si è denudato, rivestendosi in poche settimane di umanità e umiltà. I risultati sono stati accorpati e commentati in cinque aggregazioni tematiche. Infettiamoci.

 

Presenza

Le parole chiave registrate sono: “restiamo attivi”, “continuano regolarmente le nostre attività”, “aperti per Covid-19”. Anche studi professionali e società che non hanno mai espresso la necessità di comunicare la loro esistenza (o almeno così assiduamente), sono in prima linea nel trasferire orari e aperture virtuali, nonché la messa a disposizione di assistenti individuali. Anche gli ultimi, studenti in primis, possono sperare di stabilire un contatto con le strutture di progettazione d’interesse. A dispetto dei fiumi di email scaricati in passato in mare aperto senza mai ricevere una risposta. Scendere dall’Olimpo, quindi, si può. Questa è una delle piccole rivoluzioni del Covid-19. Caveat: il mestiere del designer è innanzitutto un servizio.

 

Insieme

Le parole chiave registrate sono: “X si organizza e vi accompagna”, “verbo+together”, “usiamo il nostro tempo per -verbo- insieme”. Il virus ha riacceso di colpo lo spirito collaborativo. Tra designer e designer, innanzitutto, facendo cadere barricate di narcisismo. Tra designer e imprese non classificabili come creative. Tra designer e istituzioni. Tutti abbiamo riscoperto interesse per la Sanità, non solo come destinataria di fondi, ma come settore con il quale si può avviare un dialogo che va ben oltre gli appalti e le leggendarie voragini. La frase che ci ha colpito di più è “usiamo il nostro tempo per progettare insieme”. Le cose, la società, il futuro. Non è una semplice accelerazione verso un mondo basato sul co-design. Caveat: together is better.

 

(Ri)conversione e autoproduzione

Le parole chiave registrate sono: “X arresta la produzione e inizia a realizzare…”, “dispositivi di protezione stampabili in casa”, “come realizzare DPI con un semplice…”. Si sa. In tempi di emergenza, chi può (e sa) deve contribuire. Alcuni lo fanno per non fermare le macchine. Altri per acquisire indirettamente una nuova immagine e posizione sociale. Altri perché vedono nell’annullamento del profitto una sorta di remissione dei peccati. I designer hanno contribuito dal punto di vista strategico e organizzativo, non solo tecnico. E molti di loro si sono spinti nei campi dell’autoproduzione: “dal custom-made” al “ready-made”, mi ingegno con quello che ho. Per anni abbiamo pensato che questo tipo di approcci fosse destinato solo a due mondi: quello museale e quello delle periferie del pianeta, abituate a fare dello scarto una risorsa. Oggi immaginiamo e testiamo ventilatori polmonari concepiti e funzionanti assemblando tubi e membrane commerciali, innestandoci al massimo un po’ di solidi di connessione stampati in 3D. Caveat: le migliori ricette nascono con quello che passa il convento.

 

Localismo

Le parole chiave registrate sono: “X collabora con il Comune di…”, “supportiamo la nostra comunità”. I designer riscoprono l’importanza della dimensione locale. Come i contributi iniziano a essere destinati a strutture ospedaliere di provincia sconosciute ai più, così i designer tornare a bussare a enti e imprese con i quali non avevano avuto finora buoni rapporti di vicinato. E regioni depresse scoprono di avere eccellenze con le quali i designer, chissà per quale ragione, non avevano mai avuto modo di collaborare. È come tornare a parlarsi dai balconi o in ascensore senza dover ricorrere a biglietti aerei intercontinentali per aiutare l’umanità con il progetto. Caveat: lavorare per la comunità in cui si risiede e opera non è riservato solo a coloro che hanno ridimensionato le loro ambizioni e rinunciato alla gloria.

 

Condivisione

Le parole chiave registrate sono: “X rinuncia e condivide”, “disponibile il tutorial per”, “X pubblica un progetto per contrastare”. Progetto trasferendo quello che so. Regalo il mio modello per. Contribuisco con quello che ho. Ne abbiamo lette tante d’iniziative dove i designer, molti dei quali all’improvviso, hanno avviato buone pratiche di condivisione del progetto o del saper progettare. La paura della violazione di una proprietà intellettuale sempre così strenuamente difesa e allo stesso tempo mai realmente valorizzata, è stata cancellata da una saggia strategia per certi versi imposta dall’emergenza. E non ci riferiamo solo alle mascherine, agli ausili per aprire le porte con il gomito o ai dispenser di gel di ultima generazione. I tutorial fatti in casa o le dirette dietro la scrivania con la lampada Tolomeo accesa ci hanno regalato interi corsi o brevi pillole formative, oppure, semplicemente, storie di come una bella idea è venuta al mondo… Caveat: non condividere solo progetti scaduti che attendono da anni un potenziale investitore; la condivisione di un’idea non è una resa, ma la sua possibile rinascita.

 

Immagine di copertina: la “D” di Designer, incapsulato in casa e costretto a lavorare in smart working, contiene i nuovi aromi prodotti dall’emergenza Covid-19 (Presenza, Insieme, Ri-Conversione/Auto-Produzione, Localismo, Condivisione). Il risveglio è una tazza di nuova umanità e un bagno di umiltà per il progettista (© Giovanna Rubino Amati 2020)

Autore

  • Ubaldo Spina

    Nato nel 1979, si laurea in Disegno Industriale al Politecnico di Milano nel 2004. Residente a Oria (Brindisi), è ricercatore e industrial designer. Responsabile della Divisione di Design del CETMA (www.cetma.it), si occupa di processi di sviluppo prodotto, design e innovation management. Al suo attivo numerose esperienze di accompagnamento di imprese in progetti di R&S e in servizi avanzati nelle fasi di progettazione concettuale, engineering, prototipazione e tutela. Il suo gruppo di lavoro ha ricevuto diversi riconoscimenti e segnalazioni ADI Design Index, nel 2011 e nel 2016 le Menzioni d’Onore al Compasso d’Oro ADI per il design di Smoov ASRV e di THECHA. Diverse le esperienze internazionali nei principali programmi di scambio studentesco e lavorativo, Erasmus, Grundtvig, Relate e i progetti svolti all’interno dei programmi comunitari Interreg, IPA, Framework Programmes RTD. Collaboratore de “Il Giornale dell’Architettura” dal 2004, ne coordina la sezione Design dal 2015. Scrive per alcuni magazine nazionali.

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