Il regionalismo a geometria variabile e le infrastrutture fai da te

Il regionalismo a geometria variabile e le infrastrutture fai da te

 

Seconda puntata dell’inchiesta sulle autonomie regionali. Le richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna in materia d’infrastrutture

 

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La corsa verso il riconoscimento di particolari forme di autonomia a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna se è in una fase di stallo del dibattito politico per la difficoltà di sciogliere alcuni nodi, tra cui l’impossibilità di regionalizzare oltre la metà dei trasferimenti dello Stato e la dimensione delle materie delegate, ha favorito, per altro verso, e proprio per la sensazione di accelerata incontrollabile, l’animarsi di seminari di approfondimento in cui i «tecnici» staccati da quella corsa intendono riguadagnare terreno: da quello all’Università Cattolica di Milano il 12 aprile scorso a quello a Catanzaro del 2 aprile con l’Università della Calabria, a quello promosso dallo Svimez a Roma il 7 maggio. Mentre una seduta della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni è stata interamente dedicata alle conseguenze finanziarie del regionalismo differenziato.

La tesi al centro di tutti questi confronti è quella ben sintetizzata da Girolamo Sciullo in una sua riflessione del 2008 su «Le Istituzioni del Federalismo» (bimestrale di studi giuridici e politici della Regione Emilia-Romagna), in cui sosteneva che «L’avvio di un percorso “personalizzato”» sarebbe stato possibile solo «dopo che comuni condizioni di partenza fossero state assicurate alla generalità delle regioni». Solo dopo che, per esempio, le mense scolastiche non saranno più un miraggio per i bambini di Palermo e un servizio solo per quelli di Milano. Ma ancora prima che assicurate, vanno identificate, dato che non sono stati nemmeno fissati i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Un principio anche solo di buon senso, ma liquidato dai governatori delle tre regioni del nord, impegnati a convincere anche le regioni più «deboli», quelle del Mezzogiorno, a intraprendere lo stesso percorso che, secondo loro, dovrebbe portare, invece, più benefici per tutti.

Anche senza essere costituzionalisti o economisti, risulta arduo credere che partendo da uno scenario nazionale di disuguaglianze si possa approdare a uno ricomposto in cui nessun territorio della Repubblica avrà più a soffrire inadeguatezze e insufficienze. Che ciò possa, poi, avvenire partendo dal rafforzamento di chi è già forte ha il sapore di una provocazione: «Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo, ma non potete prendere per i fondelli tutti per tutto il tempo», diceva Abramo Lincoln.

Ad alimentare questa sgradevole sensazione, il vicepresidente della Regione Siciliana, Gaetano Armao, il quale al seminario Svimez ha definito «carsica la procedura delle relazioni bilaterali tra le regioni del nord e lo Stato, tale da non consentire alle altre regioni di seguirle con trasparenza», e ribattezzato anche, con una sintesi efficace, il regionalismo «a geometria variabile» come «a geometria discriminatoria». Insomma, anche l’autonoma Sicilia non ci sta. E chiede al Governo, in via prioritaria rispetto alle richieste delle regioni del Nord, che le siano riconosciute l’autonomia finanziaria, sancita dallo Statuto, ma rimasta lettera morta lungo ben 72 anni, l’attivazione degli strumenti di perequazione fiscale ed infrastrutturale e il riconoscimento della condizione d’insularità.

In realtà, dato che in ballo ci sono diritti come quelli alla tutela della salute, del patrimonio, dell’ambiente o all’istruzione, e dato che insieme alla difesa degli interessi regionali s’invoca pure il superiore interesse nazionale a preservare i valori di perequazione sanciti dalla Costituzione, prima di ogni altra richiesta dovrebbe esserci quella di una legge di attuazione del comma 3 dell’art.116 della Costituzione, il quale prevede che tutte le regioni possono ottenere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». In assenza di questa disciplina attuativa, infatti, il Governo Conte, in perfetta continuità col precedente di centrosinistra (Gentiloni) sotto cui era stato avviato il negoziato, ha intavolato un confronto in proprio con le tre regioni del Nord, del quale non sono state rese partecipi le altre, ma che adesso, come la Sicilia, rivendicano un ruolo, e ha adottato un procedimento che rischia «la marginalizzazione del ruolo del Parlamento, luogo di tutela degli interessi nazionali», come denunciato nell’appello di trenta costituzionalisti.

Nella nebulosità che avvolge i dettagli della concertazione, tra le richieste, contenute nell’intesa sottoscritta tra il presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte e i governatori delle tre regioni del nord, che non sono state ancora definite dai ministeri di riferimento, c’è proprio quella sollevata dalla Sicilia in materia d’infrastrutture. E di questo ci occupiamo, dopo la carrellata introduttiva, in questa seconda puntata dell’inchiesta. Mentre Lombardia e Veneto avanzano richieste sovrapponibili, presenta delle differenze il riconoscimento di attribuzioni che in questi stessi ambiti avanza l’Emilia Romagna.

 

Lombardia

Chiede che siano retrocesse al demanio regionale le infrastrutture ferroviarie, autostradali e stradali. Alla Regione spetterà la gestione delle tratte della rete ferroviaria, la concessione di costruzione di autostrade e la definizione degli importi massimi delle relative tariffe. In quanto alle ferrovie, per garantire il coordinamento con i servizi nazionali e internazionali è prevista un’Intesa con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, mentre un’altra Intesa è prevista per la programmazione degli interventi nelle reti trans-europee di trasporto (TEN-T). Anche sul fronte delle infrastrutture aeroportuali e portuali la Regione chiede allo Stato di subentrare in qualità di concedente nella concessione di gestione. Viene fatta salva quella in corso tra ENAC e lo Stato, al quale subentrerà allo scadere. Chiede anche che le venga riconosciuta la competenza amministrativa per l’approvazione delle infrastrutture strategiche ricadenti all’interno del suo territorio. Sul fronte finanziario, la Regione ha chiesto l’attribuzione del finanziamento del trasporto pubblico locale attraverso l’assegnazione del gettito delle compartecipazioni ai tributi erariali o delle riserve delle aliquote sulla base imponibile dei medesimi, in sostituzione della partecipazione al riparto del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale. Da definire anche la richiesta di attribuzione della competenza legislativa e amministrativa relativa alla programmazione degli investimenti in immobili, impianti, materiale rotabile e tecnologie per i servizi ferroviari regionali e locali e, in generale, per tutto il trasporto pubblico locale.

 

Veneto

Infrastrutture e impianti trasferiti al demanio regionale, programmazione e gestione delle tratte, previsione di intese volte al coordinamento con lo Stato, anche per il Veneto. A differenza della bozza di accordo con la Lombardia, il finanziamento del trasporto pubblico locale viene, però, subordinato, alla definizione di livelli adeguati di servizi uniformi sull’intero territorio nazionale. Precondizione che, dicevamo in apertura, dovrebbe riguardare anche altri servizi pubblici essenziali. Appare, dunque, abbastanza preoccupante che «nelle more della definizione» di tali livelli di uniformità, da una parte la Regione richieda l’attribuzione di nuove competenze e, dall’altra, invece che farsi carico finanziario di quelle stesse competenze, si veda assegnata «una quota invariabile del fondo nazionale pari all’80%». Alla Regione, in altre parole, passano le concessioni e gli utili che ne derivano e lo Stato, cioè tutti gli altri cittadini delle altre regioni, continua a metterci i soldi. Se questi ultimi sono passaggi ancora non definiti, le norme in materia di porti e aeroporti hanno già recepito, invece, le osservazioni dei ministeri competenti. Il Veneto propone il perimetro della circoscrizione territoriale dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale nata nel 2017, che riunisce le realtà portuali di Venezia e Chioggia all’interno di un unico sistema amministrativo. Al suo interno la Regione può istituire delle Zone economiche speciali (Zes), o ad economia differenziata, anche a titolo di compensazione per i disagi ambientali. In coerenza con la pianificazione nazionale in tema di aeroporti, è la Regione che seguirà l’iter amministrativo in relazione alla proposta di masterplan del singolo aeroporto, mentre è ancora da valutare la richiesta di approvare i progetti sotto il profilo tecnico ed economico delle infrastrutture aeroportuali ricompresi nel masterplan, proposti da ENAC. Tra le proposte non accolte o da definire, quella di trasferire al demanio regionale gli aeroporti nazionali, per cui la Regione subentrerebbe al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (fatta salva la convenzione tra questo e l’ENAC) in qualità di concedente di gestione. Alla Regione spetterebbe pure la procedura della Valutazione impatto ambientale (VIA) per i progetti d’infrastrutture aeroportuali, nonché la vigilanza su ENAC.

 

Emilia Romagna

Più snella la proposta emiliana che, a differenza di Lombardia e Veneto, non chiede il trasferimento d’infrastrutture e impianti al demanio regionale, bensì il riconoscimento della competenza ad esprimere l’intesa sulla programmazione, localizzazione, approvazione, esecuzione e finanziamento delle opere infrastrutturali ferroviarie e stradali e degli interventi per il trasporto pubblico d’interesse nazionale che riguardino il territorio regionale. La priorità va agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Sul fronte finanziario si chiede, genericamente, che siano assicurate alla Regione risorse adeguate, certe e programmabili nel tempo. Nessuna richiesta, invece, in riferimento alle infrastrutture aeroportuali.

Autore

  • Silvia Mazza

    Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e  dal compianto Folco Quilici  nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Dal 2019 collabora col MART di Rovereto e dallo stesso anno ha iniziato a scrivere per il quotidiano “La Sicilia”. Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale. Ha collaborato con il Centro regionale per la progettazione e il restauro di Palermo al progetto europeo “Noè” (Carta tematica di rischio vulcanico della Regione Sicilia) e alla “Carta del rischio del patrimonio culturale”. Autrice di saggi, in particolare, sull’arte e l’architettura medievale, e sulla scultura dal Rinascimento al Barocco, ha partecipato a convegni su temi d’arte, sul recupero e la ridestinazione del patrimonio architettonico-urbanistico e ideato conferenze e dibattiti, organizzati con Legambiente e Italia Nostra, sulle criticità dei beni culturali “a statuto speciale”, di cui è profonda conoscitrice.

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