Healing Gardens: quando l’ospedale incontra la natura
Un approccio basato sull’evidenza scientifica richiede tanti (micro)spazi verdi facilmente accessibili da tutti gli utenti di una struttura (malati, parenti, personale sanitario)
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Published 23 febbraio 2023 – © riproduzione riservata
Il legame tra natura e benessere umano è uno dei temi su cui negli ultimi 20 anni ricercatori di discipline assai diverse hanno dibattuto. È ormai indubbio che il contatto con la natura (in tutte le sue declinazioni) giovi alla salute e al benessere. Questa capacità “salutogenica” del verde ha ormai contagiato, ad esclusione di qualche “strana” eccezione, l’architettura della salute (ospedali, strutture di cura e assistenza), dando attuazione a visioni consapevoli di compenetrazione tra verde ed edificio, pubblicamente enunciate a mo’ di “payoff aziendali”, come “l’ospedale nella natura, la natura nell’ospedale” del Khoo Teck Puat Hospital (Singapore) e del nuovo ospedale Ferrero di Alba-Bra, o il “let the outside in” del nuovo Stanford Children’s Hospital a Palo Alto (California).
Non si tratta solo di verde estetico ma, sempre più, di un verde funzionale, cioè utile a far sì che i luoghi della salute siano luoghi di benessere. È un cambiamento recente e, quindi, non ancora compiutamente diffuso. Ma è un fenomeno inarrestabile. Solo una decina di anni fa, Marco Maiocchi riportava con estrema crudezza l’esperienza, condivisa dalla maggioranza di noi, di luoghi della cura non percepiti come luoghi della salute: “L’ospedale è vissuto, percepito, sentito in tutti gli aspetti come luogo di malattia, e non di guarigione […], tutto ciò che si vede, si sente, si annusa, si tocca in tali ambienti è diventato connotazione di sofferenza, e non di speranza”.
Ecco, la mission dei nuovi luoghi della salute è fare in modo che la salute permei l’architettura, che tutto degli spazi progettati e realizzati parli di benessere, portando al centro la persona, e che non siano più degli “stabilimenti della salute” (come definiti da Stefano Capolongo). La consapevolezza della necessità del cambiamento di prospettiva è così presente in ambito sanitario che nell’ultimo ventennio si parla sempre più di “umanizzazione degli ospedali”; un paradosso culturale (forse anche un ossimoro) per cui si ammette che i luoghi pensati per curare gli uomini debbano essere resi più “a misura d’uomo”. Un pubblico mea culpa che denuncia la frattura che si è venuta progressivamente a creare mettendo al centro la malattia e, di conseguenza, allontanando la persona.
Il verde, spazio fondamentale per il benessere
Questa attenzione ha riproposto lo spazio verde come fondamentale per il benessere e la salute, e non un mero accessorio. I sistemi di certificazione ambientale più diffusi (da LEED e SITES a WELL e Fitwel) introducono l’accessibilità a spazi naturali e aree verdi tra i requisiti premiali.
Ad esempio, il LEED for Healthcare (specifico per le strutture di cura) prevede una premialità per “spazi aperti tranquilli dove pazienti, personale e visitatori possano godere dei benefici per la salute derivanti dal contatto con l’ambiente naturale, […] spazi accessibili direttamente dall’interno dell’edificio o situati entro 60 metri dai punti di accesso alla struttura (terrazzo, cortile o giardino), con una superficie minima di 0,5 mq/paziente per il 75% di tutti i pazienti ricoverati e il 75% dei pazienti ambulatoriali con presenza in struttura superiore a quattro ore”.
È sempre interessante constatare come l’approccio parametrico numerico (mq/posto letto), seppur con tutti i limiti, consenta di farsi un’idea dell’importanza che bisognerebbe dare al verde in ospedale. È una dotazione veramente minima, che deve tenere però conto contemporaneamente sia dei pazienti ricoverati che di quelli ambulatoriali, nonché della necessità che tali spazi siano direttamente accessibili o molto vicini a dove tali pazienti si trovano. Questa considerazione porta con sé conseguenze molto pratiche: la natura in ospedale deve essere vicina e fisicamente accessibile senza fatica. È certamente meglio progettare molti piccoli spazi verdi, specifici per ogni reparto, adeguatamente distribuiti, piuttosto che un unico grande parco esterno. La natura deve entrare in ospedale, non deve restarne ai margini. Purtroppo, invece, in ancora troppe nuove realizzazioni, si prevede un grande parco esterno ma ci si dimentica del verde realmente accessibile.
Nella visione moderna dei luoghi della cura, inoltre, l’accesso alla natura deve essere garantito non solo ai malati ma anche ai loro familiari e amici, che spesso devono portare un carico psicologico enorme: il contatto con i cicli “vitali”, con i suoi simbolismi, contribuisce ad alleviare stress e preoccupazioni. Nell’ultimo decennio, inoltre, sta aumentando anche l’attenzione a chi lavora nelle strutture di cura.
La pandemia ha portato, finalmente, all’attenzione di tutti la fatica che il personale sanitario (medici, infermieri) deve affrontare nel farsi carico della malattia di pazienti e ospiti. Sono persone che devono vivere a stretto e prolungato contatto con la sofferenza (e anche la morte) altrui, che spesso sperimentano un senso di frustrazione e impotenza. I livelli di stress a cui sono sottoposti sono elevatissimi e incidono sulla loro qualità di vita e sul loro lavoro, causando una riduzione dell’efficacia, nonché un rapporto peggiore verso i pazienti, fino a portare al cosiddetto burn-out.
L’evidenza scientifica dei benefici degli healing gardens
In tale quadro, sempre più strutture (specie all’estero) stanno creando giardini e spazi ad hoc per consentire allo staff di “staccare” durante il turno di lavoro. Esiste, infatti, un’evidenza scientifica crescente dei benefici derivanti da una pausa a contatto con la natura. Dal 2018, il Legacy Emanuel Medical Center di Portland ha inserito stabilmente gli healing gardens tra le politiche per la salute dei lavoratori dell’ospedale: “Abbiamo infermieri di pronto soccorso che fanno turni di 10-12 ore, in situazioni molto stancanti mentalmente e fisicamente; li stiamo esortando a fare delle pause in giardino. Anche se hanno solo tre minuti; questi tre minuti possono fare davvero la differenza, traducendosi non solo in una migliore salute dei dipendenti, ma in una migliore assistenza ai pazienti” ha dichiarato Minot Cleveland, direttore del personale dell’ospedale.
Il ruolo centrale dei risultati della ricerca scientifica è alla base dell’approccio (abbastanza consolidato in alcuni paesi come gli Stati Uniti, ma ancora nuovo in Italia) chiamato Evidence-Based Design, in cui la progettazione deve necessariamente basarsi sull’evidenza scientifica che deriva da diverse discipline, come la psicologia ambientale, le neuroscienze, la biologia, la psico-neuro-immunologia. L’aspetto interessante è anche legato al fatto che molti di noi si stanno rendendo conto che c’è un’urgente necessità che tali discipline si parlino tra loro.
Dice Esther Sternberg, medico e direttrice dell’Institute on Place, Wellbeing & Performance della University of Arizona a Tucson: “Esiste una complessa relazione tra i sensi, le emozioni e il sistema immunitario. Gli studi dimostrano che i pazienti ospedalieri con un affaccio sulla natura guariscono più velocemente di quelli senza. Quello che vedi, senti, annusi, tocchi e fai in un luogo può aiutare a guarire e prevenire le malattie – o al contrario – può stressarti e farti ammalare”.
Giardini basati sull’evidenza scientifica, i più efficaci
Tale approccio è quello che stiamo cercando di portare anche in Italia nell’ambito della progettazione degli healing gardens, cioè di “uno spazio esterno (ma anche interno) appositamente progettato per migliorare la salute e il benessere delle persone”. Sono fermamente convinto che, per una credibile e duratura diffusione del verde negli spazi di cura, tutti gli aspetti relativi agli healing gardens, sia di tipo progettuale (le caratteristiche del giardino) che di tipo programmatorio (le attività che si prevede realizzare nel giardino), debbano basarsi sulla ricerca scientifica.
In accordo con Naomi Sachs, un healing garden “è un giardino progettato per una popolazione e un luogo specifici, e per ottenere uno specifico beneficio per la salute”. Se da una parte è vero che tutti gli spazi verdi contribuiscono al benessere fornendo un’occasione d’interazione con la natura, i giardini realizzati utilizzando principi basati sull’evidenza scientifica si dimostrano in questo più efficaci. Proprio questo approccio salutogenico alla progettazione, cioè specificatamente indirizzato alla salute al benessere delle persone, è ciò che contraddistingue (o almeno dovrebbe) la progettazione degli healing gardens.
Maiocchi M., 2010. Arte e luoghi della salute. In Maiocchi M. (a cura di), Artisti per la salute. Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
Capolongo S., 2006. Edilizia ospedaliera. Approcci metodologici e progettuali. Hoepli, Milano. ISBN 978-8820334963
Senes G., Toccolini A., 2013. Healing Gardens: le aree verdi per il benessere dell’uomo. In Zerbi M.C., Breda M.A. (a cura di), Rinverdiamo la città. Parchi, orti e giardini, Giappichelli, Torino
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Dottore agronomo, Ph.D. è professore associato presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali (DiSAA) dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna nei corsi di laurea magistrale in Scienze agrarie e in Architettura del paesaggio. È stato direttore del Corso di perfezionamento in “Healing Gardens – Progettazione del verde nelle strutture di cura” dell’Università degli Studi di Milano. Svolge attività di ricerca sui temi legati alla pianificazione e progettazione del territorio rurale, del paesaggio, delle aree verdi e delle greenways; alla valutazione dei servizi ecosistemici legati al verde e al rapporto tra benessere umano e contatto con la natura. È presidente dell’European Greenways Association (EGWA) e membro dell’Accademia dei Georgofili, dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), dell’Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio (AIAPP), dell’Associazione Italiana di Ingegneria Agraria (AIIA), della City Space Architecture Association (CSAA), dell’Associazione Italiana Healing Gardens (AIHG), dell’Alleanza per la mobilità dolce.