Gli studentati alla prova della pandemia

 

Le riflessioni sui modelli abitativi e di convivenza alla luce delle criticità emerse durante l’emergenza. L’esempio di due interventi “resilienti” negli Stati Uniti e Danimarca

 

Leggi gli altri articoli delle inchieste sull’edilizia universitaria e sulla città ai tempi del Coronavirus

 

A fronte della centralità che ha assunto il tema della casa come ambiente privilegiato da porre sotto osservazione durante l’emergenza Covid-19, è opportuno sottolineare come le maggiori contraddizioni e inadeguatezze siano emerse in relazione a forme di abitare “speciale”. Il caso della residenzialità studentesca rientra in questo scenario, viste le oggettive difficoltà che tali ambiti hanno avuto nel far fronte alle nuove esigenze, coinvolgendo una serie di operatori quali atenei, cooperative, gestori privati, collegi ecc.

Nel considerare questo tema risulta significativa l’intervista apparsa su queste pagine, in cui l’ex ministro della giustizia Giovanni Maria Flick, riflettendo sulla trasformazione della città in funzione dell’esperienza Covid-19, introduce una distinzione fondamentale tra il concetto di “emergenza” e quello di “eccezione”: mentre «l’eccezione è una deroga “normale ma minoritaria” alla regola, l’emergenza è una “situazione temporanea” destinata a venire meno con la scomparsa delle sue motivazioni in fatto; quindi richiede il ritorno alla normalità delle regole». Tradotto nel linguaggio dell’architettura, ciò significa riflettere sulla relazione tra un approccio “correttivo” e puntuale della situazione in atto, volto a introdurre soluzioni “eccezionali” all’interno dei contesti abitati, che lasciano immutata la regola generale. E una revisione più “strutturale” di alcuni modelli abitativi e comportamentali, con la finalità di produrre un cambiamento delle condizioni stesse della “normalità”, rendendola in grado di accogliere e sostenere nuove prevedibili crisi temporanee.

La natura di alcune proposte avanzate fino a questo momento sembra orientarsi verso il primo di questi versanti, rivelandosi particolarmente fragile proprio in relazione agli ambiti considerati, che necessiterebbero al contrario di una complessa revisione in chiave progettuale di quanto finora realizzato. Un ripensamento delle relazioni tra aree private e collettive, spazi filtro e distributivi, edifici e città. In una maggiore continuità funzionale e fruitiva, che possa diventare occasione per nuovi scambi e più articolate interazioni sociali.

Si tratta di una prospettiva per alcuni versi già imboccata a livello internazionale, che mostra la possibilità di coniugare la presenza di spazi per la socializzazione informale con impianti tipologici efficaci in caso di emergenza, capaci di garantire privacy e distanziamento tra gli utenti (come nel caso della Barbara Greenbaum House; cfr. scheda in basso). Ciò può essere raggiunto attraverso la costruzione di mix funzionali all’interno della residenza, che comprendano piccole strutture autonome (per 8/12 utenti), intervallate da spazi comuni dedicati all’incontro (come nel caso del Bikuben College; cfr. scheda in basso).

A fronte di questa analisi si possono al momento individuare tre linee di azione per il futuro. La prima è relativa a una necessaria evoluzione del concetto di “residenza” come semplice struttura in grado di offrire un “posto letto”. Un format datato, che ha rivelato proprio in occasione della pandemia i suoi limiti più evidenti, che dovrebbe lasciare spazio a una considerazione più aperta di tali ambienti, per soddisfare le molteplici esigenze dello studente fuori sede. La mancanza di considerazione in fase di progetto dell’importanza di sezioni abitative autonome e autosufficienti per un numero limitato di utenti (8/12), dotate di spazi comuni “intermedi” e facilmente controllabili a integrazione o sostituzione di quelli tradizionali e condivisi, ha rappresentato un limite evidente. A ciò si uniscono le possibilità offerte dalla previsione di spazi per l’integrazione e la socializzazione informale tra i giovani, a scapito della centralità della sola “stanza” o dei soli spazi aperti a tutti, che hanno rappresentato uno dei principali elementi critici. Tale riflessione porta con sé il difficile tema del rapporto tra residenze studentesche e contesti urbani, a vantaggio di uno scambio più articolato e reciproco di funzioni “utili” e “collaborative” tra studenti e cittadini (pensiamo agli anziani), che avrebbe potuto giocare in questa situazione un ruolo rilevante, anche dal punto di vista sociale e assistenziale.

Il secondo elemento critico è relativo all’assunzione delle residenze universitarie come veri e propri “dispositivi didattici”. Il già ambivalente successo delle forme della didattica a distanza non può essere considerato un indicatore, specialmente per le residenze per studenti, che in questa fase hanno dovuto rinunciare al proprio ruolo “formativo” in senso più ampio. Il successo degli strumenti digitali che hanno permesso la delocalizzazione temporanea tra studenti e docenti non può essere considerato la base per una sostituzione dei rapporti tra gli individui, che devono essere al contrario sostenuti da adeguate forniture, spazi e strutture.

Il terzo aspetto da sottolineare è relativo alla necessità di disporre di adeguati protocolli e piani d’intervento da attuare in caso di situazioni emergenziali, con cui governare le diverse criticità esterne, in un coordinamento tra i soggetti e gli enti coinvolti e la conseguente prevedibile frammentazione delle responsabilità. Una situazione che rende necessario almeno un chiarimento delle relazioni tra gestori esterni, atenei, enti locali, istituti sanitari, soggetti politici e amministrativi.

I tre punti sollevati si pongono in continuità con le indicazioni emerse dall’analisi svolta dall’Erasmus Student Network, rappresentando oggi dei riferimenti imprescindibili per un auspicabile ripensamento del ruolo dello student housing, come innovativa struttura accademica e volano per ridefinire il rapporto complessivo tra università e città. Ciò risulta quanto mai urgente nel nostro Paese, anche a fronte dell’apertura del Sesto bando nazionale previsto dalla Legge n. 338/2000 per il sostegno della residenzialità studentesca, che richiederà un impegnativo aggiornamento dello scenario normativo e tecnico di riferimento.

 

Barbara Greenbaum House

Luogo:                         New Orleans, Louisiana, USA

Anno:                           2014

Posti letto:                    256

Committente:               Tulane University, New Orleans

Progetto:                      Architecture Research Office e Wagoner & Ball

Il tema della condivisione fra gli studenti è qui declinato attraverso una ricca dotazione di spazi pubblici interni ed esterni, accuratamente organizzati e distribuiti. L’edificio, pur presentandosi come una massa in muratura in mattoni, così da rafforzane il carattere “storico” in continuità con l’edificato circostante, possiede spazi condivisi e connettivi orizzontali di distribuzione dotati di generose superfici vetrate e ampie specchiature finestrate. Questo espediente progettuale, unitamente a una serie di passerelle sospese, serve per rafforzare il tema della socialità informale, per cui gli ospiti, pur non avendo contatti diretti o personali, possono vedersi fra loro e sentire gli uni la presenza degli altri. Una soluzione interessante e utile in caso di confinamento e distanziamento forzato. Il senso di appartenenza nonché il guardarsi a distanza vengono ulteriormente rafforzati dall’adozione di un impianto tipologico a cortile centrale, che disegna uno spazio chiuso su più lati, dove gli studenti possono beneficiare di zone d’ombra, in un clima caldo e umido, nonché disporre di un luogo di ritrovo dinamico e protetto.


Bikuben College

Luogo:                         Copenaghen

Anno:                           2006

Posti letto:                    256

Committente:               Bikuben Fonden

Progetto:                      Aart

A partire dalle indicazioni avanzate dagli iscritti alla facoltà di antropologia dell’Università di Copenaghen, tale opera ha reinventato il quadro sociale dell’abitare da studenti. Grazie ai suggerimenti, è stato possibile mettere a punto un impianto tipologico che valorizza l’identità degli ospiti ed esalta il concetto di comunità, pur ridefinendolo a livello funzionale. La struttura è infatti organizzata per piccole sezioni autonome di 8 utenti. Ogni sezione è autosufficiente, dotata di ciò che serve, mentre l’identità comunitaria è stata concepita come una sorta di social network. L’ambizione era prevenire la solitudine e l’anonimato e, al contempo, limitare assembramenti incontrollati di utenti negli spazi comuni. Il collegio appare come un cubo, definito da una doppia spirale che ruota attorno al cortile comune, ai soggiorni, alle cucine e alle sale pranzo delle singole sezioni. Questi spazi fanno da ambito di mediazione con i luoghi comunitari quali palestra, lavanderia, giardino pensile, ecc., sfalsati su piani diversi. Le cucine e le aree comuni, permeabili alla vista, si orientano verso l’interno, verso il giardino luminoso centrale, mentre le camere da letto verso la città.

Autore

Oscar Eugenio Bellini è architetto, PhD e professore associato in Tecnologia dell’Architettura presso la Scuola Architettura, Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano. Svolge attività di ricerca e consulenza al Dipartimento ABC. È autore di numerosi rapporti scientifici, articoli e monografie e ha partecipato, come relatore, a numerose conferenze e seminari, in Italia e all’estero, sul tema dello student housing.

Matteo Gambaro è architetto, PhD e professore associato di Tecnologia dell'Architettura presso la Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano. Svolge attività di ricerca, presso il Dipartimento ABC, e di progettazione con Enti e Istituzioni pubbliche, in particolare negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sulle residenze speciali e studentesche. Autore di libri, saggi e articoli scientifici.

Martino Mocchi è dottore in Filosofia e dottore di ricerca in “Progetto e tecnologie per la valorizzazione dei beni culturali”. Svolge attività didattica e di ricerca presso il Dipartimento ABC del Politecnico di Milano sui temi del paesaggio urbano e della multisensorialità, con particolare riferimento al contesto della residenzialità universitaria. È autore di diverse pubblicazioni su questi temi.

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