Gli architetti di fronte al virus

Gli architetti di fronte al virus

 

Tra i mancati riconoscimenti da parte del governo e gli interventi straordinari di Inarcassa, cruciale dovrà essere il ruolo degli Ordini e del Cnappc: nella gestione dell’emergenza e, soprattutto, nella definizione delle strategie per il futuro

 

L’arrivo del Covid-19 nel nostro paese è almeno doppiamente scioccante. Lasciando per un momento da parte i numeri sui contagi e i morti, ha colpito il nord produttivo, che ha saputo reagire con forza alla crisi del 2008 e farsi traino di un paese dalla crescita stagnante e dalle molte difficoltà. Ha colpito anche l’immagine della perfetta e quasi invincibile locomotiva d’Italia, la Lombardia, e del suo capoluogo, Milano, rivelandone la fragilità e mettendo a dura prova uno dei sistemi sanitari che continua a essere tra i migliori del paese e combatte.

Il Coronavirus ha nuovamente messo in moto la macchina della Protezione civile nazionale. Lo ha fatto per la prima emergenza estesa a tutto il territorio nazionale che, dopo terremoti e alluvioni, ha toccato uno dei comparti più importanti del paese, la sanità pubblica. La necessità di salvaguardare il bene più prezioso, la salute, ha portato all’imposizione di misure d’eccezione fortemente limitanti la libertà individuale, che hanno portato isolamento per tutti, purtroppo variamente interpretato, la progressiva chiusura di quasi tutte le attività e l’isolamento del paese, il “lockdown”.

Le grandi differenze delle situazioni vissute dalle regioni hanno anche creato cortocircuiti e confusione di livelli tra governo centrale e governo regionale, coinvolgendo anche molti ambiti di diretto interesse per gli architetti. Mentre le attività degli uffici pubblici hanno fin da subito ridotto la loro operatività, dimostrando in molti casi arretratezza burocratica e incapacità di gestire le pratiche in “modalità agile”, si sono fatte attendere le risposte sull’auspicata ma difficile chiusura dei cantieri. Nel fine settimana del 21 e 22 marzo i presidenti di Lombardia e Piemonte, Attilio Fontana e Alberto Cirio, hanno preceduto la presidenza del Consiglio dei Ministri emanando due Ordinanze in cui si stabiliva la chiusura degli studi professionali, poi dichiarati apribili dal governo centrale nel DPCM pubblicato il giorno dopo. E all’oggi la questione rimane ancora aperta, con i governatori in disaccordo e in una difficile valutazione della validità delle rispettive competenze.

Solo il tempo metterà gli avvenimenti di questi giorni nella giusta prospettiva, valuterà gli errori e le mancanze e anche ciò che ha funzionato, dando a tutto un peso più corretto. La drammaticità del momento non ha tuttavia nascosto, ancora una volta, un quadro di assenza o grande carenza di piani d’intervento e protocolli condivisi, prontamente validi su tutto il territorio nazionale per fronteggiare emergenze dalle conseguenze drammatiche ma ampiamente prevedibili.

 

Covid-19 e la professione degli architetti

Il mondo dell’architettura, della progettazione e della gestione del territorio può poco nel pieno di un’emergenza che si svolge negli ospedali e negli ambiti del soccorso ed è troppo poco controllata a livello territoriale, sia sanitario che comportamentale.

L’arrivo del Covid-19 ha tuttavia avuto effetti immediati sugli architetti, ipotecando la giornaliera precarietà media di una professione che da molto tempo ha rivelato la sua fragilità e un’identità sempre più confusa. Gli architetti vivono un presente fatto di commesse e lavori interrotti, cancellati o rimandati e, con essi, il pagamento delle relative parcelle. Intravedono un futuro in cui la crisi peggiore mai vissuta dal secondo dopoguerra toccherà pesantemente una categoria che non si è mai del tutto ripresa dall’ultima.

A questo si aggiunge il decreto “Cura Italia” (n. 18 del 17 marzo 2020), che garantisce un simbolico supporto economico anche alle partite Iva ma non si prende cura delle partite Iva degli architetti, come non riconosce tutti i professionisti iscritti alle casse previdenziali private esistenti nel paese. E quando l’emergenza sarà contenuta e in progressivo esaurimento e si potrà ritornare a una vita più libera, gli eventi di questi giorni presenteranno il conto, che rischia di essere salatissimo.

Gli architetti cercano risposte, e difesa, nelle loro rappresentanze. In primis sono chiamati in causa gli Ordini provinciali e, risalendo la gerarchia, le Consulte e le Federazioni regionali e il vertice nazionale, il Cnappc, che proprio quest’anno rinnoverà i suoi componenti e il suo presidente. Inarcassa, finora unica tra le casse private, è stata pronta nell’azione: il 13 marzo ha deliberato un primo pacchetto di aiuti e il 18 marzo, a valle della pubblicazione del “Cura Italia”, ha stanziato in emergenza 100 milioni sul bilancio preventivo 2020.

Sul fronte degli Ordini la situazione sembra seguire le gravità delle emergenze sui diversi territori, con le rappresentanze lombarde particolarmente sollecitate e attive nel costituirsi fronte unito per sottoporre quesiti e richieste di supporto a un Consiglio nazionale che non sembra avere compreso del tutto la gravità della situazione. I ferri sembrano sempre più corti, con gli Ordini lombardi giunti all’inedita decisione di sospendere il pagamento delle loro cospicue quote a Roma, che ammontano a circa 800.000 euro.

Dal canto suo, il Cnappc ha spostato di sei mesi la scadenza del periodo per il ravvedimento operoso. Solo negli ultimi giorni ha attivato sul sito istituzionale una sezione dedicata all’emergenza Coronavirus, da tempo preceduto dall’Ordine di Milano, che ha prontamente aggiunto le FAQ sul virus nella sua Pattaforma DIMMI, e da molti Ordini che tutti i giorni devono dare risposte concrete ai loro iscritti. Ha anche inviato una debole lettera alla presidenza del Consiglio dei Ministri il cui elenco di richieste risulta troppo ampio, lungo e scarsamente efficace e circostanziato.

Molti sono i temi sul piatto. Nell’immediato si deve affrontare la quotidiana gestione dell’emergenza, tra uffici vuoti, lavoro agile e necessità di dare continuità a un obbligo formativo “a distanza”, cosa che non tutti gli Ordini sono in grado di fornire. Ma anche bisogno di proseguire le riunioni dei Consigli per concordare strategie, dare supporto e la maggior parte delle risposte possibili agli iscritti. Secondariamente, si dovrà definire un programma di azioni strategiche da portare avanti nella fase post emergenziale.

Il futuro si dovrà concretizzare in un contesto socio-economico ancora ignoto ma sicuramente mutato rispetto a quello di oggi, che potrebbe anche essere occasione per ripensamenti di ruoli e funzioni, degli architetti ma anche d’istituzioni che, a livello locale e nazionale, sono rimaste quasi inalterate dalla loro costituzione, ormai quasi un secolo fa.

Autore

  • Laura Milan

    Architetto e dottore di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica, si laurea e si abilita all’esercizio della professione a Torino nel 2001. Iscritta all’Ordine degli architetti di Torino dal 2006, lavora per diversi studi professionali e per il Politecnico di Torino, come borsista e assegnista di ricerca. Ha seguito mostre internazionali e progetti su Carlo Mollino (mostre a Torino nel 2006 e Monaco di Baviera nel 2011 e ricerche per la Camera di Commercio di Torino nel 2008) e dal 2002 collabora con “Il Giornale dell’Architettura”, dove segue il settore dedicato alla formazione e all’esercizio della professione. Dal 2010 partecipa attivamente alle iniziative dell’Ordine degli architetti di Torino, come membro di due focus group (Professione creativa e qualità e promozione del progetto) e giurata nella nona e decima edizione del Premio architetture rivelate. Nel 2014 costituisce lo studio associato Comunicarch con Cristiana Chiorino. Nel 2017 è co-fondatrice dell'associazione Open House Torino.